Eventi

Sandro Panizza

17/01/13

CASI GRAVI: LA REVERIE, UNA VIA D’USCITA DALL’IMPASSE NEL MONITORAGGIO DEL PAZIENTE E NELLA SUPERVISIONE INTERNA 

Affascinato dall’idea che la reverie materna trasformi beta in alfa, ed aiuti il baby alla costruzione della propria capacità di  sognare, immaginare e più tardi pensare, in questo paper vorrei affrontare il rapporto tra reverie e alcune situazioni border.
Credo che la condizione borderline offra facce diverse, a seconda della gravità, e dell’evoluzione dell’analisi. Scostandomi da un approfondimento mirato della stessa, che do per compresa nei suoi aspetti fondamentali, mi propongo di guardare alle potenzialità della reverie, nella terapia dei casi limite, soprattutto quelli collocati nella categoria’’alta’’.
In tal senso cercherò di affrontare il tema dell’impasse in analisi di pazienti border da una prospettiva particolare: l’uso della reverie dell’analista per dipanare situazioni  stagnanti che rischiano di incancrenire la relazione terapeutica. Dato che la reverie si colloca in un’area di simbolizzazione per immagini, tra il sensoriale ed il verbale, credo possa esercitare la funzione di ponte con pazienti che vedono carenziata proprio la loro capacità di simbolizzare, sollecitandone la potenzialità rappresentativa, là dove l’evoluzione dell’analisi ha cominciato ad aprire uno spazio di simbolizzazione.
L’utilizzo  pratico della reverie, ci introdurrà nella selva di pensieri circa la funzionalità e la fallibilità della stessa.
Ho voluto in questa riflessione teorico-clinica, trarre spunto da considerazioni fatte altrove sull’enactment per una mia convinzione profonda che accosta quest’ultimo alla reverie sotto diversi profili: ambedue le modalità sono inconsce nelle fonti che le originano; ambedue, nella loro accezione funzionale ed efficace, hanno veste transitiva e rappresentano momenti di ‘unisono’ tra i partner analitici, utili per sbloccare momenti di dolorosa impasse; ambedue si presentano con un andamento carsico, a spot, contrassegnando momenti speciali (BCPSG, 2010) del processo analitico; infine ambedue sono validate dalle risposte consce e inconsce del paziente, unitamente alla supervisione interna dell’analista. Come l’enactment può decadere nell’agito narcisistico e intransitivo,  così la reverie può rivelarsi  un sogno ad occhi aperti solipsistico e autoreferenziale. Niente più che un sogno 

REVERIE: un breve cenno storicoLa reverie, come sappiamo, è uno strumento analitico che nasce come tale con Bion(1967) in parallelo all’identificazione proiettiva comunicativa. Da quando la reverie, con Bion e gli ulteriori contributi di Ogden( 1997), Ferro(1996) e Grostein(2007), è stata sdoganata dal mondo della pura fantasticheria personale, solipsistica, è diventata un punto di riferimento relazionale  della complessità del controtransfert, attraverso il quale accedere al mondo interno del paziente. Tuttavia una domanda, che percorre le segrete della psicoanalisi contemporanea, riguarda la reverie nel suo valore di segno significativo per il paziente, al pari delle altre espressioni del mondo interno dell’analista: quanto nel mondo interno dell’analista, i sogni sul paziente, le sue reverie, gli enactement, il controtransfert, quanto contengono di personale ed intransitivo, quanto sono idiosincrasiche?  Quanto, invece, questi mezzi psicologici, intrapsichici dell’analista, riflettono un contatto tra le menti inconsce dei partner analitici, un contatto che si esplicita attraverso  derivati narrativi, per immagini, o gestuali?  La clinica, cui spetta il compito di dirimere queste questioni, dipende molto dalla prospettiva dell’osservatore. Spesso la risposta a questi interrogativi diverge a seconda delle appartenenze di scuola: diversa è la prospettiva che guarda dall’oblò di una psicologia unipersonale, o di una  psicologia bipersonale, o da una visione multiforme e complessa della mente e dell’oggetto analitico.Tuttavia le fini antenne del paziente che fanno un monitoraggio degli interventi dell’analista, da un lato, e un’attenta e talora imprevista riflessione del supervisore interno dell’analista stesso, dall’altro, possono giocarsi una valida chance per illuminare la scena analitica: gettare un raggio di intensa oscurità(Grostein 2007).  Sulla scorta di questa premessa, che cercherò di sviluppare e argomentare nel corso della trattazione, prenderò innanzitutto in esame la reverie come momento di incontro tra i due inconsci dei partecipanti della seduta, validata e confermata dal monitoraggio del paziente; quindi, per contrapposizione, guarderò alla reverie nella sua accezione intransitiva e solipsistica, svelata come tale dalla supervisione interna dell’analista(seguita talora dai sogni stessi del paziente).
Singoli brani clinici tenteranno di sostanziare l’ipotesi che andremo ad articolare. 

