Eventi

Garella A.

17/06/14

L’illusione del Soggetto

Alessandro Garella

La questione del soggetto pone la stessa difficoltà descritta da Agostino d’Ippona riguardo al problema della natura del tempo: si sente di sapere che cosa la parola ‘soggetto’ voglia dire – in particolare chi sia il soggetto – , ma s’ignora come farne un oggetto di sapere – che cosa sia un ‘soggetto’. Come il tempo, così il soggetto sfugge al discorso che tenta di fissarlo, non perché opaco ma al contrario perché troppo in vista, in piena luce. Siamo immersi nel tempo e non possiamo prenderne la distanza necessaria ad osservarlo ed oggettivarlo, se non a prezzo di artifici che lo pongano al di fuori di noi stessi, come accade con la cronologia, strumento di oggettivazione del tempo: Siamo immersi nella (nostra) soggettività e non abbiamo altri punti di vista da cui guardarla se non il nostro. Poiché gli altri ci appaiono grosso modo simili a noi, concludiamo che la soggettività sia una qualità condivisa. Su questa base sono inevitabili il dubbio e l’illusione.
In ambito psicoanalitico il soggetto possiede molte e diverse collocazioni teoriche, nessuna delle quali sembra esaurirlo o legittimarlo concettualmente. Dal punto di vista topico viene associato ora all’uno ora all’altro dei sistemi psichici: in primo luogo al sistema preconscio-coscienza, ma anche all’inconscio, come accade per il lacaniano ‘soggetto dell’inconscio’. Dal punto di vista strutturale viene tematizzato come una funzione dell’Io, istanza agente e mediatrice, ma anche come funzione dell’ideale (del Super-io, come il soggetto della coscienza morale, oppure dell’Ideale dell’Io, come il soggetto rivestito delle massime qualità). In termini processuali e oggettuali, infine, il soggetto si pone rispettivamente come espressione dell’autoconsapevolezza e prodotto di processi psichici definiti tautologicamente di ‘soggettivazione’, e come controparte esistenziale dell’oggetto, e in tal caso è incluso in una qualche forma di Sé.
D’altra parte, a volerlo esorcizzare come termine ‘pre-teorico’ o ‘a-teorico’ non si fanno molti passi avanti; al contrario sembra che si possa avanzare solo passando per questa cruna di pensiero, come dimostra il dibattito sull’argomento accesosi almeno da un paio di decenni su entrambe le sponde dell’Atlantico. La corrente ‘intersoggettivista’ della psicoanalisi nordamericana assume il soggetto come termine a quo del suo discorso, punto di partenza per una riconsiderazione della teoria del trattamento e della psicoanalisi tout court. In Europa, la psicoanalisi francese fa del soggetto una nuova frontiera della metapsicologia e in generale della ricerca teorica psicoanalitica. Né l’utilizzo di termini più legati all’idea di processo e dinamica, come ‘soggettivazione’ o ‘soggettualizzazione’ (Cahn 1991), consente di aggirare il quesito su che cosa sia il soggetto intorno a cui verterebbero processi e dinamiche così definite.
Come prima conclusione, mi sembra che il soggetto si presti ottimamente ad interpretare il disagio della teoria. Come un personaggio di E.T.A. Hoffmann, così amato da Freud, il soggetto si presenta sotto molte vesti e con diverse identità, cambiando parti e impegni, con un’abilità letteralmente diabolica. E in questi termini il soggetto sarebbe propriamente ciò che infesta la psicoanalisi piuttosto che fare riferimento a una parte della realtà psichica che attende di trovare posto nella teoria. La teoria dovrebbe esorcizzare tale presenza, assoggettandola alla propria capacità descrittiva e magari anche esplicativa, ma finisce spesso per trovarsi, lei, assoggettata alle trappole del linguaggio comune e del pensiero cosciente, nella miriade di pentole che il diavolo fa senza fare il coperchio della chiusura concettuale, cioè senza che dai pensieri e dalle parole si tiri una conclusione, come per es. una definizione e infine un concetto..
