Cultura e Società

Vulcano-Ixcanu

16/06/15

Titolo: Vulcano – Ixcanul

Dati sul film: regia di Jayro Bustamante, Guatemala, Francia, 2015, 90’

Trailer

Genere: Drammatico

Trama

In Guatemala, sulle pendici del vulcano Ixcanul, nell’impervia regione Kaqchikel, molto lontana dalla città e dalla civiltà contemporanea, in un villaggio che “odora di caffè e di vulcano” e delle proprie arcaiche tradizioni precolombiane, vive l’adolescente Maria con i genitori, poveri raccoglitori di caffè che parlano soltanto l’antica lingua indigena e combattono una guerra persa contro i serpenti velenosi che infestano l’unico pezzo di terra adatto alla coltivazione del mais. Per la loro figlia così “bella e dalle mani fertili” hanno sognato una vita migliore destinandola in sposa ad Ignazio, il sopraintendente della proprietà agricola, che ha imparato lo spagnolo e tiene i contatti commerciali con il mondo esterno alla comunità. Ma il luogo e la vita che invece Maria desidera, sono nei racconti e nei progetti segreti di fuga di un coetaneo, Pepe: si trovano oltre il vulcano, altrove, dove non ci sarebbe soltanto acqua, come le dice la madre, bensì c’è “l’America, dove con l’elettricità, l’acqua corrente, i soldi”…E’ lì che Maria chiede di scappare insieme a lui, acconsentendo quindi alla richiesta di essere “gentile con lui”. Ma Pepe se ne andrà da solo e non si riveleranno vere neppure le sue parole “che la prima volta non succede niente”… E infatti cresce il ventre di Maria; cresce con “il fuoco della vita dentro di sé”, come afferma la madre dopo aver provato a farla abortire per evitare il fallimento del matrimonio combinato. Ai genitori e alla figlia, destinati ormai a perdere anche la casa e il lavoro, non rimane che la speranza di coltivare mais, se soltanto riusciranno a disinfestare il campo dai serpenti. Con un estremo tentativo, credendo al potere magico della gravidanza in corso e alla protezione delle divinità animistiche e di Ixcanul, Maria si dispone nuovamente a sacrificare i suoi sogni e se stessa nell’obbedienza delle leggi patriarcali e dei dettami divini. Per lei quella vita nuova e diversa non c’è. Forse la sua creatura potrà avere quel destino che lei sognava, ma Maria non potrà mai saperlo.  

Andare o non andare a vedere il film.

Premiata alla recente Berlinale, quest’opera prima del regista guatemalteco Jayro Bustamante, scritta a partire da una storia reale a lui raccontata dalla madre, medico sociale nelle campagne sanitarie di aiuto alle donne e alle comunità maya, con un cast tutto indigeno che ha recitato nel proprio dialetto (il film è sottotitolato), coinvolge ed emoziona per l’autenticità, l’assenza di retorica e di autocompiacimento. Non c’è nulla di artificioso, pedissequo, ingombrante o didascalico in questo film che non sceglie la via dell’inquietante fascino delle ambientazioni tropicali sulle aspre pendici e gli anfratti del vulcano e la seduzione di facili simbologie.

Il regista sembra, piuttosto, aver lavorato per sottrazione, con un’estetica estremamente matura e capace di sapiente equilibrio, con l’utilizzo originale e sapiente della macchina da presa, con una fotografia eccezionale, a far emanare dalle immagini e dalla storia, un’intensità assolutamente rara e preziosa. Lo spettatore riesce così a ri-avvicinarsi alla dimensione primordiale in cui vive Maria, tanto, troppo, lontana dal “nostro” tempo e “civiltà”, in cui ancora il ciclo della vita, dell’amore, della morte, degli uomini e degli animali si intesse e si mescola, in cui la Natura entra con il suo ruolo dominante ed è madre accogliente e dolce, è matrigna dura e minacciosa, è al tempo stesso erotica e mistica, determinata e misteriosa.

La versione di uno psicoanalista

Questo film ha il pregio di potersi prestare a diversi piani di lettura, da quella etnografica-antropologica, sociologica- politica, nel lasciar intravvedere la ricaduta della colonizzazione sulle etnie maya sopravvissute in Guatemala, a quella più psicologica ed intimistica.Ambientato sulle pendici del vulcano, in un luogo e tempo “a parte”, “altrove” rispetto a quelli vorticosi del nostro mondo contemporaneo, riesce ad evocare un “qui e ora” intriso di emozione, sentimento, poesia, sacralità, i cui unici suoni sono quelli del dialogo nella lingua indigena accompagnati dal denso linguaggio corporeo e preverbale.

L’adolescenza, la maternità, il rapporto madre-figlia, il femminile, la condizione della donna nel mondo, l’incontro tra Uomo e Natura, le vicissitudini di bisogni e desideri, di colpe e di espiazioni, il contrasto tra il “destino” e la possibilità di plasmarlo, il confronto fra tradizione e cultura, il conto sempre in sospeso tra sogno e realtà, la durezza delle perdite e delle rinunce da affrontare per avere qualcosa, il confine tra verità e menzogna… Questi sono solo alcuni fra i tanti temi che questo film, dalla narrazione volutamente vaga e insatura, può evocare.

Si può pensare ad un’opera che esplora la magmaticità del mondo emozionale e, più in fondo, delle pulsioni, delle loro metamorfosi, “delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo”, come scrive Renè Girard, e di quanto è più primitivo ed ancestrale nella natura umana.

Sono immagini che comunicano di per sé, quelle proposte da Bustamante e, nello stesso tempo, manifestano un’enigmaticità ai confini con l’indicibile. Sono feconde, come Maria, e fanno esperire l’esperienza affettiva della condivisione, quella transitoria mancanza di confini tra inconsci, quella zona “interpsichica” di cui parla Bolognini, luogo di scambi fruttuosi tra l’analista e l’analizzando, tra il film e il suo spettatore.

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