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Diversità sessuale e di genere. Bruxelles 2019 report di A.D. Linciano e E. Reichelt

29/10/19

Report del primo” IPA study day on gender diversity and psychoanalysis” dal titolo: “Contemporary Psychoanalytical Perspectives in Gender Diversity and Sexualities”.  European Psychoanalytic Federation House, Bruxelles, 27-28 Settembre 2019.

di Anna Daniela Linciano (Società Psicoanalitica Italiana) e Eva Reichelt (German Psychoanalytical Association).

Ha avuto luogo a Bruxelles, nella bella sede della Federazione Europea di Psicoanalisi (FEP), la prima giornata di studio (in realtà una” due-giorni”) sulle “Prospettive psicoanalitiche contemporanee su diversità di genere e sessualità”, tematica attuale, quanto interessante da approfondire. I partecipanti rappresentavano 14 nazioni, non soltanto europee, ma anche di America Latina, Stati Uniti, Canada.

Marco Posadas (Canada), Chair del Comitato “Sexual and Gender Diversity Studies”, ha raccontato, introducendo i lavori, che questo evento inaugurale è il frutto di un lavoro iniziato due anni fa da questo Comitato IPA (fondato nel 2017), che ha il mandato di creare uno spazio per la conoscenza e lo scambio tra gli psicoanalisti, i candidati e l’opinione pubblica in generale.

Il Comitato avrà quindi un obiettivo esplorativo/investigativo/contemplativo e non politico. Lo farà: 1. cercando di indagare, esplorare e considerare, piuttosto che dimostrare o giustificare posizioni preconcette o predeterminate. La sua missione sarà quella di creare un luogo all’interno della psicoanalisi organizzata in cui le molte questioni e complessità, che circondano la diversità sessuale e di genere, possano essere studiate e considerate. 2. presentando i risultati delle sue deliberazioni ai membri dell’IPA ai Congressi e in varie pubblicazioni, seminari, supervisioni e altri contesti educativi, nel tentativo di sfidare, educare e stimolare ulteriormente il pensiero in queste importanti aree. 3. sviluppando un premio biennale, che sarà presentato ai Congressi IPA, per favorire la partecipazione dei membri alla creazione di conoscenza, nell’intersezione tra psicoanalisi e diversità sessuale e di genere. Il premio si chiama “Tiresias”, come il mito greco (Tiresia fu tramutato da uomo a donna e dopo sette anni viceversa). Il premio sarà assegnato per la prima volta durante la conferenza IPA nel 2021 a Vancouver.

E’ necessario, dato il momento di grandi trasformazioni, che all’interno del pensiero psicoanalitico si provi a considerare e ripensare ciò che conosciamo e ciò in cui crediamo sulle origini, lo sviluppo e l’espressione della sessualità, del gender a sulla scelta dell’oggetto-sessuale, in entrambe le situazioni, clinica e di sviluppo umano.

Virginia Ungar (Argentina) ha salutato l’evento con un video, sottolineando come la collaborazione tra i tre partner sponsor (IPA, FEP, COWAP) abbia dato lo spazio e l’opportunità di discutere topiche molto “vive” nel nostro mondo contemporaneo. Ricordando quanto tale tematica sia stata oggetto di scambi molto vitali all’ultimo Congresso IPA di Londra, ne ha auspicato per il meeting di Bruxelles, come per il futuro, uno studio fruttuoso e rispettoso.

Serge Frisch (Belgio), past President FEP, ha presentato la sede FEP come luogo in cui la psicoanalisi internazionale può trovare uno spazio di dialogo aperto e luminoso, con grandi vetrate e quadri di artisti contemporanei, esposti in maniera ciclica e permanente, aprendo di fatto le relazioni in programma. Caratteristica, che ha come avvolto le presentazioni delle due giornate, è stata l’ampiezza del tempo dedicato alla discussione, organizzato con quindici minuti di domande subito dopo ciascuna presentazione (tre presentazioni per ogni mattinata), più altri trenta minuti conclusivi per discutere con tutti e tre i relatori ed il pubblico. Ciò ha significato più di un’ora di attiva discussione dei partecipanti per ciascuna mattinata. Nell’unico pomeriggio vi è stata la proiezione di due film-documentari, cui sono seguiti dei piccoli gruppi di discussione, confluiti poi in una discussione finale e generale. Dunque, stimolati dalle suggestioni delle presentazioni, tutti  hanno contribuito, in modo libero e spontaneo, a rendere l’evento un vero e proprio momento di studio, diverso dalle più tipiche conferenze, in cui l’uditorio tende ad ascoltare in modalità “top-down”, con una partecipazione molto più contenuta.

