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Molinari Egon

9/12/13
Molinari Egon

Egon Molinari

A cura di Alberto Spadoni, con la collaborazione di Manuela Martelli

Maestri della psicoanalisi

“L’equilibrio e la generosità, la sapienza e l’ironia furono e saranno principali virtù di Molinari” (Gino Zucchini, per i festeggiamenti dei 90 anni di Egon Molinari)

Egon Molinari (Trieste 25.06.1911 – Bologna 28.02.2002)

Egon Molinari è un autorevole pioniere della psicoanalisi italiana, insieme a Edoardo Weiss, Emilio Servadio, Nicola Perrotti e Cesare Musatti, del quale fu allievo.

Già pienamente attivo negli impervi anni cinquanta, fu il primo psicoanalista a Bologna, dove introdusse la pratica e la cultura psicoanalitica, l’unico tra il Po e il Tevere sino agli anni ’70.

Studioso raffinato e discreto, di grande umanità e competenza, insieme all’amico e collega Glauco Carloni fondò il Centro Psicoanalitico di Bologna, che nasce nei primi anni ’70 dalle riunioni del Mercoledì in casa Molinari.

Persona riservata, poco prolifico nella produzione scientifica,  trasmetterà la sua  grande capacità clinica e i suoi insegnamenti agli allievi attraverso l’operato di analista e supervisore. Sul suo ben piantato lettino si sono formati personaggi dello spessore di  Glauco Carloni, Giovanni Hautmann, Pier Mario Masciangelo e Stefano Bolognini.

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La vita

“Anche noi, tra i più stagionati dei suoi allievi – lui riservato per alto pudore e schivo di ogni mondanità – abbiamo dovuto carpirgli i segmenti sparsi della sua lunga biografia: le radici ebraiche, l’infanzia presto orfana a Trieste, gli studi di giurisprudenza e poi di medicina, la professione medica a Lussino, a Gorizia e poi a Cesena e a Faenza, l’opera data nella Resistenza, l’approdo a Bologna.” (G. Zucchini, “Il dolore, la memoria, la nostalgia.” Bologna, 2002)

La storia di Egon Molinari comincia a Trieste nel 1911, dove nasce da genitori ebrei ungheresi; visse successivamente nei pressi di Vienna, dove aveva studiato, qualche anno prima di Freud, il nonno, ufficiale sanitario. Rimasto orfano di madre da bambino e di padre da adolescente, fu costretto a lavorare durante gli studi, che furono prima di Diritto ed Economia e poi di Medicina. Laureato in Medicina, esercitò a Lussinpiccolo, a Gorizia, a Cesena e a Faenza, ma dopo il ’36 fu costretto ad abbandonare il lavoro nelle istituzioni pubbliche a causa delle leggi razziali.

Egon Molinari, con leggerezza ed eleganza, si portava dentro un gran bagaglio di terribili disavventure collegate alla lunga notte italiana, dalla legge filonazista antisemita del1938 fino alla Liberazione nell’aprile del 1945. Non avendo mai accettato il ruolo del discriminato o quello della vittima, in quegli anni tragici doveva apparire ai familiari e agli amici molto più come un eterno affaccendato che per quello che realmente era, un perseguitato. Per sfuggire ai mastini della Gestapo aveva lasciato casa per rintanarsi a Roma: gli andò sempre bene, compresa quella volta che, per miracolo, non finì alle Fosse Ardeatine.

A sostenerlo c’era sempre Tullia, la dolce consorte trentina, conosciuta e subito amata mentre entrambi si occupavano di paludismo, lei crocerossina, lui medico militare, nella piana, allora depressa, di Manfredonia.

In quegli anni difficili, è sempre stato un uomo probo, coraggioso e ottimista. Ne dà un’idea l’episodio della valigia rubata. Siamo a Faenza nel ’44, dove esercita come libero professionista sotto falso nome. Due soldati della Wermacht gli strappano di mano la sua bella valigia di cuoio. Infuriato, si precipita al Kommandantur a protestare in forbito tedesco per il furto subito. A noi, sbalorditi, disse semplicemente che sapeva di poter tentare senza troppo rischiare. Riottenne il maltolto e si divertì pure.

