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7 Maggio 2016 CPF Pazienti che fanno paura

5/09/16

Report a cura di Annalisa da Pelo

AMHPPIA, AFPP,SIPP,SPI

Pazienti che fanno paura

Firenze 7 Maggio 2016

Questo seminario è stato il secondo di due seminari organizzati nel 2016 dal Centro Psicoanalitico di Firenze (CPF), e dalle altre associazioni di psicoterapia analitica del territorio fiorentino (AMHPPIA, AFPP, SIPP), che hanno avuto come tema principale “Il corpo”. Nel corso delle due giornate la dimensione corporea ha assunto un ruolo di primo piano, non solo come “estensione della psiche di cui essa stessa è ignara”, o come luogo incarnato tramite il quale possiamo venire a comprendere il comportamento intenzionale altrui ma anche luogo dove si esprimono e parlano la paura, la violenza, la malattia. Un registro fisico, viscerale, sensoriale, prima che mentale (e verbale) tramite il quale l’analista può venire a contatto con aspetti del paziente altrimenti non contattabili.

Il primo seminario dal titolo “Il costrutto dell’intersoggettività: dialogo tra Psicoanalisi e neuroscienze” si è svolto, sempre allo Stensen, il 26 gennaio 2016 con due interessanti relazioni di Vittorio Gallese e Tiziana Bastianini.

Nel seminario del 7 maggio 2016: “Pazienti che fanno paura”, Benedetta Guerrini Degl’Innocenti, Segretario Scientifico del CPF, introduce e dialoga con i due relatori ospiti: Donald Campbel e Ronny Jaffé.

Donald Campbel ha presentato una relazione dal titolo “ The illusione of safety with a violent pazient”, mentre la relazione di Ronny Jaffè è intitolata: “ Il sentimento catastrofico dell’analista di fronte all’irruzione del soma di un paziente”.

E’ stata una giornata molto stimolante che ha messo a confronto non solo le differenze temperamentali e personologiche dei due relatori ma anche quelle di due diverse culture psicoanalitiche: quella italo-francofona (R.Jaffè) e quella britannica della psicologia evolutiva infantile (D. Campbell).

Entrambi i relatori si sono interrogati su come parla e si esprime il corpo ma con risposte e presupposti teorici di base in parte divergenti.

Nei due lavori: Il linguaggio corporeo è la violenza per D. Campbell, mentre si estrinseca nella malattia per R. Jaffè. Per D. Campbell, anche nella violenza, c’è sempre una funzione a disposizione dell’Io per preservare e conservare il Sé e c’è sempre  un collegamento con lo psichico. Per R. Jaffè esiste una sintomatologia biologica che non ha niente a che fare con lo psichico, cosi come esiste, una violenza puramente distruttiva e non conservativa del Sé.

Riferendosi ad A. Green R., Jaffè afferma di non essere d’accordo con J. Grotstein che parla di mente e corpo come unità olistica, cioè di una singola entità che presenta due aspetti inseparabili, ma afferma, con A. Green , che esiste parte del corpo che mantiene una dimensione biologica ed è indipendente dallo psichico (Soma).

Al focus del lavoro, Campbel arriva dopo un excursus teorico sulla teoria dell’aggressività (Mervin Glasser, 98), affermando e mostrando, attraverso la presentazione di due casi clinici di pazienti violenti, quanto è importante, nella cura di questi pazienti, che il terapeuta possa incontrare il paziente come persona, con un’esperienza viscerale, una sensazione fisica nel e attraverso il corpo, mettendo per un momento in secondo piano il suo ruolo di essere analista e le sue teorie interpretative. Questi momenti specifici in seduta sono i now moment W. Freeman, Stern et al. (1998).

I now moment danno l’avvio all’intersoggettività e ai sentimenti della coppia paziente analista, mettendoli in un contatto più intimo con verità profonde e innescando un processo trasformativo reso possibile dall’attualizzazione nel transfert. La comprensione dei now moment (e nella tecnica analitica del processo: attualizzazione nel transfert – controtransfert- interpretazione di transfert) unita alla conoscenza di una teoria sulla funzione e la natura dell’aggressività, può contribuire ad aumentare la sicurezza in seduta del terapeuta con un paziente violento.

Nella teoria dell’aggressività sviluppata da Mervin Glasser nel ‘98, sia l’aggressività/violenza spietata sia quella sadica, hanno sempre lo scopo di autoconservazione del se e di annullare la fonte del pericolo. L’oggetto non ha altro significato personale se non quello della sua pericolosità nella violenza spietata mentre assume delle connotazioni relazionali nella violenza sadica, assumendo il duplice scopo di conservare il Sé e l’oggetto, controllandolo in un modo libidicamente gratificante.

Quando la linea di sviluppo dall’aggressione spietata alla libidinizzazione dell’aggressione sadica fallisce nel riuscire a controllare in modo soddisfacente un genitore troppo distruttivo, è possibile che si assista, come funzionamento psichico prevalente, alla regressione verso l’uso di una violenza spietata, al fine di eliminare una realtà troppo dolorosa, utilizzando il ritiro psicotico o la distruzione mentale dell’oggetto.

Con i pazienti violenti o delinquenti, va anche tenuto in mente che spesso hanno avuto esperienze di reale intrusione violenta e traumatica con il caregiver, il quale ha profondamente influenzato il loro mondo interno e la loro percezione degli altri e la violenza può rappresentare il mezzo con cui proiettare il loro trauma sulla persona reale dell’analista, su di un Sé percepito reale e pericoloso che si nasconde dietro il ruolo del terapeuta.

I pazienti violenti sono particolarmente sensibili a captare e a riunire insieme caratteristiche della persona dell’analista facendolo diventare l’oggetto di transfert che si aspettano di trovare e che spesso non corrisponde con il ruolo analitico e con l’oggetto delle sue interpretazioni.

Il paziente violento, afferma Campbel, percepisce il perturbante nell’analista, la sua incompleta consapevolezza della paura e della violenza del paziente, e l’uso difensivo dell’interpretazione per disarmarlo o allontanarlo.

Un now moment può attualizzare il transfert e renderlo conosciuto e condiviso in una successiva interpretazione e “attraverso un processo reciproco, la violenza come mezzo per proiettare pensieri e sentimenti inaccettabili, può essere sostituita dalle parole riguardo a un’esperienza nel qui e ora”. La reazione personale (corporea dell’analista) lo protegge dall’agito e lo aiuta a formulare un pensiero e a legare l’ansia .

R. Jaffe ci introduce con la sua relazione all’irruzione nella stanza di analisi, della improvvisa malattia somatica di un paziente che era giunto alla fase conclusiva di una analisi soddisfacente durata svariati anni. Il sentimento catastrofico dell’analista, il suo senso d’impotenza, di disorganizzazione psichica e di mancanza di senso che la malattia biologica impone ci riporta alla forza eversiva e alla complessità della psicoanalisi, alla potenza del negativo, alla tendenza alla scarica della pulsione con uno psichico che subisce ed è schiavo della dimensione biologica del corporeo.

Luglio 2016

Scarica la locandina

Vedi anche:

26 gennaio 2016 CPF Il costrutto dell’ intersoggettività’: dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze

11 giugno 2016 CVP Psicoanalisi dei comportamenti violenti

17 Ottobre 2015 CPdR Perché il male? Il punto di vista psicoanalitico sulla distruttività

6 febbraio 2015 CPdG Affrontare la violenza: psicoanalisti e operatori riflettono insieme

15 novembre 2014 CPB La violenza e le sue trasformazioni

23-24 Ottobre 2015 C.M.P A partire dall’unità corpo/mente

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