Eventi

Lisciotto D.

16/06/14

Trasformabilità e vincoli nella cura: al di là della nevrosi.

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Immagini e Movimento
Donatella Lisciotto

“Le percezioni sono basate su inferenze inconsce che rendono possibile trovare il consueto nell’inconsueto, il familiare nel nuovo” (H.Helmholtz)

Queste foto sono state scattate da un’automobile in corsa mentre viaggia in autostrada.
Ritraggono immagini comuni, all’imbrunire, alberi e nuvole, asfalto e automobili in velocità sulla carreggiata.
I punti luminosi che si vedono sono l’effetto della rifrazione della luce sul finestrino dell’auto; mentre la lunga striscia gialla, i fari di una macchina.

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La strada, le fronde degli alberi, le auto, le luci dei fari, scosse dal movimento rivelano forme non riconoscibili dell’oggetto ma inscrivibile ad esso, senza tuttavia essere percettivamente riconducibili alla realtà.

Forme nuove, forme-altre, fanno pensare all’indifferenziato, all’informe, a ciò che, pur facendo parte dell’oggetto non è l’oggetto.
Aspetti invisibili dell’oggetto possono dunque apparire se si introduce il movimento.
L’oggetto allora sembra comporsi e scomporsi delle sue stesse parti, e rendere evidenti definizioni e ridefinizioni imprevedibili.
Il più è invisibile agli occhi; la percezione misura, e mentre ordina i dati, nasconde qualcos’altro che, pure, appartiene all’oggetto.
Si tratta di dettagli, nei quali avanza, attraverso lo “scuotimento” proprio del movimento, l’irrappresentabile.
Possono essere aspetti non necessariamente traumatici bensì legati al sublime, all’imponderabilità del desiderio, ad una estensione sensoriale che si inoltra fino alla percezione del perdersi, moltiplicarsi, suddividersi, senza tuttavia fondersi-con; piuttosto, espandersi.

“Muova il quadro”
E’ fin troppo ovvio che le immagini sollecitano un aspetto proiettivo, di volta in volta, differente e singolare.
Il punto è : come il movimento arricchisca e sveli elementi insaturi dell’oggetto, altrimenti invisibili, nello scatto fotografico come nell’istantanea analitica.(R.Basile).
Il movimento prodotto dall’analisi rivela aspetti del fatto psichico inimmaginabili e irraggiungibili alla stregua dell’immagine di un faro che diventa una striscia luminosa o la compattezza di una fronda d’albero che estendendosi, si dilata, ponendo in essere ciò che, all’origine, si connota come irrappresentabile.
“Muova il quadro”, dice un paziente ad analisi avanzata, quando avverte uno scivolamento verso un fermo immagine, tipico dell’esistenza di fattori traumatici che bloccano visione e comprensione, o durante un momento d’impasse dell’analisi.
Le parole del paziente giungono come un prezioso suggerimento, un’indicazione di rotta; la richiesta di essere coadiuvato nel produrre un movimento che riveli altri e nuovi vertici di comprensione, altre visioni o visioni in (-visibili).
“Muovere il quadro” sull’obiettivo permette all’analista di svariare, provocare una dilatazione, un’estensione dell’oggetto onde tirar fuori altri particolari, da uno aggiungere altro, dettagli caledoscopici.
Mescolanze e dissolvenze di tinte e di forme generano molteplicità sconosciute attorno all’oggetto; e, come simmetrie e asimmetrie matteblanchiane, complessivizzano l’unitarietà.

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La faccia.
“L’Invisibile è ciò che non è attualmente visibile ma potrebbe esserlo (aspetti nascosti o inattuali della cosa, – cose nascoste, situate ‘ altrove’ – ‘Qui’ e ‘altrove’ “.( M.Merlau Ponty)

Questa fotografia è stata scattata con l’iphone.
Ritrae l’immagine di una finestra della mia stanza d’analisi.
Un leggero movimento impresso alla mano al momento dello scatto, ha determinato l’effetto che vedete.

La finestra diventa una faccia o una maschera, (triste, mesta, persa?), o una fiamma, o una faccia divorata dalle fiamme, e persino altro, dipende dalle interpretazioni, che volutamente lascio insature.
La ricerca sul movimento dell’immagine fotografica rimanda al movimento interno avviato dalla cura analitica, e alla visione (conoscenza) di immagini inscritte in noi e non ancora viste, alle quali non abbiamo avuto, o non abbiamo voluto avere accesso.
Parafrasando Bion : “Non solo è importante ciò che voi dite o fate, è anche importante ciò che non dite e non fate”.
L’analista, come il “visionario”, l’artista, gode della capacità di rappresentare ciò che “è”, e ciò che è “altrove” mentre è “qui”.
Il movimento nello scatto, come il movimento analitico, produce e porta alla visibilità forme diverse dell’oggetto; non-visibili e, addirittura, non-immaginabili, laddove prevale l’antinomico, l’immaginifico, il perturbante.
Ecco che l’oggetto-finestra assume altra forma, diviene altra “cosa”, non vista altrimenti, il movimento sembra estrarre la forza e l’ energia dell’immagine stessa, trasformando ciò che appare in tanto ciò che è (non in solo ciò che appare);
L’analisi, strumento che prevede trasformazione, avvia la mente alla visione di altre immagini interne o di nuove immagini che si separano e si evolvono da quelle conosciute e consuete.

La “messa a fuoco”, nel gergo fotografico, rimanda alla funzione trasformativa della psicoanalisi; non solo nel rendere nitido ciò che è oscurato o trasfigurato, piuttosto nel proporre un “obiettivo grandangolare”(R.Basile) che veda altre dimensioni dell’oggetto, solitamente visibili nel sogno, nella réverie, nei lapsus , negli atti mancati, nella dissociazione.
La domanda è:
quando “guardiamo” un paziente, quali immagini mettiamo a fuoco? Quali immagini sviluppiamo? E, soprattutto, di quali immagini ci accontentiamo ? e quali immagini creiamo?
Quale trasformabilità riusciamo a raggiungere che sciolga il patto nevrotico?
Il movimento, assieme a gli altri fattori della cura analitica inscritti nella regola fondamentale, potrebbe contribuire a cogliere il dettaglio, il “ciuffo folle” (R.Valdrè) l’invisibile agli occhi, quello che è e non appare e quello che è e potrà divenire. Dettagli da cui non si può prescindere e che vanno raccolti prima e integrati dopo per un effettivo processo analitico che sia trasformativo.

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finestre nella stanza d’analisi

“(…)noi vediamo le cose stesse, nel loro luogo, là dove esse sono, secondo il loro essere che è ben di più che il loro essere -percepito, e al tempo stesso ne siamo allontanati da tutto lo spessore dello sguardo e del corpo: il fatto è che questa distanza non è il contrario di questa prossimità, ma concorda profondamente con essa” (Il visibile e l’invisibile. Merlau Ponty.Bompiani.1969).

biblio
Basile, R. – intervista in La psicoanalisi e l’immagine a cura di D.Lisciotto – spiweb. 2012
Bion, W.R – Seminari clinici – Cortina Editore.1989
Helmholtz, H. – Opere di Hermann von Helmholtz. UTET.1962
Merlau Ponty, M. – Il visibile e l’invisibile – Bompiani.1969
Ogden, T.H. – Riscoprire la psicoanalisi – CIS.2009
Valdrè R.- La lingua sognata della realtà – Antigone.2013

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