Alla fine della guerra, dopo un periodo a Bologna, raggiunse Milano, dove incontrò Cesare Musatti, col quale si formò e mantenne in seguito l’amicizia e la collaborazione scientifica.

Con il suo lavoro ha contribuito alla formazione della discendenza degli psicoanalisti dell’Emilia-Romagna e di diversi colleghi della Toscana e del Veneto.

Ha svolto il ruolo di Segretario nel Comitato Esecutivo della SPI dal 1951 al 1955.

E’ morto a Bologna il 28 febbraio 2002.

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Il contributo alla Psicoanalisi

Egon Molinari sapeva trattare alla pari, con amichevole accoglienza, sia i pazienti che gli allievi. A tal punto che, quando ti sedevi in casa sua o ti stendevi sul lettino eri così a tuo agio da non volertene più andare.

La tecnica terapeutica di Egon Molinari era lieve, come lieve e sapiente era il suo silenzio, ma non per questo era meno tenace la sua determinazione a portare a termine il percorso di analisi.

Come testimonia il suo scritto “Il silenzio in analisi”, che nasce come articolo sulla Rivista Italiana di Psicoanalisi nel 1957 e poi diventa un volumetto, pubblicato da Guaraldi nel 2011, scritto da lui ritenuto il suo contributo più significativo, Molinari si è molto interessato alle diverse sfumature del silenzio nella situazione analitica. Questo lavoro matura in un periodo in cui l’analista stava molto in silenzio, cercando di dare significato all’alternarsi della parola e del silenzio del paziente; è un contributo che rimane assai significativo, nonostante i cambiamenti che si sono verificati nella pratica analitica.

Ripensandolo ora, dopo aver conosciuto tanti valenti colleghi, anche forestieri, Molinari appare come l’esatto contrario dello psicoanalista ancora invischiato in quel che resta, e non è mai poco, del proprio narcisismo originario che, come si sa, l’analisi di formazione, anziché liquidare, non di rado consolida. Credo che questo sia stato uno dei suoi primati: quello di condurre l’analisi, comprese quelle “didattiche”, col fine mirato di far evolvere in senso maturativo tutti quegli aspetti del sé che conservano l’impronta del narcisismo infantile, anche quando si limita a nutrire segretamente la convinzione di essere sotto sotto speciali e quindi di meritarsi, prima della fine, quel plauso generale, capace di cancellare per sempre i sani dubbi sul proprio valore.

In linea con il suo interesse nei confronti del narcisismo, va ricordata la sua amicizia con Bela Grünberger e la scelta di farcene conoscere l’opera, invitandolo a Bologna per i seminari di primavera degli ultimi anni sessanta. L’esordio riguardò proprio la relazione che il collega franco-ungherese aveva tenuto a Lisbona nel ’56, con Janine Chasseguet-Smirgel, sul “Narcisismo dell’analista” e che aveva suscitato l’ammirazione di Molinari e negli altri più fastidio che consensi.

Fondamentale è stato il suo contributo alla diffusione della psicoanalisi in Emilia, Toscana e Veneto e alla crescita della Spi nel centro-nord d’Italia. Ha avuto il grande pregio di svolgere una funzione unificante, sia per aver saputo accogliere e diffondere il pensiero di tutte le principali correnti di ricerca, sia per aver condotto una preziosa opera di avvicinamento e pacificazione fra Nord e Sud, favorita dalla posizione geografica e dallo speciale calore della città di Bologna.

Non dobbiamo dimenticare che Molinari e Carloni hanno saputo tessere e ricucire legami che hanno contribuito a impedire, per molti anni, che si verificassero scissioni.