Dana Amir (Israele) ha aperto la mattinata del Theoretical Panel con la sua relazione “Gender in Movement: The Rhizomatic versus the Oedipal” (Gender in movimento: Il rizomatico versus l’edipico). Amir si riferisce al concetto filosofico di “rizoma” di Deleuze e Guattari, spiegando che “il rizoma è un fusto sotterraneo simile a una radice di alcune piante senza bulbo, collegato al suolo in modo orizzontale piuttosto che verticale. In contrasto con i rapporti lineari e ramificati tra albero e radici – in cui la direzione di crescita è fissa, sempre dalla radice alla chioma, il rizoma presenta relazioni laterali, meno centrali, non direzionali, come una rete, più simili all’erba. Sia l’albero che il rizoma, secondo Deleuze e Guattari, funzionano come metafore del pensiero. In contrasto con il modello di pensiero lineare, analitico, logico – rappresentato dall’immagine dell’albero – il rizoma suggerisce una metafora diversa per l’atto di pensare, dove ogni capillare, strato o asse è in costante contatto con ogni altra parte, non risultando né in linearità né in unidirezionalità.  A differenza del modello di pensiero rappresentato dal modello dell’albero, dove le relazioni tra i nodi di ramificazione e la loro continuazione sono inequivocabili, il pensiero rizomatico è multivalente.” Fin qui il concetto di Deleuze e Guattari. In aggiunta Dana Amir suggerisce che il gender abbia una componente rizomatica in aggiunta a quella edipica. La componente rizomatica “non si dirama in modo lineare, né si colloca su un asse di sviluppo unidirezionale. Sorgendo incessantemente, non si accumula in un’identità. Prende piuttosto la forma d’innumerevoli variazioni, che non necessariamente si legano, ma non si escludono a vicenda. Invece di uno sviluppo di genere edipico, basato sull’adattamento di determinate strutture, la componente rizomatica di genere si basa sull’evacuazione delle strutture egemoniche e sullo sconvolgimento dell’ordine saturato e vincolato.” Amir propone – riferendosi a Bion con la differenza tra stati di pensiero saturi e insaturi – che “la componente di gender edipica cerca la saturazione, la direzionalità e la stabilità, mentre accanto esiste la componente rizomatica, che rimane sempre aperta, insatura e in stato di divenire.” L’interazione tra le componenti di gender edipica e rizomatica è responsabile delle infinite varianti dell’identità di gender. Di nuovo si riferisce a Bion con la nozione di “Catastrophic Change” (cambio catastrofico) e i due principi chiave nella psiche umana: il principio emergente, che percepisce il mondo come in costante cambiamento, e il principio di continuità, che percepisce il mondo come stabile e fisso. Il principio di continuità serve come base per la componente edipica, mentre il principio emergente offre il fondo per la componente rizomatica. Amir sottolinea la necessità di un fecondo rapporto dialettico tra questi due principi. “Quanto più è fertile e produttiva questa interazione tra il rizomatico e l’edipico, tanto più è ricca l’esperienza soggettiva di gender. Quando d’altra parte l’interazione è maligna, il soggetto può collassare in una rigida riduzione ed in rituali feticistici di gender o, in alternativa, nell’usurpazione della continuità di gender per l’emergenza di un gender, che conduce all’assenza di qualsiasi esperienza e identità cumulativa di gender.” Secondo Amir una cosidetta “pseudo-rizomaticità” nega le differenze di gender in modo psicotico e anche l’esperienza di mancanza (di pene, vagina, seno, utero) che vi è inevitabilmente associata.