REVERIE E MONITORAGGIO DA PARTE DEL PAZIENTE:UN CASO CAMPIONE

Durante una lunga e dolorosa analisi, in cui Lucia sin dall’inizio aveva affrontato con ogni mezzo  il proprio stato di anaffettività cronica, cominciarono ad affiorare brandelli contorti di sentimenti verso l’esterno: talora, secondo una modalità ironica, scherzosa, prudenziale, gli affetti facevano capolino anche nel transfert.Lucia aveva iniziato una relazione con un uomo sposato.Un relazione benvenuta, al di là di significati clinici più complessi, dopo tempi biblici di astinenza,  solitudine e agiti autolesivi. Negli incontri sessuali si scherzava molto, forse troppo: alla fine si scherzava col fuoco, all’idea di poter irridere la sfera dei sentimenti. Comunicò all’analista, durante una seduta, che  lei ed il partner si erano spinti  nella romantic-story al punto che l’amante le aveva proposto di allargare il campo da gioco ad un terzo partner: uno “ scherzo a tre”, con un amico. La comunicazione  lasciò l’analista sorpreso e allarmato per la china scissionale tra comportamenti e sentimenti, che rischiava di imboccare la relazione sentimentale. Lucia tergiversava a rispondere all’appello di un’esperienza eccitante, spiazzata e curiosa: l’analista era perplesso. Si sentiva diviso sul da fare e sul che dire. Quando, nel tentativo di definire l’oggetto analitico si trovò improvvisamente immerso in una fantasia complessa, in uno stato di lieve trance.<Nella reverie, Lucia va a cercarlo al suo piano abitativo per una operazione comune, uno scherzo. Gli chiede di aspettarla mentre raccoglie le sue ciarabattole al piano di sopra, dove abita. Dopo qualche tempo, inorridito, l’analista vede la testa di Lucia ruzzolare sui gradini,  spiccata dal corpo e ballonzolante per la tromba delle scale>.Di soprassalto torna vigile in seduta. Sente che il messaggio dell’inconscio, sotto le vesti di una visualizzazione orrifica, urge per essere utilizzato e comunicato, senza troppi indugi e deformazioni.Gli parve indispensabile segnalare alla paziente che lo “scherzo erotico” tirato per le lunghe, senza vaglio dei sentimenti in gioco, rischiava di “farle perdere la testa”: di mozzarle la capacità di pensare e sentire, in  diretta, sotto i suoi occhi.  Organizzò, nelle sedute successive, una comunicazione più complessa, articolata, che toccasse  nel vivo la paziente, avvalendosi di tutti gli elementi della freschezza della reverie e del materiale analitico soggiacente che l’aveva indotta. Le disse che la proposta del gioco sessuale a tre, sembrava costituire un grande pericolo più per le cose che non diceva, nascondendole, che per quelle palesi. Ecco cosa era occultato: che nella relazione con l’amante, ogni sviluppo di sentimenti autentici, sarebbe stato definitivamente bruciato e irriso; il suo sentire, il suo pensare affettivo sarebbe stato ghigliottinato, come se la sua testa fosse mozzata dalla proliferazione meccanica di funzioni ed oggetti sessuali subentranti ed eccitanti, sempre più eccitanti, vuoti e superficiali, a compensare la povertà dei sentimenti.E con questo, probabilmente, sarebbe stato ghigliottinato anche il lavoro analitico, Dopo un momento di silenzio, in cui Lucia sembrava stranita, l’analista aggiunse che qualcosa di simile sembrava stesse accadendo anche in analisi. Un elemento alieno pareva essersi introdotto nel rapporto tra loro, tagliando via la possibilità di avvertire la vicinanza emotiva, e di vivere in seduta l’intensità dei sentimenti. L’elemento estraneo, l’intruso nella coppia analitica, era rappresentato dall’insistenza scherzosa, dall’indulgenza per il ridicolo e l’atmosfera rarefatta, superficiale, che per un altro verso, paradossalmente, reificava il rapporto analitico, svuotandolo di prospettive di cambiamento.La paziente sorpresa dall’idea di smarrire la sua capacità mentale ed affettiva, in linea con l’interpretazione e il senso della reverie, si mosse di converso, convenendo che la paura dell’affiorare di situazioni penose l’aveva tenuta alla larga da ogni approfondimento affettivo.All’esterno, mise se stessa e l’amante di fronte alla necessità improrogabile di approfondire i sentimenti della loro relazione, piuttosto che ricorrere ad effetti speciali alienanti per banalizzare I sentimenti: pena interrompere un mero, seppur eccitante, scambio fisico.Nella relazione analitica divenne progressivamente più seria e più compresa in se stessa, nell’espressione e attenzione ai propri  sentimenti e a quelli dell’analista, e nella successiva riflessione sugli stessi. A mio modo di vedere, se la paziente, ignorando la segnalazione interpretativa e la vivida reverie implicitamente compresa, avesse dato vita al giochetto erotico a tre, continuando a rapportarsi in seduta nel tono scherzoso difensivo, probabilmente avrebbe scoperto e segnalato il carattere solipsistico della reverie dell’analista. Probabilmente L’analista avrebbe dovuto concludere con onestà, che la sua fantasia visiva illustrava una paura personale, forse addirittura un desiderio di ritorsione per un presunto tradimento esterno dell’analisi; una sua reazione transferale inconscia, gelosa, ed invidiosa, verso la paziente e il suo divertissement erotico con un altro partner extraanalitico.La reverie transitiva, ed il suo uso interpretativo, avevano invece aperto uno scenario comune, che dava nuova linfa all’analisi ed autenticità dolorosa alla vita privata della paziente.Credo infine che l’aspetto bipersonale e transitivo della reverie, sia stato validato ed autenticato dalla ricezione della paziente, dal suo insight e dal comportamento conseguente.