E’ per la regia di Egon Molinari e nello spazio della sua bella casa di via Fermi n°4 a Casalecchio di Reno, che il Centro bolognese ha mosso i suoi primi passi, rappresentati dal seminario settimanale del mercoledì sera e da quelli mensili del fine settimana, condotti prima da Musatti sulla traduzione dell’Opera di Freud e successivamente da Francesco Corrao, su Bion e Meltzer, da Pier Mario Masciangelo su Freud e da Eugenio Gaddini sulla funzione paterna. Si era fra gli anni sessanta e settanta, generosamente confortati dalla premura nutriente della Signora Tullia.

Ci abbiamo messo del tempo ad accorgerci che aveva in testa l’intera sua biblioteca e non solo quella scientifica, e che conosceva bene, oltre al tedesco, anche il francese, l’inglese e lo spagnolo. Capitava in quelle sere che, mentre sembrava solo attento a riempirti il bicchiere di Porto, correggesse un errore di traduzione di Fabio Zambonelli, che ci leggeva l’autobiografia di Bion. Molinari era anche quello che, non visto, ci aveva preceduto immancabilmente alla cassa del bar e del ristorante.

E’ per merito di Molinari, col fondamentale aiuto di Carloni, che gli psicoanalisti italiani hanno conosciuto il contributo teorico-clinico di Sandor Ferenczi, tramite la traduzione, le presentazioni e la cura della pubblicazione dei quattro volumi che ne accolsero l’Opera per l’editore Guaraldi nel 1972. Molinari e Carloni furono anche gli ispiratori della collana “La sfinge”, dello stesso editore, attraverso cui furono conosciuti in Italia diversi testi della psicoanalisi mondiale.

Da questo interesse e dialogo scientifico, deriva una pratica psicoanalitica ispirata allo “stile materno” di Sandor Ferenczi, coltivata sia sul piano teorico che clinico. Molinari ha trasmesso il suo stile relazionale caldo e stimolante al gruppo bolognese fin dagli albori, mettendolo nella condizione di offrire un prezioso esempio di come andasse costruito un centro di formazione permanente e di ricerca in campo analitico, al riparo dai rischi delle tentazioni paternalistico-egemoniche o di quelle fraterno-conflittuali. Non credo che esageri chi pensa che, in quegli anni di impetuosa crescita della Spi, il gruppo bolognese, guidato da Molinari e Carloni, sia stato un utile esempio per i colleghi di Milano e di Roma di come sia preferibile e conveniente lavorare in un clima di grande apertura culturale e di rispetto per le diversità, con conseguente apprezzamento dei vantaggi di queste. (vedi Il Madro, a seguire)

Il Madro, un modello conveniente per gli analisti in formazione

Già alla fine degli anni sessanta, il mercoledì sera ci si riuniva in casa di Egon Molinari a Casalecchio di Reno, per parlare e leggere felicemente di psicoanalisi, nello stesso appartamento dove avevamo da poco terminato l’analisi.

Il salotto che ci accoglieva era un’altra parte della pancia di Molinari, quella più ampia, conviviale, più adatta ai rapporti di gruppo, dove il nutrimento era reale, non solo simbolico.

In pentola stava bollendo la traduzione e la pubblicazione dell’opera di Sandor Ferenczi e se ne respiravano i profumi, benché noi, ultimi arrivati, ce ne saremmo resi chiaramente conto solo più avanti. I vecchi, solo di analisi, non di età, erano, oltre al padrone di casa, Carloni, Masciangelo e Zambonelli. Completavano il cerchio la Zennaro, la Mori, la Silvia Molinari, Spadoni e Zucchini.

In realtà non vi erano fasce gerarchiche; era veramente un gruppo democratico, di affratellati, dove quelli più esperti e sapienti ti trattavano pur sempre e inaspettatamente alla pari.

Una pacchia, per la comodità di apprendere senza fatica, per l’incremento dell’autostima e i vantaggi all’identità professionale, per il piacere di sentirsi già grandi senza esserlo ancora, forti della presenza di chi, in trasferta, avrebbe affrontato egregiamente il confronto societario senza esporci a brutte figure, lasciandoci in panchina. Una condizione, per gli allievi, invidiabilissima ma non riproducibile in mancanza di Egon Molinari, di Glauco Carloni e della Signora Tullia, la gentile e generosa padrona di casa.