In sintesi è stata una relazione stimolante, ricca di pensieri filosofici che offrono una sfida impegnativa ai concetti psicoanalitici. Sicuramente l’aggiunta di materiale clinico avrebbe offerto un ulteriore arricchimento a tali riflessioni, ma Amir ha sottolineato che il compito a lei richiesto era di concentrarsi sulla teoria.

Adrienne Harris (USA) ha seguito con la relazione “Gender Fixed and Fluid: Gender and Suffering: Gender as Transformation” (Gender fisso e fluido: Gender e sofferenza: Gender come trasformazione), puntando l’attenzione sulla responsabilità etica verso l’“altro” che riguarda tutte le esperienze collettive di differenza di razza, classe sociale, genere e sesso. “E’ ancora molto potente la forza gravitazionale dell’eteronormatività e c’è necessità di farsi carico delle molte esperienze vissute in un complesso di forme creative di soggettività (gay, straight, gender fluid, gender queer, trans). Le differenze di genere/sesso sono aspetti che ci interpellano potentemente e continuano ad imporci una grande attenzione. Genere, razza, sessualità, generazione. Ci sono un certo numero di formati binari che gravano sulle nostre teorie, le nostre pratiche e certamente le nostre percezioni e giudizi. Molte di queste esperienze avvengono ad alta velocità e lontane dalla consapevolezza ( Kahneman, 2011 e Kahneman & Twersky, 2000)”. Mostrando una vasta cultura sociologica, oltre che psicoanalitica, Harris cita la “teoria queer” ed altri studi culturali dai quali si evince quanto i formati binari siano tra gli strumenti più importanti e primari dell’interpellazione e del controllo. “Anche noi nella pratica, attraverso molte operazioni intersoggettive inconsce, nelle nostre vite personali e come psicoanalisti, continuiamo al contempo a cedere a questi meccanismi ed a combatterli”. Ancora Harris cita Goffman, che ha esaminato la complessità delle transazioni sociali nella vita quotidiana. Il suo modello, l’interazionismo simbolico, ha influenzato una generazione di sociologi, interessati a come i gruppi codificano, giudicano e gestiscono la vita sociale e interpersonale. Ricorda poi il termine coniato da Leary (2000): ‘micro-aggressioni ’ ed apre un vasto approfondimento su  Laplanche e sul concetto di intersezionalità in particolare sulla sensibilità e la suscettibilità del bambino alla sessualizzazione da parte di altri, “che si allontana dalla nozione di impulso innato e di forme endogene di sessualità, senza ridurre il potere e la presenza della reattività e dell’attività sensoriale del bambino”. Da Laplanche a Crenshaw, vicini per l’approfondimento di quest’ultima nei confronti del potere dell’altro, genitore o fratello, che possa fungere da trasmettitore di messaggi (a livello conscio e inconscio) al bambino. “Questi messaggi e il processo di traduzione, di errata traduzione e di incapacità di elaborare, lentamente e inesorabilmente costituiscono la sessualità del bambino e la sessualità inconscia infantile”. Con Crenshaw riflette anche sull’“intersezionalità e sulle mutue/reciproche elisioni”, che si verificano dove due o più assi d’identità potenzialmente potenti sono “giustapposti per inerzia,” come per esempio genere e razza, ed accade che l’analisi dell’uno spesso neghi implicitamente la validità dell’altro”. Intersezionalità, Perpetrazione, Impianto, Intromissione sono solo alcuni dei concetti che Harris ha voluto presentare nella sua ricca esposizione teorica. Dalla grande attenzione agli interscambi madre-bambino alla nascita della sessualità, ha citato moltissimi autori in un discorso eclettico, che ha attraversato le teorie del caos e dei frattali, per giungere al concetto bioniano di Caesura, come modello di qualcosa che trascenda i formati binari.

