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Seminario n. 31: “Traumi da catastrofi storiche collettive. La testimonianza come fattore di riparazione e avvio alla trasformazione psichica in analisi”

24/06/13

Proponenti: Valeria Egidi Morpurgo, Silvia Amati Sas, Stella Bolaffi Benuzzi 

Report a cura di Ilaria Sarmiento 

La giornata si apre con un intervento di Valeria Egidi Morpurgo, che pone inizialmente la questione sul significato di trauma, facendo riferimento alle concettualizzazioni di Freud e Ferenczi. Il lavoro presentato si snoda intorno alla questione di verità storica o materiale e verità psichica del trauma, del suo essere legato, o meno, ad un evento singolo o ad una ripetizione di eventi. Affronta, quindi, il tema del trauma collettivo, identificando nella teoria dell’ambiguità una chiave di comprensione del fenomeno.
La reazione ai traumi collettivi è stata evidenziata dal sociologo Zigmunt Bauman, che ha descritto personalità “liquide” che s’iperadattano a qualsiasi contesto. In quest’ottica, le diverse forme di rimozione collettiva sarebbero una difesa del senso di colpa e di responsabilità.
L’intervento si concentra, infine, sul paradosso dei sopravvissuti della Shoah che si trovano di fronte al dilemma che l’integrazione del vissuto traumatico evoca un’ulteriore sottomissione al proprio persecutore. Da questo pensiero Egidi Morpurgo si chiede se il trauma sia o meno rimediabile, citando un lavoro di Moses Kijak. “Cambiamenti nell’immagine etica dell’uomo”, presentato al congresso IPA di Rio che sostiene l’impossibilità di una completa elaborazione del trauma.

Silvia Amati Sas ha poi affrontato il tema dell’ambiguità, partendo dalla teoria di Bleger, che parla di una posizione precedente a quella schizo-paranoide, una posizione ambigua caratterizzata da indifferenziazione e collegata agli aspetti simbiotici del legame. Tale legame sarebbe caratterizzato dal deposito, nell’altro, di una propria parte indifferenziata. La perdita dell’altro comporta, quindi, il ritorno di questo indifferenziato, generando confusione.
In situazioni di violenza, il ritorno a tale situazione permette una adattabilità estrema dell’individuo e la presenza del pensiero di una persona significativa, l’“oggetto da salvare”, permette un senso di continuità psichica anche durante il lavoro psicoterapeutico.
Sulla base di tale cornice teorica, sono stati affrontati alcuni esempi clinici di pazienti sopravvissuti a situazioni estreme.

Nel pomeriggio sono stati presentati due lavori clinici.
Stella Bolaffi Benuzzi ha presentato un caso in cui ha evidenziato come una situazione reale della vita della paziente avesse risvegliato nell’analista un proprio vissuto traumatico rimosso e come solo a distanza di anni dalla conclusione dell’analisi di questa paziente, l’analista sia riuscita ad entrare in contatto con tale ricordo.
Manuela Shapira ha presentato un caso di una paziente il cui trauma risveglia un legame simbiotico comune ad analista e paziente, rischiando di ostacolare la possibilità di una fine analisi.

Il lavoro del gruppo è stato caratterizzato da un movimento altalenante tra la ricerca di una “verità storica” e una “verità psichica” del trauma, quasi come solo la prima potesse permettere di affrontare la seconda; infatti, la discussione si è spesso protratta sui fatti storici, prima di poter affrontare gli aspetti psicoanalitici del trauma.

Bibliografia di riferimento degli interventi: 

Bleger J. (2010). Simbiosi e ambiguità. Studio psicoanalitico. Roma: Armando.
Ferenczi S. (1933). La confusione delle lingue tra adulto e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e della passione. Opere (2002), vol. IV, 1927-1933. Raffaello Cortina Editore: Milano.
Freud S. (1934-38). L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi. OSF (11). Torino: Bollati Boringhieri.
Mucci C. (2008). Il dolore estremo. Il trauma da Freud alla Shoah. Roma: Borla.

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