Fu in una di queste piacevolissime serate che Carloni venne a parlare, per la prima volta, di stile materno e degli attributi necessari allo psicoanalista per ben operare; questi, a suo parere, avevano tutti più a che fare col temperamento materno che con quello paterno. Egon Molinari era in linea di massima d’accordo e, tuttavia, propose una soluzione personale, di compromesso, dicendo che l’analista doveva essere un madro, una figura che riunisse in sé le migliori qualità della madre e del padre insieme. Forse pensava alla coesistenza non confusa di due stili terapeutici famosi, le fondamenta vere della nostra tecnica, quello di Freud e quello di Ferenczi, la compostezza egoica dell’uno, con il calore empatico dell’altro, l’ocnofilia tipica dell’allievo più illustre e il filobatismo del Maestro (http://it.wikipedia.org/wiki/Michael_Balint )

Ma, a dire il vero, in quei seminari domestici si respirava la presenza materna fin dall’inizio della serata, quando compariva la padrona di casa con in mano una torta calda di forno e delicatamente profumata. Egon svolgeva la sua parte complementare offrendoci un saporito bicchiere di Porto o, per i viziati, di grappa.

Il madro nacque in questo clima speciale, o meglio, lo avevamo avuto alle spalle durante l’analisi e ora l’avevamo di fronte: lo riscoprivamo in tutte le sue umanissime sfaccettature e ne godevamo a pieno l’amicizia, la generosità, l’attitudine a soccorrere, senza darlo a vedere.

Finalmente era possibile oggettivarlo, mentre prima eravamo stati a lungo un tutt’uno con lui, in una beata mescolanza, avvolti nella nube del fumo delle nostre sigarette e del suo sigaro. Mentre per il bimbo le prime esperienze di separatezza sono fonte di angoscia, per noi furono di giubilo.
Solo chi lo ha frequentato ha potuto godere a pieno delle sue eccezionali doti affettive, della sua peculiare concavità, che ha garantito una specialissima accoglienza, fatta di vicinanza, di delicata premura e di assoluta discrezione.

L’aria severa di Trieste la si poteva cogliere nella sua insofferenza agli elogi; gli unici complimenti che, pure a stento, lasciava passare con un sorriso erano quelli relativi alla straordinaria bravura dei figli.

Molinari, finché è vissuto, e per nostra fortuna è campato a lungo, non ha mai disertato le riunioni del Centro Bolognese, le conferenze dei colleghi, sia in sede che all’Università, persino le riunioni amministrative. Seduto in prima fila, nella poltrona centrale, conferiva agli incontri il senso della continuità, della coscienziosità, della familiarità. C’era dunque sempre almeno un madro, per di più disposto a condividere il suo misurato ottimismo, le sue battute spiritose, le sue terapeutiche barzellette.

Voglio infine ricordare un aneddoto. In un break durante un seminario bolognese Musatti, scherzando ma non del tutto, disse all’improvviso: “Bisogna avere il coraggio di ammetterlo!” “Ammettere cosa?” rispose la Nissim, che era a braccetto di Molinari.

“Che siamo delle gran puttane. Come le puttane amiamo a pagamento!”

La Nissim dell’accostamento non ne volle sapere.

Conciliante intervenne Molinari per dire: “Forse ha ragione il Professor, siamo un po’ puttane, ma non siamo frigide!”

(Testimonianza di Alberto Spadoni, scritta il 28.02.2002)

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(Fotocopia di un vecchio scritto di Egon Molinari gentilmente concesso dai familiari)

Scritti

1) Molinari E., 1957. “Le Fisime”. L’Economia Umana, fascicolo 3; Recensione della Redazione in Rivista di Psicoanalisi vol.3 anno 1957 pag 232-233.

2) Molinari E., 1955. “Considerazioni sulle situazioni conflittuali in alcuni casi di impotenza psicogena” Rivista di Psicoanalisi vol.2 pag 57-65

3) Molinari E., 1955. “Sentimento di inferiorità e sentimento di colpa” Rivista di Psicoanalisi vol 3 pag 37-42

4) Molinari E., 1957. “Il silenzio in analisi” Rivista di Psicoanalisi vol 1 pag. 19-34

5) Molinari E., 1958. “Meccanismi di difesa e paralogismi” in Rivista di Psicoanalisi vol.1 pag 25-52

6) Molinari E., 1990. “I comandamenti dall’analista”.

