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24 Ottobre 2015 CNP “Dialoghi sulla tecnica psicoanalitica: gli strumenti dell’analista”

30/11/15

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24 Ottobre 2015 CNP “Dialoghi sulla tecnica psicoanalitica: gli strumenti dell’analista”

Centro Napoletano di Psicoanalisi

Report a cura di Valeria Licata

Si tratta del secondo incontro organizzato dal Centro Napoletano di Psicoanalisi sulla tecnica, aperto e finalizzato al confronto tra le diverse metodologie e scuole analitiche.

Gemma Zontini (SPI-CNP) introduce i lavori ponendo il silenzio dell’analista all’interno dello strumentario analitico. L’aspetto evidenziato dalla relatrice è che il silenzio darebbe un ritmo al discorso. Freud parla del ritmo come legato alla discontinuità percettiva; in realtà, esso può essere considerato anche come connesso alla discontinuità motoria, dato lo stretto legame tra polo percettivo e motorio del cervello come dell’apparato psichico. Dunque, il silenzio ha a che fare con la costruzione di un ritmo, che, a sua volta, ha a che fare con il sorgere della coscienza. Perciò il silenzio potrebbe favorire il passaggio del rimosso dall’inconscio alla coscienza. Inoltre il silenzio dell’analista potrebbe favorire l’instaurarsi del discorso simbolico in contrasto con un certo tipo di discorso, che Green chiama recitativo-discorsivo, che più che simbolizzare l’oggetto assente sembra attuarne la presenza sia pure sotto forma di azione discorsiva.  Il silenzio, ancora, può rappresentare un elemento che coopera al trattenimento della quantità pulsionale all’interno dell’apparato psichico, contrastando la tendenza estintiva della pulsione che si evidenzia attraverso la scarica connessa all’atto motorio, sia pure di parola (che è, come è noto, azione motoria specifica). L’udito, inoltre, contrariamente alla vista, dispone i soggetti impegnati in una relazione intorno a un asse di avvicinamento/allontanamento. Perciò l’alternarsi di suoni (parole) e silenzi può favorire la costituzione di un tale asse, che a sua volta può favorire il distanziamento dall’altro e la separazione. Una tale concezione sembra implicata nel concetto lacaniano della madre del “va e vieni” che, con il suo andirivieni, favorisce lo smontaggio dell’onnipotenza infantile e limita le pretese edipiche del bambino poiché gli mostra che la madre non è tutta sua, ma è anche la donna con i suoi desideri e i suoi (altri) legami. Altri punti trattati:

– il silenzio dell’analista ha analogia col sogno: come il sogno è guardiano del sonno e quindi del ritiro narcisistico che esso assicura, così il silenzio è guardiano del narcisismo del parlante. Esso, inoltre, introduce nel discorso la pulsione di morte che favorisce l’impasto pulsionale e la sublimazione.

– Il silenzio analitico può avere una funzione etica poiché sospende il versante sintetico del discorso. Esso cioè aiuta l’analista a evitare le parti esortative o pedagogiche del discorso che, come afferma Foucault, sono connesse alla cultura e al periodo storico in cui essa si sviluppa. Un discorso “ sintetico” in analisi ricadrebbe nei confini epocali, storici e culturali di un qualunque altro discorso. Il tacere dell’analista, anche quando il paziente gli chiede di fare la parte del “ oggetto supposto sapere”, ha il senso etico di lasciare al paziente stesso la libertà di contrattare per sé il suo grado di assoggettamento agli standard storico-culturali e i suoi gradi di libertà dagli stessi.

A.Ferro (SPI) inizia il suo intervento anticipando che darà per acquisiti i concetti di transfert, di interpretazione e di sogno.

Presenta un caso clinico in cui è evidente un processo di oniricizzazione progressiva della seduta.

Gerolamo, il paziente, ha difficoltà a rispettare le regole, “presenta” una famiglia allargata. A livello controtransferale, l’analista registra non tanto confusione quanto una frammentazione di elementi come in un mosaico. L’immagine che se ne ricava è quella di un circo troppo piccolo per contenere tutti gli animali che vi sono all’interno.

Il circo è il campo in cui convivono molte emozioni troppo intense (gelosia, rabbia etc.). La scena è la narrazione che il paziente fa del suo campo emotivo.