REVERIE ED IMPASSE DI UNA PAZIENTE BORDERLINE: L’EMPATIA e IL FILOBATISMO DELL’ANALISTA (Balint 1959) 

Sulla sponda di una diversa vignetta clinica, compare invece l’altra faccia della medaglia, l’ aspetto intransitivo della reverie, che ricade sconsolatamente nel loop del mondo interno dell’analista.
La contorsione patologica di Mirca, paziente border che ci condurrà attraverso nuovi cunicoli nelle dinamiche della reverie, era straziante. Nonostante la giovane età beveva enormi quantità di alcolici per zittire il dolore psichico e il bombardamento mentale dei pensieri ossessivi.
L’analista partecipe del dramma personale che si svolgeva sotto i suoi occhi, coinvolto in diretta nei risvolti transferali, si sentiva sballottato, seduta dopo seduta, in un maremoto: a tratti la zattera dell’analisi scompariva risucchiata nei gorghi, a tratti riemergeva malandata, sputata fuori dai vortici. Con movimenti talora scomposti l’analista barcollante cercava di rimettere la zattera dell’analisi su una traiettoria sicura: talora riuscendovi, talora assistendo impotente al possible disastro.

.IL VIAGGIO ANALITICO ATTRAVERSO I SOGNI: IL CONTESTO

Dopo un lungo periodo iniziale di isolamento, dove in sogno Mirca si ritraeva in un recinto tra lebbrosi che cercavano di infettarla, segui un secondo tempo di progressiva fiducia: in sogno, come Dante, la paziente entrava nell’inferno interiore, accompagnata dall’analista-Virgilio.
Quindi un terzo periodo spalancò le porte dell’inferno transferale.Un sogno del momento ritraeva la paziente mentre entrava in seduta con uno spirito maligno sulla spalla: Mirca, scaricato il genietto diabolico sul divano, si apprestava a sfogliare le pagine del suo diario, il libro segreto del diavolo .Scoccava per l’analisi, il momento dei giorni dell’inferno, che trovarono l’analista attardato su una lunghezza d’onda narratologica: un inferno disegnato nei sogni, nei racconti, nei sentimenti che potevano scaturire anche da un’autentica riflessione.  L’ analisi stessa  di Mirca, invece, doveva trasformarsi direttamente in inferno, un luogo di perdizione dove l’analista sarebbe stato violentemente precipitato, pur controvoglia. Per dirla con Bion(1962) l’analisi stessa doveva diventare ‘O’; per dirla con Ferro(1996) il transfert ed il controtransfert(il campo) dovevano ammalarsi della stessa malattia della paziente.  In progressione rapida, nel giro di una settimana, Mirca divenne sempre più cupa e taciturna, quasi inavvicinabile dal lettino. Propose una decurtazione netta delle sedute. Era di colpo sfumato l’entusiasmo con cui veniva in analisi-disse: il transfert positivo irreprensibile(Freud 1912). I miglioramenti fatti, le sembravano ora poca cosa. Infuriava una battaglia dentro di lei tra le forze che la trattenevano e quelle, ormai sempre più esigue, che la spingevano a venire in seduta. L’analisi le era diventata di peso: un peso che si sommava a quelli della quotidianità. Era spossata. L’analista era come tramortito dal colpo inaspettato, concentrato in poche sedute! A questo punto entrò in gioco la reverie dal sapore difensivo.

