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Webinar “Quali realtà in psicoanalisi?” 14/06/20 Report di A. Ramacciotti

7/12/20
Webinar "Quali realtà in psicoanalisi?" 14/06/20 Report di A. Ramacciotti

Report Webinar: “Quali realtà in psicoanalisi”

Relatori:  Antonio Alberto Semi e Michele Bezoari

 

Domenica 14 giugno 2020 si è svolto il primo seminario della Società Psicoanalitica Italiana in modalità Webinar, nell’impossibilità di incontrarci di persona a causa dell’epidemia di Covid-19 che quest’anno colpisce l’Italia e il mondo intero. L’evento ha visto l’adesione di più di cinquecento partecipanti tra psicoanalisti SPI e professionisti esterni alla SPI.

Quali realtà in psicoanalisi” è stato il tema affrontato nel Webinar dai relatori Antonio Alberto Semi e Michele Bezoari, conosciuti per la loro passione per la psicoanalisi e per la loro capacità di approfondire e di trasmettere i suoi concetti specifici. Il coordinamento è stato a cura del Segretario Scientifico della SPI Massimo Vigna Taglianti.

Di seguito alcune brevi note di entrambi gli interventi e degli scambi che hanno arricchito il dibattito successivo.

 

A.A. Semi inizia segnalando come sia diffuso nella nostra cultura dare per scontato che la realtà esterna e interna esista e che, d’altra parte, si sia sempre usato il diniego come strumento necessario per affrontarla.  Che cosa sia la realtà e come poterla raggiungere è una questione che si ripropone di continuo e che è sempre stata problematica, come testimoniano la teologia e la storia della filosofia fin dai presocratici.

L’attualità del coronavirus evidenzia ancora di più quanto la realtà esterna sia complessa, sconosciuta, mutevole e non riducibile al nostro microcosmo percettivo. Una constatazione che ci fa sentire fragili e impotenti. Il metodo scientifico sembra a volte poter arrivare vicino alla realtà dandoci, non di rado, l’illusione onnipotente che questa sia conoscibile direttamente, mentre il metodo psicoanalitico ci può dare informazioni sulla realtà dell’attività psichica che è innanzitutto una realtà inconscia. L’attività psichica del sistema conscio, piccola sezione dell’Io, sottolinea Semi “è solo la punta dell’iceberg di ben altra attività, perlopiù inconscia, che ha consentito, premendo verso il preconscio e qui collegandosi a rappresentazioni di parole, di bussare al sistema conscio e di farsi in qualche modo presente”.

Semi allora ci conduce, attraverso un suo sogno, nello specifico del metodo psicoanalitico e della realtà dell’attività psichica. Dalle sue libere associazioni – che spaziano vorticosamente anche nel tempo – sorgono due filoni associativi principali: il primo, attraverso l’assonanza “barca-arca”, lo porta al pensiero di una psicoanalisi con tanti colleghi e al desiderio che qualcuno scenda/si salvi da un destino comune. Il secondo tocca il tema della tendenza all’uniformità e del desiderio che gli allievi/figli possano intraprendere, con successo, strade diverse.

La questione del desiderio, del suo costituirsi in forme che consentono delle soluzioni pratiche al conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, fa riferimento alla prima topica mentre – segnala Semi – con l’introduzione della seconda topica e della dinamica tra Eros e Thanatos, dietro alla figura del desiderio acquista importanza lo sfondo di estraneità. La realtà sia esterna sia interna assume il ruolo di rappresentante ultima della morte, di ciò che non farà mai parte della nostra soggettività […].

La morte è ciò che della realtà ci rimarrà sempre estraneo e come una radicale estraneità. La realtà è solo rappresentata all’estremo della morte e come tale raffigurabile come inconoscibile, estranea, spaventosa.

Semi si chiede se una tale raffigurazione della realtà non sia presente già fin dall’inizio dell’attività psichica e se sia legata alla nascita, anche se nella situazione analitica abbiamo a che fare con diversi livelli di pensiero, permeati dalla pulsione e attraversati da diverse difese come il diniego, il rovesciamento nel contrario e altre.

In quale modo l’epidemia ci fa riconoscere la polarità “realtà-morte” e di conseguenza la nostra limitatezza e caducità? E infine in quale misura possiamo tollerare, e in un certo modo gioire o apprezzare, la realtà psichica dell’altro? Queste sono le domande sulle quali l’autore ci invita a soffermarci.

M. Bezoari fa riferimento da una parte a una matrice filosofica postkantiana, che vede nel “realismo relativo” una realtà che sostanzialmente è un’esperienza relazionale che ci coinvolge fin dalla nascita e prima di diventarne consapevoli, dall’altra a una concezione pluralistica della scienza, che implica che scienze diverse visualizzino diversi livelli di realtà. La nascita della psicoanalisi ha portato la scoperta della realtà psichica inconscia, grazie all’invenzione del metodo psicoanalitico basato sulle sue due regole fondamentali – libere associazione e attenzione fluttuante – aprendo nuovi scenari all’incontro tra analista e paziente.