Ferro parla del contesto analitico come il campo in cui avviene una decostruzione, denarrazione e casting: da Bion trae a prestito i concetti di “trasformazione a moto rigido” (cfr interpretazione di transfert) e di “trasformazioni proiettive” e ipotizza che nella seduta il paziente si comporti come fosse in un sogno.

L’analista ascolta la parola del paziente come se stesse raccontando un sogno. Qualsiasi comunicazione del paziente può così essere passata al vaglio dell’analista che vi applica una sorta di “ filtro magico”: è questa la “ trasformazione in sogno”, che diventa, come la “trasformazione in gioco”, una modalità di partecipazione attiva dell’analista in “ascolto” del discorso del paziente. Esempio di una “trasformazione in gioco”: il lancio aggressivo di un missile di carta diventa occasione per inventare una filastrocca divertente che prende spunto dall’insulto verbale contenuto nel lancio.

Nel campo analitico così concepito, anche il setting si trasforma diventando il terreno su cui ci si conquista una posizione: ad esempio, la paziente di Ferro vista per i primi mesi vis a vis trasloca nella “zona analisi”, scegliendo lei stessa di sostare per un periodo di tempo nella poltroncina dell’analista e successivamente passando al divano. In un contesto analitico “classico”  l’attenzione  sarebbe andata  al  capovolgimento  delle posizioni  in sé e al significato di questo agito del paziente (analista sul lettino e paziente sulla poltrona dell’analista).  In questa ottica,  la seduta, come scena del sogno, è abitata da personaggi onirici e la dimensione surreale in cui ci si viene a trovare è una delle funzioni che consente l’instaurarsi della relazione. E’ la via che rende possibile la costruzione del setting.

La seduta è un’altra realtà del campo analitico, come un sogno che si va co-costruendo insieme, analista e paziente, e i personaggi che entrano in campo nell’attualità dell’esperienza che vanno vivendo.

La relatrice successiva, A.Lucariello (AIPPI), si sofferma nel suo intervento sulla possibilità di intendere con un linguaggio comune, tra analista e paziente, ciò che essi si comunicano.

Rileva che, nel corso degli anni, è cambiato il suo modo di stare con i pazienti e di vivere quindi la seduta. Come Bion ci ha insegnato, viene messa in discussione l’interpretazione intesa come un qualcosa di precodificato che distoglie l’attenzione dal qui ed ora della seduta, dallo stare con il paziente. Lucariello aggiunge che nel tempo ha  imparato a sganciare il sintomo  dalla  problematica di cui il paziente è portatore.

Gli strumenti dell’analista sono, come sappiamo, l’interpretazione, il pensiero onirico della veglia, il disegno. Quest’ultimo rappresenta una via di mezzo tra l’evacuazione, il fare, e il gioco. Non è raro che quando il bambino in seduta è concentrato nell’eseguire un disegno e percepisce come disturbante una interpretazione, dica all’analista di stare zitta, come a sottolineare che ha bisogno di uno spazio di germinazione, qualcosa che nasce tra le loro due menti. Compito dell’analista è creare le precondizioni che consentano la costituzione di un contenitore e di un contenuto. Può accadere in tale luce che l’analista offra il suo stesso corpo per creare un contatto.

A.Vitolo (AIPA) mette in evidenza la funzione del sogno come aggetto della struttura psichica. Come l’elemento architettonico cui questo concetto si riferisce, questo aspetto del sogno può rappresentare uno strumento utile per differenziare la dimensione immaginativa da quella simbolica e la capacità dell’Io di contenere la produzione di immagini all’interno della sua stessa funzione trasformativa.

Proprio la mancanza di una tale funzione di contenimento e la superfetazione d’immagini segnano il funzionamento psicotico dell’apparato psichico. Questo utilizzo tecnico del sogno consente, oltre all’interpretazione del sogno stesso come espressione del desiderio inconscio, l’uso del sogno come strumento di misura della funzione immaginativa in modo da favorirne la trasformazione simbolica e in modo da favorire la distinzione dell’allucinazione onirica da quella psicotica.