Qualche interrogativo di partenza per un’esplorazione psicoanalitica della questione: dal momento che soggetto è termine attivo o passivo – soggetto di o soggetto a -, come distinguerne le posizioni e i ruoli negli investimenti e nelle relazioni; quali sono i rapporti che il soggetto intrattiene con la coscienza e/o con altri sistemi analiticamente definiti; come affrontare la questione delle differenze fra uso analitico e uso comune del termine ‘soggetto’, includendovi termini affini nel linguaggio comune, in particolare individuo e persona; quali traiettorie evolutive del soggetto sono concepibili su base teorica e osservabili nella clinica. Qui si possono svolgere tutt’al più delle considerazioni con la speranza che mostrino possibili vie di ricerca. Per comodità e sintesi le riassumo nel modo seguente: illusione dell’attività e realtà della passività del soggetto; soggetto e autocoscienza quali proiezione di strutture; irrappresentabilità dell’individuo per l’anomia della sua esistenza versus soggetto come rappresentazione, nella coscienza, di agency e di capacità di relazione.
L’esperienza quotidiana mostra che ciascuno possiede e presenta un centro della propria attività psichica, da cui prendono impulso e a cui ritornano azioni, pensieri e stati d’animo, in un processo continuo. Solo il sonno e particolari condizioni psicofisiche interrompono la continuità e non è un caso se al senso comune tali interruzioni sono apparse più vicine alla patologia che alla normalità. Il termine ‘soggetto’ definisce questo centro e costituisce l’erede moderno di termini più antichi, come ‘anima’ o ‘spirito’. Il suo significato riguarda due qualità psichiche, la coscienza e l’attività (nel senso di agency), riferite a un preciso àmbito che tento di definire così: il soggetto è l’essere umano che è cosciente della propria attività ed è attivo nel prendere coscienza di sé e del mondo.
La Psicoanalisi ha ribaltato questa concezione, costituendo la tappa fondamentale e rivoluzionaria di processo bimillenario del pensiero occidentale (Martin & Barresi 2006). In sintesi essa sostiene che la coscienza: a) è la parte più superficiale di un apparato, deputata a raccogliere dati provenienti dall’esterno e dall’interno di tale apparato; b) si fonda su un’attività inconscia, grazie alla quale essa accoglie elementi già filtrati da operazioni psichiche, tra cui quelle difensive e quelle cognitivo-percettive. La coscienza alimenta con la sua chiusura l’illusione di un presente definito e di un punto di vista e d’azione integrati, mentre invece ogni suo contenuto è preparato a comparirvi da processi inconsci, nel senso più ampio del termine. In effetti, la ricerca neurofisiologica da tempo ha appurato che il presente della coscienza è già trascorso da una frazione di tempo rispetto ai processi neurali che l’hanno prodotto; il ricordo è stato già riorganizzato prima dell’evocazione; la percezione ha previamente subito una organizzazione o ‘categorizzazione’ (Edelman 1989) sulla scorza dell’esperienza precedente; l’intenzione o ‘volontà’ si è già formata prima di giungere alla luce del sole cosciente.
Come la coscienza, così il soggetto, sottoposto alla critica scientifica e filosofica della modernità, a cui Freud ha dato impulso fondamentale, ha perso il significato di sostanza, sia nel senso spirituale di anima che in quello razionale di ragione o intelletto. Il soggetto, perdendo di essenza, ha guadagnato in funzione, nell’assumere il ruolo di fondamento della conoscenza ed espressione dell’individualità consapevole. In termini filosofici, il soggetto è uscito dal piano ontologico-metafisico per entrare in quello gnoseologico ed epistemologico. Con questo spostamento concettuale esso è andato incontro ad un processo filosofico di perdita delle caratteristiche di sostanza senza però assumere quelle di accidente.
La Psicoanalisi ha ulteriormente decentralizzato il soggetto, mostrandone la natura emergente (Wainrib 2006) e composita, evidenziando sia nella teoria che nella clinica la difficoltà di trovare per questa nozione un riferimento sufficientemente consistente. In ambito clinico, infatti, ci si trova di fronte ad una realtà sfuggente, discontinua, parcellare e composita, tanto che il soggetto, nella sua dimensione concettuale, appare di difficile utilità a confronto di termini dal significato più ristretto e più rispondente a descrizioni cliniche omogenee. L’esigenza di identificare un punto a cui riportare una sorta di unità o fulcro dell’individuo ha fatto ricorso invece al termine Sé o si è aggrappata al concetto di Io, magari ampliandone l’operatività. (Chabert 2006)
