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VI Convegno Nazionale B/A “Chi cura chi?” Genova 27-28 novembre 2021. Report a cura di P. Ferri e G. Gentile

9/12/21
“Chi cura chi?” VI Convegno Nazionale B/A 27-28 novembre 2021

Immagine G. Maggioni

VI CONVEGNO NAZIONALE SUL LAVORO PSICOANALITICO CON BAMBINI ED  ADOLESCENTI

“CHI CURA CHI?”

27-28 NOVEMBRE. 2021-PORTO ANTICO DI GENOVA

REPORT A CURA DI

Paola Ferri   Gabriella Gentile

Il convegno si è svolto nei Magazzini del Cotone del Porto Antico di Genova e mai sede è sembrata più adatta ad un incontro che ha visto “ approdare” relatori da varie parti del mondo. Un incontro tra mondi e tecniche diverse, aperto a nuove frontiere e ad una discussione franca e rispettosa in un luogo, il Porto, che non solo è tra i più grandi d’Europa per scambi commerciali, ma che costruisce e ripara navi. Nel 1992, in occasione dell’Esposizione Internazionale, Renzo Piano ne curò la riqualificazione integrando nuove forme e volumi, come fa la psicoanalisi quando affronta le nuove sfide.

“In questo mondo viviamo tutti a bordo  di una nave salpata da un porto che non conosciamo, diretta ad un porto che ignoriamo; dobbiamo avere per gli altri un’amabilità da viaggio (Pessoa, 1982)[1]”. E questa amabilità si è ritrovata in tutte  le relazioni presentate.

PRIMA RELAZIONE:

AMANDA JONES psicoanalista, psicoterapeuta, responsabile clinica del “Servizio di Salute Mentale Perinatale” del North East London NHS, Fondazione Trust. Ha collaborato con l’Anna Freud Centre (AFC) ed è stata ideatrice del programma “Aiutami ad Amare mio Figlio,” in collaborazione con la AFC.. Ha sempre studiato  la qualità della relazione con i caregivers, agevolanti la nascita del sè

Nella relazione presentata, si è occupata del potere dei fantasmi nelle relazioni genitore-bambino, mettendo in risalto come la relazione con il bambino  possa presentificare   sentimenti dimenticati, ferite e aspetti irrisolti del genitore .

In un video toccante, in cui si osserva la relazione tra un bimbo e la sua mamma, il primo aspetto che risalta è il rapporto con il corpo del bambino che ripetutamente cerca un contatto  sempre respinto. Ma saranno le frasi forti e terribili che la madre gli rivolge quando entra in contatto con lui, a permettere all’analista un’iniziale comprensione di tali proiezioni. La profonda empatia dell’analista sia verso il bimbo che verso la madre, le hanno ispirato di poter dar voce letteralmente al piccolo , rivolgendosi alla madre come se fosse il neonato a parlare e permettendo così un gioco teatrale che desse voce a tutti i sentimenti in campo. La relatrice coglie poi come in questi casi vi siano processi difensivi diversi all’opera simultaneamente: una proiezione eccessiva, un controllo onnipotente, un ritiro emotivo estremo. La resilienza del piccolo, che nonostante i fallimenti tornava speranzoso verso la madre, sono stati aiutati dal rapporto con i fratelli maggiori, con i nonni paterni, ma anche dalla mamma che comunque si occupava dei suoi bisogni primari.

Il lungo e sofferto lavoro ha dato i suoi frutti  e l’ultima immagine velocemente mostrata è di un bimbo sorridente il primo giorno di scuola.

La terapeuta è stata sostenuta da un’equipe allargata di circa 40 persone. Nella sala sono serpeggiati un certo stupore e una certa invidia.

La discussione ha toccato aspetti sul metodo, sul controtransfert dell’analista , e sull’organizzazione del servizio.

SECONDA RELAZIONE:

Dr: VIRGINIA DE MICCO: membro ordinario SPI-IPA, Coordinatore Nazionale Gruppo PER (Psicoanalisti Europei peri Rifugiati della SPI)

La relazione approccia il tema del rovesciamento nelle migrazioni  con particolare attenzione agli adolescenti e alle difficoltà nei legami e nelle identificazioni.

La relazione molto articolata e complessa tocca moltissimi aspetti: parte dal rovesciamento   generazionale perché spesso sono  i figli a fare da traghettatori  al luogo di immigrazione , al nuovo contesto e alla nuova cultura. Spesso la relatrice parla dello sguardo delle madri migranti come abitato da una fondamentale inquietudine, incerte se riusciranno ad affiliare il loro bambino alla propria stessa catena  genealogica.

Secondo Abdelmalek Sayad, poi, l’emigrazione di interi nuclei familiari è l’evidenza che un popolo “ha rinunciato alla sua discendenza”. Viene messa in crisi nei nuclei familiari la funzione di contenitore simbolico, nell’impossibilità di sciogliere l’intreccio tra il sentimento di sé e l’appartenenza culturale. I MSNA ( minori stranieri non accompagnati) sono mandati dalla famiglia con l’intento di avere possibilità di sopravvivenza, mentre il giovane che arriva desidera indipendenza ed emancipazione. Ma anche il mondo che li accoglie desidera ciò, proiettando a sua volta desideri che mettono in difficoltà l’adolescente  come mostra egregiamente il caso di Youssef.