P.Cotrufo (SPI-CNP) sottolinea l’analogia degli strumenti dell’analista con quelli dello psicoterapeuta. Vi è però una differenza sostanziale: in psicoanalisi si usa la maggior parte degli strumenti fondamentali usati anche dalle altre psicoterapie, ma usati in modo diverso; gli strumenti tipici dell’analista possono essere usati soltanto su un materiale che deve, anch’esso, essere materiale analitico.

Gli strumenti di un fabbro –evidenza ancora Cotrufo- sono diversi da quelli di un falegname e questo dipende dalla differenza tra i materiali su cui lavorano. In psicoanalisi, noi lavoriamo sulle libere associazioni del paziente e, come sostiene Meltzer, solo se il paziente associa seguendo la regola fondamentale del nostro metodo, allora l’analista può interpretare: se il paziente parla, allora noi dovremmo semplicemente rispondergli. Importante è collegare l’uso degli strumenti al materiale che noi abbiamo a disposizione: materiali diversi richiedono strumenti diversi. Tale riflessione può essere applicata alla psicoanalisi- psicoterapia. Un paziente accolto in un setting non classicamente analitico potrebbe avere maggiore difficoltà a portare materiale sul quale l’analista  possa usare i suoi strumenti in modo appropriato. Al contempo, però, un uso accorto dei nostri strumenti tecnici può agevolare nel paziente la produzione di materiale utilizzabile con i nostri strumenti terapeutici.

Per Cotrufo, i tre fondamentali strumenti tecnici tipici della psicoanalisi hanno a che fare con un’attitudine personale dell’analista oltre che con una tecnica appresa durante la preparazione e sono: la disposizione frustrante dei desideri consci e inconsci provenienti dal paziente; la capacità di farci rigorosi garanti dell’invarianza del setting; la disposizione all’ascolto con attenzione ugualmente fluttuante.

Altro punto è l’uso del controtransfert, eluso fino agli anni ’50, visto come un ostacolo non tanto per la cura del paziente quanto della politica di riconoscimento della psicoanalisi nel contesto scientifico dell’epoca in cui era nata.

Alla fine, però, lo strumento essenziale dell’analista è la sua stessa persona: non vi sono due psicoanalisti che la pensano nello stesso modo e questo non è questione di Scuola.

Tra gli interventi in sala:

G.Rinaldi  riprende il racconto della paziente di Ferro osservando come questa vignetta clinica gli rievochi certi pazienti che esprimono la loro opposizione passiva al progredire dell’analisi; per questi ultimi le parole dell’analista vengono vissute come un’imposizione,  è come se si negassero  il diritto a esistere e la capacità di pensare.

G.Margherita interviene evidenziando la difficoltà di una qualunque discussione su quali siano gli strumenti dell’analista.

A.Caputo vede nella posizione di sfondo dell’analista in ascolto del paziente un sentimento di soccombenza. Il silenzio in analisi è paragonabile, a suo avviso, alla pausa musicale, poiché dà senso e vigore alla musica.

A.Garella riprende il caso raccontato da Ferro ed evidenzia che l’analisi è  basata su una relazione asimmetrica. Ferro, in quella situazione, avrebbe inventato una nuova categorizzazione basata sul qui e ora di quella situazione specifica (analista di spalle e paziente sulla poltrona). In analisi ci disponiamo in modo tale che qualunque occasione può diventare uno strumento.

Tutti gli strumenti sono validi a patto che siano legati al contesto. Ciò implica che conti molto la teoria di riferimento dell’analista. Facciamo strumento di gioco qualcosa che in altri momenti della vita potrebbe essere visto come follia.

F. Ferraro esprime un apprezzamento nei confronti del format dei dialoghi che consente un confronto tra diverse prospettive di lavoro e d’inquadramenti teorici. Il silenzio e la parola costituiscono una felice coppia freudiana, così come l’interpretazione e l’ascolto inteso come attenzione liberamente sospesa o fluttuante, rappresentano gli strumenti cardine dell’analista.

