Eventi

Report Convegno Nazionale sul lavoro analitico con i bambini e adolescenti – Pisa febbraio 2011

24/02/11

Agito,
Azione, Enactment: Significati e Trasformazioni possibili.

 

4-5 Febbraio
2011                  

Istituto
Scientifico  Stella Maris, Calambrone
(Pisa)


Commento a cura di Patrizia Masoni e Maria
Naccari Carlizzi

Il
primo convegno nazionale della SPI sul lavoro analitico con i bambini e con gli
adolescenti si è svolto presso l’Istituto Scientifico Stella Maris di
Calambrone (Pisa), nelle soleggiate giornate del 4-5 febbraio 2011.
Quest’evento, che si auspica il primo di una serie, ha risposto anche al
bisogno nel panorama psicoanalitico italiano di una riflessione su temi di
attualità: analisi dei bambini e degli adolescenti, connessioni con le aree
limite, ri-pensare il funzionamento della coppia analitica al lavoro e la
soggettività dell’analista rispetto ai diversi funzionamenti psichici per
favorire i collegamenti fra i vari livelli della mente, con i più differenti
linguaggi: dai figurativi preverbali, a quelli del comportamento, su cui ha in
particolare posto l’accento questo convegno, sino all’area del sogno.

Marta Badoni e Laura Ambrosiano
nell’apertura  del Convegno, ci
introducono nel vivo del tema proposto: si delinea una psicoanalisi di ricerca,
che dialoga su concetti e aree controverse dell’universo psicoanalitico ed, in
particolare, sui confini del setting analitico e sulla clinica delle sue
violazioni o presunte tali. Il filo di Arianna, che lega le due intense
giornate, è rappresentato dall’analisi dei Significati e dalle
Trasformazioni possibili di questi storici concetti, che ne consenta una
comprensione più completa: quale verità emotiva si cela nelle diverse forme
dell’agire sia per il paziente adulto, adolescente o bambino, che per l’analista
e con quali di queste modalità la coppia analitica comunica reciprocamente
nella relazione?

Maria Ponsi nel suo ricco excursus sull’
"Evoluzione del pensiero psicoanalitico. Acting out, Agire, Enactment" è
partita dall’AGIEREN Freudiano, – mettere in atto-  contrapposto ad – ERINNEN- , ricordare,
recuperare il ricordo rimosso attraverso la sua 
trasformazione nel verbale (S.F. 1905; 1914)
; l’agire fu percepito
dal padre della psicoanalisi inizialmente come una  resistenza al lavoro analitico, coerentemente
alla teoria classica pulsionale e all’approccio intra-psichico, ma
successivamente fu anche letto come l’indicatore di una dinamica psichica
inconscia che rappresenta un’occasione per portare alla coscienza aspetti
psichici rimossi e non altrimenti esprimibili. L’autrice sottolinea che
l’espressione non contiene una indicazione spaziale:- out- (esterno) rispetto
ad un -in- riferito allo spazio analitico, bensì l’accento è posto su una
azione che è "fuori dalla mentalizzazione", "al posto del pensiero". Negli
ultimi decenni, con l’avvento dei nuovi modelli psicoanalitici, nei quali
l’enfasi è posta su aspetti relazionali interpsichici anziché su aspetti
pulsionali intrapsichici, il termine Acting -out ha perduto il senso di "dirty
word", con attenzione proprio agli aspetti comunicativi in essa contenuti: un
agito veicola l’intenzione, ancorché inconscia, di mettersi in relazione con
l’altro, l’analista attraverso le proprie risonanze controtrasferali potrà
restituire al paziente con l’interpretazione, la intenzionalità comunicativa
dell’agito. Particolare rilievo assume il momento in cui l’analista si accorge
di essere lui stesso ad "agire", in un intreccio di microazioni che rimandano
da lui al paziente e viceversa; nel modello interattivo e bi-personale si parla
di "Enactment" (Ponsi 2006), ma le due prospettive possono coesistere. La
vignetta clinica presentata ha illustrato, nell’analisi di un adulta, come il
riconoscimento dell’enactment abbia consentito all’analista di superare
l’impasse e di spostare il livello all’interpsichico e interpersonale, con la
creazione di una scena analitica nuova e con l’evocazione di un personaggio
inaspettato: "la bambina grandicella" capace di riassemblare nuovamente i pezzi
della storia della paziente.