La crisi concettuale del soggetto come essenza o sostanza, innescata dalla Psicoanalisi, passa per il riconoscimento che non c’è contenuto conscio senza radici nell’inconscio, dinamico o strutturale, e quindi che il soggetto, come contenuto o addirittura come qualità particolare della coscienza – il soggetto autoconsapevole – è solo una proiezione di processi inconsci. La continuità e coerenza, la dimensione di agency, l’intenzionalità razionale o almeno ragionevole che lo caratterizzano sono illusorie. Il soggetto in Psicoanalisi perciò è punto d’arrivo di processi di pensiero che nella coscienza trovano forma nella costituzione di un punto di vista appunto soggettivo; in filosofia e in altre discipline il soggetto invece è punto di partenza per l’osservazione e la riflessione. La soggettività individuale mostra una ‘profondità’, una continuità e una coerenza che in realtà dipendono dall’estensione della coscienza e dalla misura in cui i processi inconsci riescono a trovarvi accesso. Ed è noto che tutto ciò può avvenire solo in misura relativa.
Il tema si rileva clinicamente in molte occasioni: per es. l’esito del trattamento analitico può consistere in un ampliamento del campo di coscienza e in una redistribuzione degli investimenti e dei processi psichici, a favore di un aumento della loro accessibilità alla coscienza. Il risultato ‘soggettivo’ è che il paziente si percepisce dotato di autoconsapevolezza e di senso di agency maggiori del passato, fornendone prova nei pensieri e nelle azioni (comportamenti). Non è che il soggetto sia divenuto di per sé più ‘attivo’ nel percepire la propria ‘soggettività’, in maniera diretta e consequenziale per così dire, ma è cresciuta la possibilità dell’apparato psichico di produrre contenuti ed azioni consapevoli e autoconsapevoli attraverso l’interazione fra processi e strutture psichiche associate a regimi differenti e topiche diverse: il ‘nuovo’ soggetto ne dà testimonianza.
“Avete l’illusione che esista una libertà psichica e non vi piace rinunciarvi. Mi dispiace, ma su questo punto il mio parere è in netto contrasto con il vostro”: le parole di Freud (1915-17 p.229), rivolte ai critici dell’interpretazione psicoanalitica degli atti mancati, valgono anche per la questione del soggetto. Ci si deve chiedere tuttavia se l’illusione del soggetto appartenga al genere dell’errore o faccia parte della necessità di conoscere, di cui alimenta la spinta verso più realistiche spiegazioni del mondo(1). Ora l’esistenza di un soggetto, o di una funzione-soggetto (Garella 2012), è solo implicitamente asserita nel trattamento analitico, per il fatto che sia la teoria che il metodo non possono assumerle in maniera diversa da un prodotto di sintesi e perciò in posizione secondaria rispetto al compito primario dell’analisi. La teoria poi, per es. la seconda topica, concepisce soprattutto processi e istanze, di cui formula relazioni e struttura, e mira all’esplicazione dei rapporti fra lo psichico e il suo esterno, sia esso il corpo o la realtà extra-individuale. Il soggetto vi appare solo come in prospettiva, come punto di ‘fuga’ (della metapsicologia, secondo Assoun 1997 p.320) e dunque non risulta concettualmente inquadrato. Il metodo infine, in particolare quello delle libere associazioni, mira ad aggirare la funzione sintetica dell’Io e a indebolire la funzione dell’autoconsapevolezza, la funzione-soggetto, per cogliere l’emergenza di aspetti e contenuti che di soggettivo nel senso comune hanno sempre meno o perfino nulla. La passività senso-motoria imposta dal dispositivo analitico si oppone anch’essa alla dominanza dell’attività (agency) caratterizzante il soggetto, favorendo invece l’osservazione di tipi di agency legate a strutture profonde nelle quali si riconoscono i derivati dell’inconscio e che sono prive di autoconsapevolezza e talora anche di semplice consapevolezza. Il soggetto, in altri termini, rimane in analisi come punto a cui si appoggia la prospettiva del trattamento nel corso del processo di analisi ed elaborazione, favorendo una direzione implicita del processo analitico ma risultando irraggiungibile in quanto tale.