Ferraro si dice convinta sostenitrice della metafora teatrale in psicoanalisi e dunque in sintonia con l’intervento di Ferro per quanto attiene la possibilità di vedere la mente come teatro e noi come personaggi della scena. Tuttavia mantiene ferma la necessità di coltivare le differenze come terreno fertile di crescita . Individua quindi una linea che tiene insieme gli interventi di Lucariello, Ferro, e un’altra che lega gli interventi di Cotrufo e Vitolo. In sostanza, nei due differenti “schieramenti” si fronteggerebbero un paradigma orizzontale che vede la centralità del lavoro analitico nell’hic et nunc, con riferimento a Bion, e un paradigma verticale con maggiore oscillazione verso la centralità della storia del paziente.

Secondo F. Ferraro, esiste il rischio secondo che l’analisi divenga illusoriamente uno spazio onnicomprensivo  (predominio del paradigma orizzontale); invece lo spazio analitico è uno spazio di transizione, è l’opportunità di rimettere in movimento la storia del paziente da un’altra prospettiva (vedi Cotrufo e il problema dell’astinenza).

Quanto all’importanza della persona dell’analista si pone una domanda: come mettere insieme la singolarità della persona e l’esigenza della generalizzazione?

S.Lombardi solleva il problema relativo all’individuazione dei criteri per comprendere l’efficacia degli  strumenti.

M. Donadio ricorda che Freud (“ Per una psicoterapia dell’Isteria “) abbandonò il metodo delle associazioni reciproche tra paziente e analista a favore di quello basato sull’attenzione liberamente fluttuante, si tratta di due funzionamenti mentali simili ma differenti al tempo stesso. Nella relazione analitica, analogamente, vi sono elementi di simmetria ed elementi di asimmetria che si mantengono lungo tutto il corso dell’analisi con varie modalità.

P. Schettino ricorda un intervento di apertura del congresso di psicoanalisi di  lingua romanza fatto da A Green ( 1984) il quale si chiese se avesse ancora senso parlare di lingua romanza. Bion gli rispose che ogni psicoanalisi deve spingersi fino alle estreme conseguenze; la stessa domanda, più o meno, si fece Lacan chiedendosi cosa rendesse possibile l’utilizzo di uno strumento all’interno della relazione analitica

R. Pozzi precisa che le psicoterapie a indirizzo psicoanalitico utilizzano lo psichico per curare lo psichico; cosa allora nell’ambito della psicoterapia psicoanalitica ci aiuta a distinguere materiali e strumenti?

Vi è stato forse uno slittamento progressivo verso la centralità dell’analista, ma – ricorda Pozzi- “l’analisi la fa il paziente!”.

R Musella attribuisce alla teoria di riferimento dell’analista un ruolo determinante: è la teoria che condiziona il nostro modo di osservare un campo, in analisi gli strumenti sono rappresentati dalla teoria.

Musella ribadisce l’importanza della formazione: c’è un campo e ci possono essere diversi stili che fanno la differenza tra un analista e un altro.

V.De Micco rileva come lo psicoanalista possa sovvertire qualsiasi elemento di realtà. La scientificità del metodo è nella possibilità che può fallire, è l’analista il garante del lavoro analitico. Evidenzia, inoltre, come sia possibile il rischio di un’isterizzazione e oniricizzazione dell’ascolto.

R. Calvano: torna sull’importanza del silenzio, è come mettere in pausa il lavoro della parola in attesa che il paziente “parli”. L’analista è uno strumento a disposizione del paziente.  Nasce il problema di come utilizzare gli strumenti in attesa che questo possibile anche per il paziente.

Nelle risposte al pubblico Lucariello ribadisce il problema dell’interpretazione: deve essere corretta? Efficace? Cosa dire e quando? L’importante è stare con il bambino piuttosto che interpretare.

Vitolo sottolinea la funzione del sogno inteso come un proto-linguaggio, inizio di una rappresentazione.

Napoli, 04/11/2015

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In SpiPedia:

Campo analitico (Modello), a cura di Fulvio Mazzacane

Personaggio in psicoanalisi, a cura di Maurizio Collovà

 Luciana Nissim Momigliano

Controtransfert, a cura di Irene Ruggiero

In Ricerca /Neuroscienze

Yovell, Y., Solms, M., Fotopoulou, A. (2015). The case for neuropsychoanalysis: Why a dialogue with neuroscience is necessary but not sufficient for psychoanalysis. Int.J.Psychoanal. Sintesi a cura di R.Spagnolo.

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