La discussione ha messo a fuoco molteplici
vertici di lettura: comprendere il valore comunicativo di quello che sta
avvenendo, interpretare il setting come funzione; per definire e differenziare
l’acting out dall’enactment. Si è sottolineata l’appartenenza dell’enactment
all’inconscio della relazione, che pertiene alla scena fra paziente e analista.
L’osservazione che nella clinica infantile, inoltre, si usino, spesso modelli
più avanzati che nella teoria, per cui la precocità sociale dell’infante
dimostra che la sua mente è predisposta per comprenderne un’altra, permette di
ipotizzare che l’enactment possa diventare uno script, cioè una sceneggiatura,
che emerge dentro la relazione analitica e che l’analisi infantile a sua volta
possa in qualche modo fungere da modello di comprensione, in quanto il
comportamento precede il sistema simbolico verbale e informa il proprio sé.
L’enactment è, quindi, necessario, per entrare in contatto con il paziente; si
tratta, in effetti di intrecci di notazioni metapsicologiche e teorie dello
sviluppo diverse, che non possono essere racchiuse in camere stagne per
esigenze della teoria, ma si devono attualizzare nella clinica.

Il sabato mattina si è aperto con la stimolante
relazione di Diomira Petrelli che, riprendendo Melanie Klein ed Ester
Bick , si interroga sul "destino" dell’analisi infantile e sul perché la sua
diffusione sia ancor oggi scarsa: forse il pregiudizio iniziale espresso da
Freud ha condizionato il suo sviluppo in quanto ritenuta meno psicoanalitica
dell’analisi degli adulti poiché troppo "agìta" per essere una "vera"
psicoanalisi? La tesi dell’Autrice è che tali difficoltà invece, assunte come
sfida, hanno permesso alla Klein di "inventare" una nuova tecnica che
sostituisse quella delle libere associazioni e dei sogni, contribuendo
all’ampliamento del modello di funzionamento dell’apparato mentale e della
psicoanalisi, la quale, una volta entrata nella stanza da gioco, non è più
stata la stessa. Nell’analisi infantile lo psicoanalista è in prima linea con
tutta la sua persona, incluso il proprio corpo; l’azione, la messa in scena nel
gioco, diventano lo strumento privilegiato di comprensione del mondo interno
del bambino, popolato da oggetti che subiscono alterne vicende con espulsioni o
interiorizzazioni sul modello del funzionamento corporeo: le fantasie inconsce.
Il problema se mai è proprio quello dei bambini che non sanno o non possono
giocare, paralizzati in sterili stereotipie. In questo modello la relazione
oggettuale e la  fantasia inconscia sono
modi di essere proto- rappresentativi della vita mentale stessa ed ogni forma
di azione è veicolo di fantasie inconsce che possono essere comprese attraverso
canali comunicativi corporei, non- verbali e pre-verbali. Questa
attività-gioco, è a metà strada tra sogno ad occhi aperti e azione; nella
cornice strutturante del "setting" anche la stanza d’analisi è investita da
fenomeni transferali; uno dei fattori terapeutici dell’ analisi è costituito,
analogamente al medium dell’artista, proprio dalla "malleabilità"
(Marion Milner) intesa soprattutto come capacità dell’oggetto analista, di
accogliere l’impronta del bambino e di lasciarsi manipolare in senso mentale:
una sorta di recettività che implica, in termini bioniani, la capacità del
contenitore di accogliere le proiezioni e di lasciarsi in parte trasformare; il
contenitore che non contiene le emozioni obbliga ad "alzare il tiro",creando le
condizioni per gli agiti. E’ necessario distinguere, infatti, una azione
da un agito in base ai significati emotivi che sottostanno ai comportamenti:
nei due casi clinici proposti, Diomira Petrelli ha illustrato come in
analisi  infantile comportamenti ed
interazioni, solo apparentemente simili possono assumere valore prevalentemente
comunicativo e creativo, tendente verso la simbolizzazione o, all’inverso,
evidenziare cortocircuiti di pensiero che spingono all’evacuazione delle
fantasie inconsce del bambino.