Dopo il ricco coffe break della prima mattina, è stato veramente edificante ascoltare la relazione di Leticia Glocer Fiorini (Argentina), autrice di numerosissimi libri, molti dei quali tradotti anche in italiano, (riguardanti il pensiero femminile, il corpo, il corpo-edipico e la sessuazione, solo per citarne alcuni), che ha enunciato il tema principale del suo ultimo libro “Sexual Differencies in Debate: Bodies, Desires and Fictions”, già pubblicato in due lingue, ma non ancora in italiano.  La sua relazione “Il complesso edipico alla luce dei cambiamenti in sessualità e gender” è partita dal domandarsi se il complesso di castrazione di Edipo e la sua risoluzione ideale siano sufficienti per analizzare le diverse presentazioni di sessualità e gender con le quali oggi noi ci confrontiamo. “Benché come analisti lavoriamo con il complesso di Edipo come fatto clinico, questo non è, e non deve essere considerato, una categoria universale, poiché contempla solo un risultato normativo e dualistico per la costruzione della soggettività. Questa limitazione può diventare un ostacolo, non sufficiente per l’analisi della molteplicità degli itinerari del desiderio e delle varianti di genere che  si incontrano oggigiorno, nonché di fronte ai nuovi tipi di organizzazione familiare”. Per dare risposta al suo quesito iniziale, Glocer Fiorini analizza: il concetto di soggetto;  gli ideali permanenti riguardo alla coppia maschile-femminile; i contributi delle teorie di gender e post gender (e si domanda se il gender sia una categoria che dovrebbe essere usata o meno in psicoanalisi alla luce di questi); la nozione di famiglia. Come psicoanalista, i suoi punti di partenza sono i seguenti: a) il desiderio supera sempre le norme accettate; b) il genere assegnato è una categoria complessa che può far parte dell’identità, ma può anche essere vissuta come qualcosa di estraneo all’ego o può contraddire il sesso biologico; c) i corpi da soli non definiscono né l’identità sessuale, né la scelta dell’oggetto; d) l’oggetto del desiderio è contingente, il che non significa che sia arbitrario; e) gli ideali della mascolinità e della femminilità variano storicamente.
Come proposto nelle sue precedenti pubblicazioni (2001, 2007, 2017) il pensiero dualistico è insufficiente per pensare alla complessità della psiche. Perciò propone di pensare alla produzione della soggettività includendo almeno tre variabili: la sessualità/desiderio, il corpo e il genere. In questo contesto, la proposta è che l’accesso al mondo simbolico dipenda dal modo in cui ogni soggetto assume una rete di differenze: differenza anatomica, differenza di genere, differenza psicosessuale, differenze linguistiche e discorsive. Questa molteplicità di differenze, attraversate da variabili inter e trans-soggettive, determina la costruzione della soggettività, al di là dell’orientamento sessuale. La differenza simbolica si riferisce al riconoscimento dell’alterità come elemento fondamentale per la comprensione della costruzione della soggettività.

Nel pomeriggio sono stati proiettati due documentari. Il primo era “Resisterectomy” (2012) di Chase Joynt, un regista e scrittore canadese, in cui due personaggi raccontano le loro esperienze di vita riguardo a percorsi medici cui erano stati sottoposti per malattie intercorrenti. In parallelo il film permette di ascoltare le testimonianze sia di una donna, che doveva subire una mastectomia e cui veniva offerta (“automaticamente”) una mastoplastica, che lei non desiderava, poiché con l’occasione aveva riflettuto sul fatto che avrebbe preferito un torace mascolino, sia dello stesso regista, che era una donna con una problematica uterina, che necessitava un’isterectomia, ed aveva valutato di volersi sottoporre ad intervento per diventare uomo, piuttosto che mantenere conservativamente i caratteri fisici del sesso femminile. Le interviste descrivevano soprattutto gli atteggiamenti paternalistici da parte dei medici riguardo alla mastectomia senza mastoplastica ed all’isterectomia.

Il secondo film, “La candidata” (trad.:”Il concorrente”) di Emil Guevara Malavé e Ronald Rivas , registi del Venezuela e del Messico, intervista cinque persone che partecipano a “Miss Gay Venezuela”, un concorso di bellezza, in cui vincitore è colui il cui corpo maschile assomiglia di più a quello femminile. Il film mostra alcuni dettagli della vita dei protagonisti, le loro esperienze di travestiti o persone transgender, le loro opinioni sui loro rapporti con parenti, amici, colleghi, i loro sentimenti e desideri, le loro speranze e delusioni.