UNA REVERIE DIFENSIVA

< Un silenzio vuoto>, commenta M all’inizio di seduta. Poi si richiude nel suo mutismo.In questo scenario desertico che campeggia ormai da qualche tempo,  l’analista cerca qualcosa cui appigliarsi che possa ingaggiarla, immerso nella sensazione di tossicità di questo stato silenzioso tanto per lei quanto per lui.Lo soccorre l’idea che ambedue hanno tempo davanti, tanto tempo per sciogliere il silenzio, il ritiro, e svolgere i problemi nei loro significati. Gli sembra un commento semplice che segna una presenza discreta, la tolleranza del silenzio e la non invasività. Convinto dall’effetto calmante immediato su di sè, pensa di poterlo proporre anche alla paziente. Quasi come una teatralizzazione di questa idea si inoltra in una reverie sul tempo: un altro tempo. Gli ritorna in mente una piece della sua antica analisi personale. In una certa fase, l’urgenza del tempo, che aveva sperimentato a lungo, si era placata, come dissolta: tutto era diventato dilatato, presente, vivo, fluente.Il ritorno dalla reverie lo confortava nell’intenzione di comunicare a Mirca il senso di pace di questa atemporalità fiduciosa. Ma un attimo prima di parlare lo colpì la sensazione  bruciante, quasi sensoriale di sbattere contro un muro: il muro del ‘silenzio vuoto’. L’impressione improvvisa che lo afferrava era che le sue considerazioni sul tempo e la sua stessa reverie potevano essere incongrue per la paziente; potevano rimbalzare contro il muro di silenzio; potevano suonare addirittura controproducenti, provocatorie. Gli pareva di visualizzarlo quel muro.Allertato da questa sensazione forte si limitò a dire: <Quando si è sprofondati nel proprio silenzio, non si ha piacere che gli altri indaghino e tentino di smuoverci da questa posizione interiore(Winnicott 1958). E’ nostro diritto difenderla>. Mirca sembrò fare un movimento di assestamento sul divano, come avesse deglutito un boccone digeribile, condivisibile. Poi rimase in silenzio per un altro po’.Improvvisamente, con voce diversa, sbottò uscendo di getto dal ritiro:<Lei dottore ha un gatto? Un gatto che porta un campanello al collo?>. < Per non perdersi?>. Chiese l’analista di rimando, sorpreso per l’improvviso cambio di marcia che immetteva un nuovo personaggio in seduta.<Non solo! Un amico l’aveva messo al collo del suo gatto per impedirgli di sbranare gli uccellini. Il tintinnio avrebbe avvisato i passerotti del pericolo in agguato.Il mio gatto non tollera il collare col campanellino: lo toglie subito, lo strappa. Non lo regge. Vuol fare tutto quello che gli passa in testa. Talvolta fa tabula rasa degli oggetti sulla tavola: li getta per ogni dove, rompendoli, frantumandoli. Sparisce per giorni interi. Poi sul più bello torna. Mi è affezionato, certo! Ma…><…Ma… Mi sembra che abbia le sue ‘gatte da pelare’ con lui -disse l’analista senza passare troppo direttamente dal gatto a lei-: affezionato sì, ma difficile, incontenibile>.Erano alle prese con l’aspetto ribelle di Mirca uscito dal ritiro d’emble’da una segretezza autorizzata: quello felino, da cui difendersi col campanellino segnalatore. Mirca aveva rotto il muro del silenzio: attraverso una narrazione domestica aveva dipinto la natura degli aspetti che urgono nel mondo interno e nei comportamenti: ribellione, distruttività, narcisismo esasperato. L’uso mancato di una reverie dell’analista , l’intervento di un supervisore interno e l’autorizzazione esplicita al silenzio, avevano impresso un nuovo indirizzo all’interazione. Tutto era