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Seminario n. 24: “Una ferita all’origine. Pazienti adulti fortemente traumatizzati”

28/06/13

Proponenti: Tonia Cancrini, Giorgio Corrente, Alfredo Lombardozzi, Paola Linguiti, Alessandra Astorina           

Report di Paola Linguiti 

In questo seminario, introdotto e condotto da Tonia Cancrini, sono stati presentati quattro casi di pazienti adulti segnati dalle tracce profonde di un rapporto traumatico con l’oggetto primario. Sono pazienti che mostrano come una ferita all’origine – la mancanza di una mente materna in grado di sentire affettivamente i bisogni del bambino nei primi momenti dello sviluppo – ostacoli drammaticamente la possibilità di vivere le emozioni e di raggiungere l’espressione di sé e delle proprie potenzialità vitali. Prendendo le mosse dal lavoro con bambini che hanno subito abbandono e violenze, dai saggi a essi rivolti nel libro curato da T. Cancrini e D. Biondo, Una ferita all’origine, ci siamo chiesti se la psicoanalisi possa raggiungere anche nei pazienti adulti i livelli precoci, i livelli primitivi della mente così violentemente sconvolti, e se possa essere possibile condividere e capire insieme la ferita profonda nel rapporto primario che ha lasciato spazio alla vulnerabilità, al senso di vuoto e di disgregazione. 

Abbiamo individuato come strumento cardine del processo analitico con questi pazienti il lavoro nel transfert e nel controtransfert, e la disponibilità dell’analista a farsi carico dei vissuti primitivi e dei loro affetti. Solamente nella relazione analitica è possibile che queste esperienze primitive riemergano e possano essere condivise, anche se questo comporta il contatto con l’enormità del dolore. La discussione all’interno del folto gruppo formatosi nel seminario si è indirizzata proprio su quegli aspetti della relazione analitica che consentono la nascita delle condizioni di base del senso di sé e di essere nella relazione e che in questi pazienti, venuti al mondo non voluti e non pensati, sono mancate. Sono intervenuti su questi temi Francesco Pozzi, Gemma Trapanese, Cristina Ricciardi, Luisa Cerqua, Caterina Scafariello e via via tutti gli altri partecipanti. E’ emerso quanto questi pazienti chiamino in causa la vitalità e la corporeità stessa dell’analista, poiché la ferita del trauma precoce di questi pazienti si annuncia nella stanza d’analisi come qualcosa che nel controtransfert dell’analista è vissuto immediatamente, anche nel corpo, come senso di morte e mancanza di energia vitale. Diventa allora essenziale il lavoro di controtransfert e rêverie, anche su queste sensazioni corporee: questo lavoro accende infatti una scintilla vitale dove è mancata e può mettere in moto la possibilità di pensare anche ciò che non è stato mai pensato. 

E’ per il corpo obeso che la paziente si presenta a Paola Linguiti, per poi svelare il trauma dell’abbandono e del rifiuto: accogliere il peso della colpa, rendersi disponibile a essere vissuta anche come la madre che rifiuta e getta via è la difficoltà maggiore incontrata dall’analista, a stento tollerabile. Solo dopo avere sentito nel corpo di essere vissuta dalla paziente anche come un seno che non nutre e un grembo che non accoglie, l’analista può cominciare a trasformare la non pensabilità di queste esperienze precoci, restituirle alla paziente e condividerle con lei. 

Nella paziente di settant’anni che cerca con Alfredo Lombardozzi di dare senso a una vita ricca e inquieta riemerge il dramma del rapporto primario con una mamma minata dal disturbo mentale e dei vuoti nella costituzione del senso di sé da esso causati. E’ in risonanza al momento in cui la mente dell’analista è turbata da un grave lutto personale che la paziente drammaticamente rivive i propri lutti emotivi, ma può condividerli ed elaborarli, affidandoli al lavoro analitico. La discussione ha condotto al ricordare il testo di Ernesto De Martino Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958), dove l’autore sostiene che il dolore intollerabile di fronte alla perdita di una persona casa che rischia di portare alla follia può essere elaborato solo nella condivisione e nella ritualità. L’analisi molto approfondita di De Martino si avvale anche della conoscenza degli scritti di M. Klein sul lutto.

Nel caso di Alessandra Astorina lo “sguardo” dell’analista lentamente restituisce realtà all’esistenza della paziente che, abbandonata alla nascita e poi ripresa dalla mamma a tre anni, ha vissuto nascosta a tutti, dovendo darsi un nome finto e un’età diversa; una paziente percepita all’inizio anche dall’analista come “evanescente”, che sparge in immagini sfuggenti e indefinite i pochi precoci e confusi ricordi. A essi può lentamente cominciare a dare senso solo quando li affida alla mente dell’analista, che elabora in sé la possibilità di essere viva e accogliente.

Ancora attraverso la rêverie dell’angoscia di morte provata da Giorgio Corrente, del sentirsi espulso e soffocato, nasce la possibilità di ricostruire nel paziente l’esperienza di una nascita traumatica, che ha messo a rischio la vita, e a comprendere di conseguenza l’impulso a interrompere precocemente la relazione analitica, come l’insorgere di altri seri sintomi sviluppati nel corso della vita adulta.

Il gruppo ha partecipato vivacemente alla discussione, evidenziando in più momenti come questi pazienti fortemente traumatizzati comunichino questa ferita all’origine sul piano non verbale, ma percettivo-sensoriale; solamente se questa comunicazione è raccolta ed elaborata dall’analista, indotto a contattare i propri livelli primitivi, possono sperimentare la sensazione che la loro esistenza possa avere un valore per l’altro e di riflesso per se stessi. Le parole con cui la paziente di Tonia Cancrini conclude il racconto di un proprio sogno ci mostra questo affacciarsi alla speranza: Entro poi nel suo studio e lei mi invita a togliermi gli abiti bagnati di dosso. Lo faccio e lei mi abbraccia con grande calore e affetto. Sono felice, anche se molto turbata. Però sono molto felice.

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