L’intero film parla molto del giocare con realtà diverse, dell’ “essere” e “sembrare come”, del “sentire come” e “voler essere percepiti come” dal mondo esterno. Inoltre il film si occupa dell’interrogarsi su cosa sia femminile, cosa sia maschile e cosa significhi bellezza. Ci si potrebbe chiedere a quale classe sociale appartengano questi protagonisti, conoscendo la situazione di estrema povertà in cui attualmente versa il Venezuela. Se fossero nella condizione di poter cercare un trattamento psicoanalitico? E come reagiremmo noi psicoanalisti nel nostro controtransfert?

Dopo i due film, i partecipanti delle giornate di studio si sono divisi in piccoli gruppi di discussione. L’impressione era che i partecipanti fossero eterogeni ed esprimessero atteggiamenti diversi riguardo ai due film ed alle idee teoriche emerse nel primo panel. I contributi si concentravano principalmente sulla questione dell’incrocio di gender e meno sul tema dell’omosessualità, che sembra essere una questione meno controversa. Nel complesso, c’era la sensazione che le persone si sentissero al loro agio nell’esprimere le proprie opinioni all’interno dei gruppi, anche quando le loro opinioni erano di minoranza. L’atmosfera era buona e attenta.

 

La seconda mattina di lavori ha aperto il Clinical Panel con “Shapes of Gender Identity: Three Stories with an Impact” (Forme di identità di genere: tre storie con un impatto) di Domenico Di Ceglie (Great Britain), collega italiano trasferitosi a Londra da oltre trent’anni, che ha presentato alcuni video di frammenti di terapie condotte da lui presso il Tavistock Centre negli anni ’90 con bambini/ragazzi gender e loro familiari, rivisitati oggi alla luce di nuove riflessioni proprie e degli sviluppi in campo psichiatrico e psicoanalitico. Guardando ai suoi casi in una nuova prospettiva, Di Ceglie riflette su possibili modelli di presa in carico per bambini ed adolescenti con uno sviluppo di identità gender atipico o gender diversity, usando il linguaggio attuale. Nella sua esperienza è stata molto utile l’esplorazione terapeutica congiunta, con la famiglia ed un professionista neutrale, volta a favorire l’autonomia nel processo decisionale, e legata ad un miglior consenso informato su ciò che è nell’interesse dello sviluppo del bambino e in particolare della sua identità di genere. Di Ceglie ha cercato di mostrare come la riflessione “a posteriori” sul materiale del caso, possa consentire un processo di “apprendimento dall’esperienza”, per dirla con Bion, e contribuire allo sviluppo di modelli di cura per diverse forme di identità di genere atipica. Nell’era digitale e nell’attuale clima culturale c’è il rischio che il processo di valutazione diventi piuttosto meccanico e semplicistico. Il ruolo dell’esplorazione terapeutica ha perciò un valore etico, nel promuovere non soltanto un consenso informato completo, ma soprattutto una vera autonomia decisionale, che renda davvero liberi, nella scelta più corrispondente alla soggettività.