spostato sul gatto.QUESTIONI SULLA REVERIEAlcune domande sorgono spontanee a proposito di questa reverie sul tempo presa dalla storia privata dell’analista, e la sua validazione: era una reverie idiosincrasica dell’analista che ritraeva un proprio desiderio difensivo di evitare nei passi successivi dell’analisi il transfert negativo? O una reverie non ancora matura per transitare attraverso le barriere della paziente? E generalizzando: la reverie, come sogni sul paziente, enactement, controtransfert, è sempre relazionale? Può essere solipsistica? Quali i criteri per distinguerne natura ed effetto? Sono dell’idea che la reverie debba essere validata innanzitutto dalla comunicazione di ritorno del paziente, nell’ascolto dell’ascolto(Fainberg1996). La sua risposta stabilisce il carattere relazionale o solipsistico.Ma la piece di Mirca , ci spinge ad arrischiarci a un po’ più in là: ancora prima della risposta del paziente può accendersi una sorta di supervisione interna, inattesa dall’analista, nei modi più disparati. La via percorsa da questa supervisione interna talora precede i canoni della consapevolezza articolata: una sensazione di disagio, una visualizzazione, un pensiero inaspettato che inquieta la reverie. Turba la sua compattezza, increspa lo specchio levigato delle sue acque. La visualizzazione del muro di silenzio collocava l’analista dall’altra parte della barricata, nel suo claustrum.
Ci pare stimolante tentare di inquadrare evolutivamente la situazione. Aggiriamoci nei paraggi del sogno innanzitutto.
Agli inizi(Freud 1900), e per molto tempo, il sogno è stato inquadrato in una cornice solipsistica: origine, meta e significato si trovano nel desiderio del sognatore. Poi pian piano il sogno è uscito dalle strette del desiderio, si è allargato ad inquadrare altri scenari: sogno come istantanea dello stato del sé, del rapporto analitico; sogno come supervisore dei movimenti dinamici dello stesso analista. Spesso tutti questi significati convivono simultaneamente.Qualcosa di simile accade alla reverie. Bion(1966), Ogden(1979), Ferro(2008,2009) come abbiamo visto, hanno sdoganato la reverie dalla gabbia intransitiva in cui era segregata: hanno evidenziato gli aspetti relazionali iscritti nella reverie privata dell’analista.Tuttavia, un servofreno dinamico, quasi un semaforo, si aggiuge al monitoraggio da parte del paziente, e sembra incaricarsi di ricollocare il significato di ogni reverie nella prospettiva giusta: un supervisore interno, attraverso il pungolo della sensorialità, delle emozioni di contrasto, delle visualizzazioni, può intervenire a dirimere i significati della reverie che si è presentata in seduta. Un grillo parlante, il demone di Socrate, il preconscio(Lopez, 1982).La reverie, come il sogno, può drammatizzare una  situazione interna di chi la crea, un desiderio; o può allungare le sue braccia verso l’altro scoccando l’ora di un meeting delle menti inconsce. E’ questo il luogo dove il supervisore interno talora si fa spazio tra le due possibilità. La reverie dell’analista sul tempo si rivelava come un desiderio intransitivo che partiva dal suo passato, bypassava un presente conflittuale della coppia particolarmente ostico per l’analista, proiettandosi in un futuro ottimisticamente rasserenato.
La visualizzazione del muro di silenzio di Mirca, invece, riportava l’analista al presente afferrandolo per i capelli, e gli segnalava la diga di sbarramento, la dogana che doveva essere ancora transitata, nonostante le sue speranze. 