7) Molinari E., 2007. “Il sogno: un’area “transizionale” tra il corpo vissuto e il corpo pensato” Rivista di Psicoanalisi vol. 3 pag.657-672

8) Carloni G., Molinari E., 1972. Introduzione e cura di: S. Ferenczi, Fondamenti di psicoanalisi, vol. I, Le parole oscene e altri saggi, Guaraldi, Firenze, pp.7-13.

9)Carloni G., Molinari E., 1973. Introduzione e cura di: S. Ferenczi, Fondamenti di psicoanalisi, vol. III, Psicoanalisi delle abitudini sessuali e altri saggi, Guaraldi, Firenze, pp.11-15.

10) Carloni G., Molinari E., 1975. Cura di: S. Ferenczi, Fondamenti di psicoanalisi, vol. V, Indice analitico, Guaraldi, Firenze
Bibliografia su Egon Molinari

1) Molinari E. “Il silenzio in analisi”. Omaggio a Egon Molinari. A cura di Nicolino Rossi e Irene Ruggiero. Ed. Guaraldi 2011

2) Centro Psicoanalitico di Bologna Il dolore, la memoria, la nostalgia. Per Egon e Glauco A cura di Gino Zucchini. 2002

3) Spadoni A. “Il lettino di Molinari”. In E l’analisi va. Ed. Guaraldi 2007

Gaddini english

“Balance and unselfishness, knowledge and wit were and will be the main virtues of Molinari (Gino Zucchini, for the 90’s of Egon Molinari)

Egon Molinari (Trieste 25.06.1911 – Bologna 28.02.2002)

Egon Molinari is an eminent forerunner of italian psychoanalysis, together with Edoardo Weiss, Emilio Servadio, Nicola Perrotti and Cesare Musatti, who has been his teacher.

Operating in the hard 50’s, he was the first psychoanalyst in Bologna, where he started the psychoanalytical practice and culture, the only one between the two rivers, Po and Tevere, until the 70’s.

Refined and discreet academic, with great humanity and skill, together with his friend and colleague Glauco Carloni, he founded the Psychoanalytical Center in Bologna, which was born in the first 70’s from the Wednesday meetings in Molinari’s house.

Reserved and quiet person in the scientific output, he gave the students his great clinic capacity and training becoming their analyst and supervisor.

On his firm couch, important personalities like Glauco Carloni, Giovanni Hautmann, Pier Mario Masciangelo and Stefano Bolognini became analysts.

The life

“We too, the most matured among his scholars – he such reserved, modest, unwishing worldliness – we had to work out the scattered fragments of his long biography: the Jewish roots, the early orphan childhood in Trieste, the  law and medical studies, the medical profession in Lussino, Gorizia, Cesena and Faenza, his fighting in the Italian Resistance during the second war, his landing in Bologna.” ( G. Zucchini, “Il dolore, la memoria, la nostalgia” Bologna, 2002)

Egon Molinari’s story starts in Trieste in 1911, where he was born from jewish hungarian parents; he later lived near Vienna, where his grandfather had studied as official doctor, a few years before Sigmund Freud. He became motherless in his childhood and fatherless in his adolescence. So he had to work while he was studing, Law before and then Medicine. He was a doctor in Lussinpiccolo, Gorizia, Cesena and Faenza but the racial laws stopped his work in the public institutions.

Egon Molinari carried on an undeclared experience of terrible misadventures, as he lived in the dangerous italian night, from the Nazi law against the Jewish in 1938 to the Liberation in 1945. He never accepted the role of a discriminated and a victim; for this reason, during those tragic years, he probably appeared to his family and his friends much more as an everlasting doing man than a victim of a persecution as he really was. To escape from Gestapo he left to Rome; he was always lucky, also when he risked to go to Fosse Ardeatine. His gentle wife Tullia, coming from Trieste, always supported him. They knew and immediately loved each other while they were both interested in malaria, when she was a nurse and he was a military doctor in the depressed plain of Manfredonia.