La relazione di Avgi Saketopoulou (USA) aveva il titolo: Gender, Binding and the Sexual; on the analyst’s countertransferential agitation (Gender, legami e il “sexual”; sull’agitazione controtransferale dell’analista). Saketopoulou sostiene che l’identità di gender può essere intesa come un processo basato sull’ego. L’identità di gender può manifestarsi come esperienza cosciente o può essere dinamicamente inconsapevole. Quando l’identità di genere si è consolidata, viene percepita come ontologica, catturando qualcosa di essenziale su se stessi. L’autrice ci ricorda che fino a poco tempo fa le teorie psicoanalitiche tendevano a vedere uomini e donne come se esprimessero il gender “naturalmente” o “normalmente”. Riferendosi a Laplanche, Saketopoulou assume che tutte le posizioni di gender siano i risultati di traduzione del “sexual”, usando questa parola come la forza dell’inconscio non tradotto e della sessualità infantile. Non ci sono risultati di gender buoni o cattivi. È più importante come si vive il proprio genere, come lo si abita. Saketopoulou chiede di non giudicare più se una persona vive nel sesso giusto o sbagliato, cis o trans o atipico. Si tratta piuttosto di indagare quale lavoro psichico il gender compie in ognuno di noi, di vedere come il gender viene libidinizzato. In seguito, Saketopoulou esamina la gamma di reazioni di controtransfert, guardando l’analista con i suoi propri pregiudizi e angoli ciechi. Nel suo incontro con l’analizzando, l’analista è soggetta al risveglio della propria sessualità infantile. Secondo Saketopoulou, l’eccitazione nell’incontro con un’analizzando trans è sgradevole perché è eccessiva; l’analista si trova di fronte ad un’apertura del proprio“sexual” che viene messo in discussione dalla presenza della persona trans. Una reazione transfobica potrebbe essere il tentativo per legare l’eccitazione. Saketopoulou spiega la sua ipotesi con un esempio clinico del trattamento con una trans-donna, mostrando quanto possa diventare difficile il trattamento, se l’analista la interroga incautamente sulla sessualità e il corpo. L’utilizzo della parola “penis” (“pene”) per indicare l’organo sessuale è risultato difficile da accettare per la paziente, che preferiva chiamarlo “junk” (“robaccia”). Saketopoulou descrive la sua vergogna nel controtransfert, considera un processo di identificazione proiettiva, per poi considerare il fatto che lei, analista, si sia voltata inconsciamente verso il potere delle grida normative, rimandando se stessa e la sua paziente ad un regime di gender binario. Secondo l’autrice, l’analista è esposta in modo diretto all’alterità radicale del paziente trans. “L’incontro con tali pazienti stimola l’analista a ripensare le ipotesi su gender embodiment, sulla sua relazione con i contorni fisici del corpo – ma questa stimolazione non è uno stato pacificato o stabile: è snervante e inquietante.” Dopo la relazione si è sviluppata una discussione controversa e interessante sul caso e l’assunto di transfobia.

L’ultima relazione della seconda mattina è stataThe many colors of the rainbow: depathologizing sexual diversity” (I molti colori dell’arcobaleno: depatologizzare la diversità sessuale) di Sergio Lewkowicz (Brasile). A partire da dati che dimostrano quanto l’omofobia e la transfobia siano ancora diffuse in tutto il mondo, nel suo discorso ha definito patologico anche ciò che accade in psicoanalisi quando si considerano le molte presentazioni sessuali non binarie come anormali e come la causa principale dei conflitti che vivono i pazienti. Il pensiero binario finisce per ripetersi direttamente o anche indirettamente nel pensiero. Occorre uno sforzo costante per un pensiero integrativo più complesso. Secondo Lewkowicz, Bion (1970) può aiutare a comprendere questa resistenza, quando descrive le reazioni di rifiuto dell’establishment verso le nuove idee e verso le persone che le portano. Il nuovo, l’ignoto, mobilita intense reazioni nella nostra mente e nelle istituzioni, comprese le istituzioni e le teorie psicoanalitiche. Dobbiamo cercare di ascoltare e riorganizzare le nostre teorie sulla base dell’esperienza di persone che vivono ed esprimono la loro sessualità e l’identità di genere al di fuori degli standard binari e dell’eterosessualità. La bussola migliore è, indipendentemente dalla loro identità di genere e dall’orientamento sessuale, lasciarsi toccare dall’essere umano specifico e unico che ha cercato la nostra assistenza.

Alla fine, nella discussione conclusiva e durante il pranzo offerto nella casa della FEP, la maggior parte dei partecipanti ha espresso grande soddisfazione per questo primo convegno dell’IPA sul tema di diversità del genere e sessualità. Naturalmente questo è stato solo un inizio. C’è la necessità di continuare a sviluppare i concetti teorici ed a condividere le esperienze cliniche inerenti a questa tematica così interessante.

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