UN SOGNO SUPERVISORE

Un sogno supervisore di Mirca fotografa le dinamiche inconsce in corso  e avvalora le mosse del supervisore interno(Heckbbrecht 2011): scocca il timing per un intervento diretto dell’analista sul transfert negativo, contrapponendosi alla reverie ottimistica del tempo senza fine.  < Un teatro, un cinema. Sono una spettatrice che partecipa intensamente alla rappresentazione. Sulla scena il protagonista…che sta terminando la sua parte: sta morendo. Non si vede in diretta la sua morte. Ma so per certo che succede. Un orologio a muro, rotondo come questo che ho di fronte al divano, rotola per le scale e va in frantumi. Il tempo si ferma. The game is over! Ecco il simbolo della morte del protagonista>.L’analista non aspetta le associazioni di Mirca che gli sembrano già contenute nel sogno, e nei passaggi delle sedute precedenti. Di getto offre una possible panoramica attuale del tansfert negativo, ‘la cui ora sembra scoccata’. < Mi pare che il tempo dell’analisi potrebbe scadere da un momento all’altro: si sta mobilitando un’energia ostile, uno tsunami(Bromberg 1011) che punta a spazzarmi via insieme all’analisi. Il tempo della mia fine potrebbe essere scoccato. Da quando siamo entrati nell’inferno, è come se volesse farmi scadere insieme all’analisi>. Mirca, non troppo meravigliata, entra nel merito quasi con frenesia:< E’ vero! Tutto vero! Non posso farci niente, più che combattere ogni volta per venire in seduta. Come nel ‘Posto delle fragole ‘ e nel  ‘Settimo sigillo’(Bergman,56,58)-soggiunge, riflettendo a specchio un’immagine che anch’io avevo visualizzato-. Ma tengo duro. Sono in attesa di qualcosa di nuovo sotto questa melma. Di una svolta: un giro di boa. Ma non so verso dove. The time’s over?!>.PER FINIRE…La reverie sul tempo illimitato, ha trovato il suo contraltare nel monitoraggio di Mirca, nel suo sogno: il tempo è finito. L’una richiama l’altra per opposizione. In mezzo la consapevolezza del muro del silenzio. La funzione di supervisore interno della visualizzazione del muro misura la distanza tra il tempo dell’analista e quello della paziente. Ma fa anche da cerniera tra il suo desiderio intransitivo di bypassare il transfert negativo attraverso la dilatazione del tempo dell’analisi, e la concentrazione del tempo in un punto capitale, da parte della paziente: il tempo della fine. Quasi annunciasse ad orecchie un po’ sorde: < Affrontare il transfert negativo di Mirca non può essere dilazionato all’infinito. Il muro anticipa il sogno: il transfert negativo è qui, ora, e va preso di petto! The time’s over>.Inizia una nuova e difficile collaborazione-match analitica in mezzo alle macerie.

VERSO GLI ULTIMI FUOCHI

Dopo tre anni, Mirca, raccontando la sua disperazione, si stava ancora assumendo l’intera colpa del proprio fallimento, identificandosi con essa, e additando l’impossibilità di ogni cambiamento. < In sogno portava una pillola di ‘Valium analitico’ alla nonna malata: la nonna, esacerbata dal dolore, le scagliava contro, l’intera scatola di pastiglie gridando l’inutilità di ogni gesto di soccorso>.
In quella seduta l’analista cercò di differenziare gli aspetti di Mirca che volevano prendersi cura, col suo aiuto, delle aree del sè antiche e malate, da quelle disperate, legate ad inserti alieni, tratti dall’album di famiglia: alludendo implicitamente alla sua difficoltà a ‘dissociare creativanente’ i due paesaggi interni (Bromberg, 2011).Mirca rispose, scuotendo le spalle sul lettino, che ogni cosa era inutile e quella nonna disperata ed esacerbata del sogno era ormai un tutt’uno con lei.Ma un nuovo sogno, sembrò indicare una svolta implicita, rimettendo la zattera in scia. <Mirca aveva una nuova casa: c’era un’enorme scarpiera. Tante scarpe enormi di uomo e di donna: poche scarpe allegre colorate e spaiate, le sue rosa (indicando le scarpe che indossava dal lettino)>. Con tono pacato mi disse che le sembrava d’aver capito: forse quelle poche scarpe colorate, cercando insieme, potevano aumentare di numero; si sarebbe potuto trovare le gemelle mancanti ed eliminare un po’ di quelle enormi scarpe vecchie ingombranti, non sue.Avevo poco da aggiungere: mi parve che la scoperta di brandelli di sè vivo andasse di pari passo alla differenziazione dalle ‘orme’ impresse da oggetti interni invasivi che avevano calpestato il suo giardino segreto.Glielo dissi con parole semplici.M, sorridendo dopo tanto tempo, mi chiese un farmaco che potesse sostituire il vino.Da allora iniziò una nuova fase e una nuova modalità di funzionare: la ‘capacità di preoccuparsi’(Winnicott, 1956,1962), di prendersi cura innanzitutto di se stessa.

BIBLIOGRAPHY 

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