La caratteristica più importante del soggetto è l’autocoscienza o consapevolezza di se stessi, caratteristica che per antropologi ed evoluzionisti raggiunge un vertice di finezza e complessità solo nella nostra specie. In campo psicoanalitico non c’è stata teoria dello sviluppo psichico che non abbia descritto il momento e il modo in cui la consapevolezza di sé compare sulla scena psichica. Da Freud a Klein, da Winnicott a Lacan, la questione ha mantenuto un posto privilegiato nella costruzione teorica pur ricevendo formulazioni assai diverse. Tuttavia si potrebbe notare come in tutte queste teorie – pur nella differenza di vocabolario e di concetti – si mantenga una sorta di nucleo comune, un assunto di fondo, relativo alla nozione che la consapevolezza di sé, dalle forme più semplici dell’infanzia a quelle sofisticate dell’adulto acculturato, emerge dalla relazione con l’altro. Mi sembra cioè che in Psicoanalisi si ritenga postulato fondamentale dell’autoconsapevolezza l’esistenza di una relazione fra l’individuo biologico e l’altro, comunque lo si voglia definire. È quest’ultimo che nel prendersi cura del primo innesca l’equivalente di un processo di bootstrap (2), in questo discussione un processo di soggettivazione, il cui esito, mai definitivo e concluso, è la costituzione di un soggetto autoconsapevole. L’indifferenza della pulsione per l’oggetto, che rappresenta una sorta di negazione iniziale della realtà, si trasforma in una crescente valorizzazione(3) dell’oggetto stesso nel corso delle vicissitudini pulsionali, a partire dall’assunzione da parte dell’Io di se stesso come oggetto d’investimento libidico narcisistico. La controparte di questo processo di ‘oggettivazione’, rimasta in ombra nel pensiero psicoanalitico, è rappresentata dal processo di ‘soggettivazione’, che porta al duplice risultato di allargare il campo di coscienza all’autoconsapevolezza e di proiettarvi un complesso di rappresentazioni, il soggetto, il cui fine è sempre stabilire un delimitazione fra ‘proprio’ e ‘altrui’, con ciò stesso ribadendo la relazionalità da cui nasce. Il punto centrale non sta nella distinzione tra ‘proprio’ e ‘altrui’, tra ‘me’ e ‘non-me’, ‘Io’ e ‘altro’, perché a mio parere riguarda la capacità di qualificare come ‘propria’ una relazione, che all’interno della coscienza può riguardare tanto se stessi o quanto l’altro. In tale capacità c’è anche la percezione di agency, la percezione cioè dell’esistenza ed attività di un particolare vertice, il ‘soggetto’ come prodotto della funzione-soggetto, che discrimina fra i contenuti della coscienza quelli che rientrano in una relazione con sé, cioè possiedono o presentano una qualità ‘soggettiva’.
L’utilità dell’illusione del soggetto giace dunque sul piano del mantenimento di una relazionalità imprescindibile nella sua essenza ma assai variabile nella consistenza e qualità(4). Nessun essere umano può sottrarsi alla dimensione relazionale, perché è la stessa psiche ad esserne modellata, come obbedendo ad un principio di fondo: nemmeno lo psicotico può rinunciare a relazionarsi con qualcosa di esterno, sia pure un esterno illusorio perché nato dalla proiezione. Tuttavia mi sembra rimanere valida la concezione freudiana di una base pulsionale, in cui la pulsione che persegue la scarica è priva di soggetto e ignora l’oggetto in quanto distinto e separato: è il corpo, il ‘costituzionale’ freudiano, dotato di una vitalità oscura e insopprimibile, a costituire un fondo individuale il cui obbiettivo è semplicemente ‘essere’. Qui l’illusione trova un ostacolo definitivo: non ci si può dare rappresentazione dell’essere.
Su questo punto è illuminante la distinzione di Todorov (1995) fra ‘essere’, ‘vivere’, ‘esistere’. L’essere, spinozianamente inteso come un’infinita ripetizione dell’esistente, si manifesta nell’uomo secondo il tratto della coazione a ripetere: esso non mira direttamente alla morte perché afferma un’inerzia, condivisa con l’intero universo materiale, che però risulta morbosa e mortale per l’essere umano. Il vivere identifica l’area dei bisogni, dell’autoconservazione, della sessualità biologica, che pur non essendo più inerzia e ripetizione cieca, non è ancora il livello degli infiniti mondi resi possibili dal desiderio, il livello proprio dell’esistere. Mi sembra che i livelli dell’essere e dell’esistere siano propri rispettivamente dell’individuo e del soggetto; quanto al vivere, può dissolversi nei due precedenti, entrambi diversamente vitali.