Successivamente è seguita la relazione di Roberto
Goisis
in "Ago, ergo sum. Le differenti declinazioni del fare nella
relazione psicoanalitica con l’adolescente"; egli ha offerto la sua notevole
esperienza teorica e clinica con gli adolescenti per esplorare i concetti di
agito, azione e enactment, approfondendo soprattutto le problematiche del fare,
dall’ottica dell’analista. E’ entrato, quindi, nel pieno del dibattito sulla
soggettività dell’analista, come ha commentato Irene Ruggero, secondo cui una
delle specificità dell’analista di adolescenti è il fare e dopo il procedere
alla significazione successiva all’agito, che avviene nell’elaborazione con il
paziente.

Attraverso la prima di quattro vignette
cliniche,quella di "Anna della palla musicale", ci illustra il concetto
di Azione terapeutica  ovvero una
scelta intenzionale e consapevole rispetto alle difficoltà di gestione nel caso
di Anna, paziente psichiatrica istituzionalizzata, analogamente a quelle che
Racamier definì  oggetti ed azioni
parlanti,in quanto avevano il potere di dare parola, interpretazione e
trasformazione agli stati psichici più profondi.

Anche il caso di "Mara del maestro di Karatè" ci
mostra una azione del terapeuta che 
si origina dalla relazione e dà risposta ai bisogni profondi della
ragazzina.

L’agito sfugge invece alla consapevolezza, è a
prevalente partenza da uno solo dei due membri della coppia analitica; solo un
ampio lavoro successivo permette di decodificarlo e riportarlo dentro la
relazione. Per illustrarci l’enactment Goisis ci parla di "Mafalda" : la
richiesta fatta alla ragazza di portare le sue foto si incontra qui con una
analoga richiesta implicita da parte della paziente di essere riconosciuta
nello svolgersi del tempo e delle trasformazioni della pubertà. Trasformazioni
che l’analista, contrariamente all’atteggiamento paterno, raccoglie e contiene.

Per Goisis "le diverse declinazioni del fare" espresse dalla
capacità dell’analista di
"saper giocare, fare e pensare" accanto agli strumenti classici del repertorio
analitico, consentono all’adolescente attraverso il rispecchiamento e
l’oscillazione immedesimazione / contro-immedesimazione di progredire nella
speranza e fiducia di sé.

Il pomeriggio ha visto i partecipanti lavorare sui casi
clinici nei panels aventi come temi: "Agire sul corpo e agire col corpo" e
"L’azione parlante: sul fare interpretante in seduta". I reporters hanno
riassunto i contributi emersi dai vari gruppi ed hanno  arricchito di interessanti spunti clinici la
discussione ed il dibattito finale.

            A proposito
di confini da ampliare: sarebbe stato interessante dare spazio all’area degli
agiti dei genitori e dell’analista di bambini e adolescenti con loro. I
genitori, infatti, fanno parte dei fattori di realtà così importanti alla
cornice della cura e all’esito dei trattamenti, il loro ruolo è spesso centrale
in queste analisi e non può essere ignorato, possono, come è noto, essere i
migliori alleati e collaboratori o i più crudeli sabotatori … ma questo
potrebbe essere, forse, il tema di un altro convegno!

 

Patrizia Masoni, Maria Naccari Carlizzi

 

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