In those difficult years he was always a proud, principled and optimistic man as we can see from the episode of the stolen suitcase. We are in Faenza, in the ’44, where he works as a professionist with a false surname. Two Wermacht soldiers extort him his beautiful leather suitcase. He rushes to the Kommandantur to complain for the theft, in a perfect german language, hot under the collar. He just told us, who were astonished,

that he knew to risk not so much. He regained the stolen goods and was amused as well.

When the war finished, he stayed in Bologna and then went to Milano, where he met Cesare Musatti, who was at first his teacher and then became a friend and a scientific partner.

His work contributed to the development of many psychoanalysts in Emilia- Romagna, in Toscana and in Veneto.

He was the administrator in the SPI Executive Committee from 1951 to 1955.

On 28 february 2002 he died in Bologna.

The contribution to Psychoanalysis

Egon Molinari was able to handle, with the same friendly welcome, both patients and scholars. Insomuch as, when you sat down in his home or you laid down on his couch, you felt so well you don’t want to go away anymore.

His therapeutic method was so soft, as his wise silent; but he was really determined to bring to the end the analytical process.

He considered “The silence in analysis” as his most significant piece of writing, first published on the Italian Psychoanalytical Magazine in 1957 and that then became a little book printed by Guaraldi in 2011. Molinari was very interested in the different shades of silence in the psychoanalytical situation. In that period the analyst was very silent during the session, trying to give sense to the patient’s turnover of words and silence. This paper is still very meaningful, although the psychoanalytical method has changed.

Compared to many important Italian and foreign co-workers, Molinari seems to be lacking of the early narcissism, which very often doesn’t disappear and, quite the contrary, strengthens with the training analysis. I think one of Molinari’s records has been to do analysis, also training ones, with the principle aim to ripen the childish narcisism, also that which strengthens the firm and secret belief to be, under all, unique, deserving, before the end, that universal praise which deletes forever the healthy doubts about the one’s own value.

Consistent with his appeal to narcissism, was his friendship with Bela Grungerger and his decision to invite him in Bologna for the spring seminars in the late 60’s, to learn more about his job. The first relation was about “The analyst’s narcissism “, which Grunberger had presented with Janine Chasseguet-Smirgel in Lisbona in ’56 and which has been hardly argue by all except Molinari, who was delighted by it.

His contribution has been fundamental to spread psychoanalysis in Emilia, Toscana e Veneto and he made grown up the SPI in the north and the center of Italy.

He worked for unity between north and south of Italy, thanks to the geographic location and the special warmth of Bologna. He received and broadcasted all the important thesis in psychoanalysis, coming from all around the world.

We always remember that Molinari and Carloni weaved and resewed bonds, for many years they avoided splits.

The Psychoanalytic Centre in Bologna arose in Egon Molinari’s house, in street Fermi n.°4, in Casalecchio of Reno, during the 60’s and the 70’s. We met every wednesday evening and once a month in the week-end; Musatti and Pier Mario Masciangelo came to talk about Freud’s Opera, Francesco Corrao about Bion and Meltzer, Eugenio Gaddini spoke about the paternal function. Lady Tullia generously feeded  all of us.

At first we had not realized that he knew his library to the full, not only the scientific book. He was able to understand and speak  German, French, English and Spanish.

During those evenings, while he was filling the glass with Porto, he could correct Fabio Zambonelli in his translation of Bion’s biography.

He usually came first to pay when we were in a restaurant or in a coffee.

Thanks to Molinari and Carloni the Italian psychoanalysts knew Sandor Ferenczi’s theory and method. They saw about the translation, the launch and the printing of this author’s Opera, four volumes pubblished by Guaraldi editor in 1972. By this editor, they also inspired the collection “La sfinge” which made known in Italy many worldwide authors of psychoanalysis.