Ma un ulteriore rovesciamento è quello che agisce  nella funzione specchio della migrazione  che svela il rovescio di quelle parti di sé da noi non riconosciute , perturbanti ed espulse. La stessa funzione di rispecchiamento, spesso foriera di integrazione, diventa disgregante. L’esterno destabilizza e trascina con  sé l’interno.

Tutto ciò è ancora più complesso in un adolescente che già vive il cambiamento del proprio corpo. La discussione avrebbe avuto bisogno si maggiore spazio vista la complessità del tema, la sua attualità, e la ricchezza del lavoro presentato.

Nel pomeriggio i partecipanti si sono divisi nei panel parallelli che come sempre cercano di abbracciare le varie realtà: il lavoro  istituzionale, l’osservatorio infantile , le relazioni precoci e tante storie cliniche.  Rappresentano sempre un momento di grande scambio clinico e teorico, di messa in discussione degli strumenti usati finora. Molto più facilmente nei gruppi si portano anche casi fallimentari affinché il gruppo aiuti ed apra nuove domande.  Ma ancora più evidente la creatività con cui ognuno cerca di rispondere ai bisogni che i piccoli pazienti portano.

La giornata si è conclusa con la proiezione del film di Celine Sciamma “Petit maman”

La mattina di domenica abbiamo la interessante relazione di Andrea Celenza, analista americana che ci porta l’esperienza di una paziente adulta, rimodulandola rispetto ai suoi vissuti infantili. Autrice originale e dominante più volte citata, Julia Kristeva, e il suo concetto di abbietto.

Celenza parte dall’erotismo materno, dal concetto di passione, estesa per Freud agli istinti vitali e sottolinea il fatto che la Kristeva ribadisca la trascuratezza del corpo nella teoria psicoanalitica.

L’erotismo materino è invece un principio vitalizzante, seduttivo ed enigmatico, trampolino di lancio per il bambino della ricerca della vicinanza con gli altri.

La corporeità è la nostra superficie di contatto con l’essere ( Merleau-Ponty, 1964), primo significante dell’erotico.

Ma la madre prepara anche alla separazione e alla perdita. Se tali esperienze si definiscono in senso mortifero, il bambino avrà a che fare con l’abbietto , ossia feci, sangue, germi, budella, vomito: concretizzazioni oggettuali fantasmatiche di esperienza traumatiche. Il bambino non potrà né pensare né giocare, non avrà spazio transizionale, e risulterà implodente come un buco nero.

La capacità contenitiva materna e la sua funzione vitalizzante eviteranno la caduta nel vuoto. I significanti dell’abbietto possono allora essere trasformati in oggetti transizionali, e nel  corso dell’analisi diventare spazio creativo.

Parliamo di una paziente molto sofferente che arriva in analisi usando il lettino come rifugio, come spesso accade: traumatizzati, questi pazienti hanno spesso assistito alla malattia di una persona cara e  alla sua degenerazione corporea e cognitiva. Temono che anche l’analista si deteriori, e che possano essere loro ad annientarla. Anche guardare fissare vedere diventano pericolosi e contaminanti.

Nel caso si tratti della madre, emergono ansie primitive associate al desiderio, presenze psichiche non digerite che possono attaccare dall’interno la femmina in quanto femmina.

 Il corpo sessuato materno proiettato sull’analista, diventa sito di paure e orrori devitalizzanti. Emergono la paura e il desiderio di essere intrappolati all’interno dell’analista madre, di danneggiarla ma anche di dipendere da lei per sempre, rendendola manipolatrice e approfittatrice, in una continua proiezione avida e disperata.

Se l’analista resiste agli “attacchi” della paziente, winnicottianamente, anche la paziente può sopravvivere. L’analista può accettare un primo spazio adesivo e rassicurante per la paziente, prima di proporre la realtà psichica della separazione, condividendo con lui/lei oggetti che magicamente risultano così rivitalizzanti ( anche oggetti disposti in qualche modo nella stanza o sulla scrivania o vicino al lettino).

Il/la paziente risperimenta il vuoto del negativo, delle forclusioni traumatiche infantili che negano la separazione e la perdita. Anche il denaro può rappresentare l’abbietto, il grezzo non elaborato, il forcluso non metabolizzato, oggetti parziali non introiettati.

La sopravvivenza dell’analista, la capacità di sopportare gli attacchi distruttivi, divengono la reverie materna non sperimentata: attributi sani per favorire nel paziente l’identificazione e la trasformazione. Così a poco a poco gli oggetti feticcio parziali diventano oggetti transizionali.

E’ seguito stimolante dibattito con domande da parte del pubblico; quindi una tavola rotonda coordinata da Giovanna Maggioni, con altri quattro analisti che hanno proposto un confronto sulle tecniche e sui metodi di intervento con i minori e le loro famiglie.

In remoto abbiamo avuto la presenza di Gianna Polacco Williams, che ha riproposto i temi già in parte trattati nell’intervista curata per spiweb da Gabriella Gentile, nel consueto stile semplice e discorsivo, che ha contribuito a concludere in serenità un congresso interessante e vario.


[1]Fernando Pessoa “Il libro dell’inquietudine”1982, ed. citta

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