Note

(1)“Un’illusione non è la stessa cosa di un errore, e non è nemmeno necessariamente un errore.” (Freud 1927 p.480).
(2)In campo informatico definisce la dinamica per la quale una serie di processi di crescente complessità e livello conducono un calcolatore dal momento zero dell’accensione a quello della piena operatività.
(3)I tipi di angoscia descritti da Freud (1926) ne mostrano gli aspetti problematici.
(4)Qui c’è consonanza con le tesi di Green (1995) sulla connessione tra Soggetto e Relazione.

Bibliografia

Assoun P.L. (1997). Introduzione alla psicoanalisi. Roma, Borla, 1999.
Cahn R. (1991). “Du Sujet”. Revue française de Psychanalyse, LV, 1354-1490.
Chabert C. (2006). L’Io, il sé e il soggetto. In Richard F. e Wainrib S. op. cit.
Edelman G. (1989). Il presente ricordato. Una teoria biologica della coscienza. Milano, Rizzoli, 1991.
Freud S. (1915-17). Introduzione alla psicoanalisi. O.S.F. 8.
——- (1926). Inibizione, sintomo e angoscia. O.S.F. 10.
——- (1927). L’avvenire di un’illusione. O.S.F. 10.
Garella A. (2012). La questione della terza topica e la posizione del soggetto in psicoanalisi. Rivista di Psicoanalisi, 58:843-863.
Green A. (1995). Propedeutica. La metapsicologia rivisitata. Roma, Borla, 2001.
Martin R. & Barresi J. (2006). The rise and fall of soul and self. New York, Columbia University Press.
Richard F. e Wainrib S. (2006). La soggettivazione. Roma, Borla, 2008.
Todorov T. (1995). La vita comune. Parma, Pratiche, 1998.
Wainrib S. (2006). Un cambiamento di programma per una psicoanalisi diversificata. In Richard F. e Wainrib S. op. cit.

Alessandro Garella
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80128 Napoli
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