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Seminario n. 11 :“Lavorare con l’ultimo Bion”

5/07/13

Proponenti: Antonucci A., Benedetti F., Borghese E., Bovet A., Iunco A.L., Cau G., Cinelli D., Izzo F., Macchia A., Passi P., Petruccioli M., Rotiroti R., Vari R.

Report a cura di Ferdinando Benedetti

Il Seminario dal titolo “Lavorare con l’ultimo Bion” è stato proposto da un gruppo di Colleghe/i coordinati da Carla De Toffoli, nato attorno all’interesse per il pensiero di W. Bion: in particolare il Bion degli ultimi anni della sua vita, a partire dal dibattito “Sul valore dell’ultimo Bion nella teoria e nella pratica analitica” che si è sviluppato sull’Int. J. Psychoanal. (2011). 92: 1081-1116 (traduzione di Daniela Cinelli). Il gruppo è composto da Antonucci A., Benedetti F., Borghese E., Bovet A., Iunco A.L., Cau G., Cinelli D., Izzo F., Macchia A., Passi P., Petruccioli M., Rotiroti R., Vari R.

La mattina Francesca Izzo ha presentato una prima relazione di inquadramento teorico. E’ seguita l’illustrazione di una vignetta clinica a cura di Anna Bovet; dopo una prima discussione e la pausa, Angelo Macchia ha presentato una sua vignetta clinica. Nel pomeriggio Roberto Vari ha letto una terza vignetta clinica. Significativo l’avvio del dibattito; c’è chi ha esclamato: “Da quanto ci avete esposto è ancor più evidente il coraggio di Bion: ha teorizzato ciò che a volte ci accade in seduta e che non abbiamo il coraggio di dire ai colleghi per timore di essere tacciati di praticare una psicoanalisi non scientifica!”.

La controversia del 2011 presentata sull’IJP da R. B. Blass ha visto Rudi Vermote, uno psicoanalista di Bruxelles appassionato sostenitore della originalità e validità del pensiero dell’ultimo Bion, misurarsi con David Taylor, un analista kleiniano studioso di Bion. Per Taylor, riconoscente a Bion per il contributo teorico sul funzionamento della mente e sulla pensabilità, cioè su T(K), l’assetto analitico dell’ultimo Bion appare di una radicale apertura a spese del processo di comprensione e significazione di cio che accade tra analista e paziente. Il concetto di T(O) viene visto con sospetto quasi possa essere alternativo a T(K). Vermote propone invece un modello a doppio binario in cui gli assetti T(K) e T(O) sono in interazione dinamica tra loro ed entrambi necessari. Egli inquadra storicamente i concetti bioniani citando Ogden che distingue “due periodi contrastanti nell’opera bioniana, il primo, degli scritti fino ad Apprendere dall’esperienza (1962), il secondo che inizia con Elementi della psicoanalisi (1963) fino ai lavori degli ultimi 10 anni. Con la Griglia Bion tentò di rappresentare il percorso di pensabilità dell’esperienza umana. Ma nel 1965, con Trasformazioni, Bion stesso considerò fallito il suo tentativo ed ebbe quello che Vermote chiama l’insight che rovesciò le basi del suo pensiero. Affermò che il vero cambiamento psichico si produceva ad un livello chiamato Trasformazioni in O, T(O), e che rimanendo a livello delle rappresentazioni, che chiamava T(K), era impossibile conoscere l’origine di T(O). Bion rappresentò l’area indifferenziata di ‘O’ come un potente mondo che vive e dà vita e la concepì come un flusso vivente sotterraneo che ogni tanto emerge. Immaginò le zone differenziata e indifferenziata in comunicazione tra loro ma separate da una cesura attraversabile da entrambe le direzioni; i pensieri provenienti da ‘O’ emergono solo sfuggendo alle insidie del troppo definitorio linguaggio verbale, cioè il “linguaggio della sostituzione”. Scrive Bion: “Il linguaggio (dell’Effettività, n.d.r.) include quel comportamento cui talora ci si riferisce quando si dice: ‘Le azioni parlano più chiaramente delle parole’. Considero il linguaggio (verbale, n.d.r.) che è un sostituto e non un preludio all’azione come opposto al linguaggio dell’Effettività. Quest’ultimo include un linguaggio che è sia preludio all’azione sia esso stesso una sorta di azione. L’incontro tra psicoanalista e analizzando costituisce un esempio di questo linguaggio”. (Attenzione e interpretazione, p. 176). Le variazioni di tecnica proposte sono soprattutto variazioni di assetto interno dello psicoanalista nel contatto con il paziente. “Senza memoria, senza desiderio”; “Linguaggio dell’Effettività”; “Trasformazioni in ‘O’”: in questo nuovo scenario Il corpo e l’azione appaiono comunicativi anche in assenza della parola; la regola dell’astinenza dell’analista perde la sua imperatività. Diventa auspicabile operare in coppia con il paziente su tutte le espressioni del transfert – sia verbali che agite – e del controtransfert.

Carla De Toffoli valorizza il tardo Bion, attraverso il concetto di “espansione multidimensionale della mente nel campo del senso, del mito e della passione”: direttrici di una ricerca che permea i suoi lavori. La sua tesi: ciò che è specifico della psicoanalisi è il costituirsi congiunto della funzione terapeutica e della funzione conoscitiva, nella contestuale apertura alle tre dimensioni citate.

Le vignette cliniche presentate nel Seminario sono parse esempi riusciti di accesso della coppia analitica nell’area dell’irrappresentabile (inconscio non rimosso) attraverso la sperimentazione di modalità relazionali somiglianti a ciò che Bion chiama “Linguaggio dell’Effettività”.