As a consequence of this interest and scientific exchange, Molinari inspired his psychoanalytical theory and practice to the Sandor Ferenczi’s  “maternal style” . From the beginning Molinari passed on his relationship’s wise style, so warm and exciting, to the group in Bologna; he gave an example in building an everlasting psychoanalytical training and research center, without paternalistic control and fraternal conflicts.

We don’t go too far if we think that, while SPI was impetuously growing, the group in Bologna, driven by Molinari and Carloni, has been, for the colleagues in Milano and Roma, a useful example to show how it makes suitable to work in a situation of cultural opening and respect for the differences, getting many benefits. (see the following Il Madro)

The Madro, a suitable model for the training psychoanalysts

In the last 60’s we were use to meet at Egon Molinari’s house, in Fermi Street n° 4 in Casalecchio di Reno. We happily read and talked of psychoanalysis, in the same flat where we have just finished our analysis.

The sitting room receiving us was a part of Molinari’s stomach, that wider, friendly, more suitable to the group relations, where the nourishment was not only symbolic but real.

The translation and printing of Sandor Ferenczi’s opera was getting on and we could smell something that we would realize only later, being the last to arrive. The olders, not for age but for analysis, were, in addition to the master of the house, Carloni, Masciangelo and Zambonelli. The circle was completed by Zennaro, Mori, Silvia Molinari, Spadoni and Zucchini.

Without a power elite, it was truly a democratic group, a brotherhood situation, where those more expert and skilful made the others feel as peers.

It was a godsend for the convenience of learning without effort, to increase self-confidence and to sharp the professional identity; we enjoyed to feel grownup without being yet, we were protected by who, abroad, would have faced pretty well the corporate debate and let us staying on the bench.

This enviable state for us, scholars, was realized by Egon Molinari, Glauco Carloni and Lady Tullia, the kind and benevolent house owner.

During one of these very pleasing evening, Carloni came and talked, for the first time, about “maternal style” and what he thought was necessary for the good job of a psychoanalyst: more concerned with maternal disposition than with paternal one.

Egon Molinari was in agreement but submitted a personal compromise: the psychoanalyst should be a madro, a role which gathers the best qualities of mother and father.

He probably thought to keep together, not confused, two famous styles of therapy, the real  ground of our technique, from Freud and Ferenczi, the ego grace of the first and the empathic heat of the second, the typical ocnophilia of the most famous scholar and the philobatism of the Master.

Telling the truth, from the early evening, in those domestic seminars we breathed the maternal presence, when the house owner appeared with a smelling cake, just taken out from the oven. Egon did his part giving us a tasty glass of Porto or, for who was pampered,  of Grappa.

The Madro came into the world in that special mood, we have had him backward during the analysis and now we saw him in front of us: we discovered all his human sides, we fully enjoyed his friendship, generosity, his capacity to help without being seen.

We could finally objectify him, while before we have been cohesive with him, happily blended, wrapped in the smoke’s cloud of our cigarettes and of his cigar. The child is usually anguished by the first detachments, we were rejoicing.

Who spent time with him, could enjoy his emotional talents, his particolar being concave, his peculiar welcome, made of proximity, mild care and unlimited reserve.

Born in Trieste, uncompromising town, he didn’t put up with praises. He only accepted with a smile the approbations of his children’s special skills.

Molinari fortunately lived a long time and he always attended the meetings in the Psychoanalytic Center in Bologna, the coworkers’ lectures at the university, the administrative meetings. He was sitting in the middle of the first row, giving a feeling of continuity, diligence and intimacy. He was always our Madro, who shared his careful optimism, his humor, his therapeutic jokes.

Finally I want to remember a story. We were in a pause of a seminar in Bologna, Musatti, joking but not definitely, suddenly said: “We must have the nerve to face up to it!” “What?” Nissim asked, arm in arm with Molinari. “We are big whores, as we love with fee!” Nissim didn’t agreed with him. Molinari, tried to placate and said: “Perhaps the Professor is right, we are a bit whores but we aren’t frigid!”

(written by Alberto Spadoni on 28.02.2002)

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