1° vignetta clinica: tratta di una paziente per anni in bilico tra presenza a se stessa e senso di irrealtà, che tende ad affidare la figlia al padre sentendosi incapace. L’interruzione estiva dell’analisi aggrava il timore di “perdere la testa”. Gli interventi verbali dell’analista risultano inefficaci. La tensione sale dopo una seduta in cui la paziente, raccontando di sua mamma che sta per farle visita e di quanto, da piccola, non si era sentita vista da lei e dal padre, fa sperimentare all’analista tutto il suo dramma. L’analista, coinvolta in vissuti violenti ed indigeribili, prima della seduta successiva ha le allucinazioni: sente un prurito alla testa e si angoscia pensando immotivatamente di essersi presa i pidocchi: “Mi sembrava di vedere un insetto molto più grande di un vero pidocchio camminare sul tavolo di fronte a me ed ho pensato che fosse uscito dai miei capelli”. Recuperato l’equilibrio, l’analista inizia la seduta e la paziente ricorda il suo volto sconvolto  al termine della seduta precedente, di un analista che aveva percepito l’angoscia della paziente e per questo lei si era sentita ora riconosciuta da una madre-analista. La paziente aggiunge di aver fatto un sogno strano: c’era una testa invasa dai pidocchi. Cioè la paziente aveva sognato una scena che l’analista aveva allucinato; si era determinato un campo di risonanza all’unisono su contenuti traumatici che la paziente non era in grado di sognare. Un esempio di trasformazione in ‘O’ attraverso una allucinazione dell’analista sintonica con un sogno della paziente.

2° vignetta clinica: una paziente in analisi è in gravidanza e porta in seduta una preoccupante insensibilità per il feto; si trascura e non sente il bambino, tanto che l’analista, condizionato, comincia a preoccuparsi per l’incolumità del feto. La paziente, bambina trascurata nella sua prima infanzia e trascurante, reagisce e chiede una riduzione delle sedute mostrando una disaffezione all’analisi; finché – malinconicamente – l’analista rinuncia ad occuparsi del nascituro: “Finalmente mi arrendo.(…)Allento la presa della mia coscienza e dopo un tempo indefinito mi trovo a canticchiare mentalmente una canzone di De Andrè ‘Fiume Sand Creek’”. Le parole della canzone rappresentano all’analista lo stato emotivo della paziente e gli permettono, all’interno di un silenzio di fiduciosa attesa che permea la seduta, di valorizzare un sonoro borborigmo proveniente dalla pancia della paziente. Esclama l’analista: “deve essere Michele (il nascituro) che si fa vivo”. Lo svelamento, in un clima in cui paziente e analista sono ora all’unisono, permette alla paziente di riconoscere il contenuto del suo grembo e di piangere. Una esperienza nuova, aderente ad esigenze infantili mai corrisposte e che produce – nel transfert – una trasformazione: una madre-analista ha visto le esigenze infantili di questa madre e solo in quel momento, attraverso il borborigmo, è stato possibile ad entrambi riconoscere il nascituro. La paziente-bambina ha potuto così nascere come madre e sentire il suo piccolo. Un esempio di trasformazione in ‘O’ nel transfert.

Vignetta clinica non programmata. E’ stata presentata da una partecipante: “una mia paziente, colpita anni fa da una grande disgrazia – la perdita di un figlio di 18 mesi per malattia – nei primi anni dell’analisi non riusciva a parlare del figlio finché non è intervenuto un fatto nuovo: ero attratta dall’odore del mughetto e decisi di usare un detersivo al mughetto per lavare il poggiatesta, introducendo così una variante nella stanza di analisi. La paziente, entrata in stanza, sentendo l’odore del mughetto, ebbe un malore. Scoprimmo che il malore si collegava al profumo del fiore ed al figlio morto cui piaceva il mughetto tanto che la paziente ne aveva posizionato un vasetto sulla tomba”. L’elemento di discontinuità, la crisi che ne è seguita e la sintonia paziente analista hanno reso possibile l’accesso, la riesumazione e rielaborazione dei ricordi legati al trauma. Un esempio di processo trasformativo innescato da una azione dell’analista.

3° Vignetta clinica: un paziente profondamente infelice ma che ha successo negli affari vive momenti dissociativi con passaggi ad acting perversi. Sullo sfondo un trauma infantile, un ictus  per il quale ha rischiato di morire. Viene da una esperienza con una madre incapace di reverie, invadente e manipolatoria che lo fa sentire vampirizzato. Nel transfert è impermeabile alle interpretazioni e si protegge vivendo una interiorità frutto di una “trasformazione in allucinosi”: il paziente, che mutua dalla madre una vera e propria percezione distorta della realtà, condanna l’analista ad essere clone della madre vampiro cui il paziente poi si assoggetta in modo servile in una esperienza di non esistenza, salvo sentirsi vivo tramite gli acting perversi. La trasformazione in allucinosi sembra inaccessibile all’analista finché in un periodo di drammatica crisi in cui il paziente è disorientato, l’analista sogna ad occhi aperti una propria scena infantile in cui infreddolito da un rigido inverno, riceveva dalla nonna qualcosa di caldo e di corroborante: proprio lo stato d’animo che il paziente sta vivendo in quel momento; è così che l’analista, grazie al suo sogno, si sintonizza, cosicché i due sono all’unisono nell’area dei bisogni primari. Di qui l’avvio di una nuova fase dell’analisi in cui il paziente comincia a differenziarsi dall’impregnazione di una madre interna totalizzante.

 

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