Tra gli sviluppi postfreudiani del concetto di realtà Bezoari si sofferma sul pensiero di Bion e sul modello di campo: sostiene che entrambi abbiano contribuito a espandere i livelli di realtà accessibili all’indagine psicoanalitica conservando le invarianti fondamentali del metodo. Bion, superando l’equivalenza tra realtà psichica e realtà interna del modello kleiniano, sposta l’attenzione al livello bipersonale e intersoggettivo della realtà psichica inconscia quando colloca la lente di ingrandimento nel “ciò che accade tra due persone” (ad es. nel concetto di identificazione proiettiva comunicativa), dando luogo a un’esplorazione clinica e concettuale dell’attività in seduta come prodotto del lavoro psicoanalitico. Bion inoltre esplora il livello pre-simbolico dell’attività psichica, e indaga il lavoro onirico come modalità necessaria per la formazione dei pensieri sia consci che inconsci a partire da esperienze emotivo-sensoriali non ancora rappresentabili (funzione alfa) .

Nel descrivere la rêverie l’autore integra questo assetto mentale dell’analista con le potenzialità del metodo analitico. A questo riguardo risultano particolarmente importanti i precetti tecnici di Bion quando ci invita a sospendere la memoria, il desiderio, la comprensione e la percezione sensoriale.  Una condizione di “accecamento”, segnala Bezoari, un “sospendere l’attenzione verso altre realtà” per rendere accessibili alla coscienza i derivati dell’inconscio (sia i pensieri inconsci rimossi sia quelli in statu nascendi, prodotti dalla funzione alfa). “Nell’ottica di campo postbioniana, per definire le caratteristiche dell’assetto mentale analitico si potrebbe aggiungere un altro punto: la sospensione dell’identità personale. In questa prospettiva, infatti, l’analista si dispone a sintonizzarsi con atmosfere e correnti emotive che, per così dire, fluttuano nella stanza prima di poter essere riferite all’uno o all’altro soggetto dell’analisi”.

Non sempre risulta possibile mettere tra parentesi le altre realtà per allestire e far funzionare un dispositivo analitico. L’emergenza della pandemia ne è un chiaro esempio. Ma altri ostacoli possono provenire dall’interno della situazione analitica, come le resistenze del paziente, dell’analista e della coppia di fronte all’ignoto, ai possibili pensieri mai pensati e a emozioni mai vissute.

L’apertura verso l’ignoto e verso realtà psichiche ancora in divenire è la caratteristica forse più specifica della psicoanalisi, sia come pratica clinica che come disciplina scientifica. La domanda che ha dato spunto al nostro webinar è quindi naturalmente destinata a rimanere aperta. Perché, dicendolo con parole di Bion lievemente modificate per questa occasione, “la psicoanalisi è soprattutto una sonda che espande le realtà che esplora”.

 

La discussione

Riporto di seguito, a grandi linee, le questioni emerse nella vivace discussione e i principali spunti di riflessione proposti dai relatori.

 

– Alcune domande si riferiscono all’origine del senso di realtà e della realtà psichica, se questa preceda ogni processo di simbolizzazione e se si fondi sulle trasformazioni corporee dell’inizio della vita. Se la realtà psichica abbia un primato sulla realtà materiale in relazione all’impatto del Covid19, oppure se la realtà di questo “trauma collettivo” comporti un iperrealismo della concretezza che invade il simbolico e renda necessario esplorare le varie realtà e il paradosso di “rendere inconscio il conscio”.

 

Semi riporta la domanda se sia accaduto qualcosa prima che la soggettività sia già declinabile a quanto avviene in analisi a causa dell’irruzione della realtà nella scena analitica, quando, improvvisamente c’è dell’altro e questo “altro” non è stato simbolizzato e deve quindi essere simbolizzato per poter diventare qualcosa che fa parte del lavoro della coppia analitica. Semi considera come il problema del nostro disagio legato al ritorno al setting classico sia collegato alla necessità di elaborare questa situazione e come sia interessante ridiscutere il problema delle differenze; non si tratta di un problema che riguarda delle differenze teoriche, ma differenze di simbolizzazione, cioè  di come si sia  riusciti a rielaborare qualcosa che di per sé non era stato elaborato. Invita a essere realistici in quanto considera che sia la realtà psichica che la realtà esterna pongano la questione del limite della nostra soggettività, oltre al quale non andiamo. In quanto a rendere inconscio il conscio per ostacolare il rischio di iperrealismo, egli fa notare come già il sistema conscio, in termini topici, sia una fettina piccola, e dunque impedire che venga usata o renderla inconscia effettivamente ci esporrebbe a un grave rischio.

 

Bezoari sostiene che ciò che non è ancora simbolizzabile, non ancora rappresentabile, è in divenire. Invita a considerare vari livelli. Quello del metodo analitico che, ad esempio, richiede un dispositivo: almeno due persone che si incontrino in una certa condizione e che accettino certe regole del gioco comunicativo. Questo tipo di dispositivo va costruito prima ancora di farlo funzionare e inoltre non possiamo farlo nostro una volta per tutte, anche dopo lunghe analisi, né esercitarlo ovunque o in qualsiasi situazione della vita. In sintesi c’è un primo livello della sfida su come allestire il dispositivo all’interno di realtà materiali e sociali complesse, poi la sfida è quella di poter elaborare e simbolizzare un certo fenomeno in senso soggettivo e quindi di capire le nostre possibilità di vivere come soggetti pensanti che provano emozioni e sentimenti anche di fronte a eventi di realtà inedite per il nostro bagaglio rappresentativo, immaginativo.

Per quanto concerne l’iperrealismo o il rendere inconscio il conscio, nel momento in cui l’esperienza del “troppo” invade la coscienza in senso soggettivo, Bezoari segnala l’importanza del lavoro onirico, del sognare per elaborare la realtà. Si tenderebbe a rafforzare o far sviluppare la funzione psicoanalitica della mente che si acquisisce con l’esperienza interpsichica e interpersonale e che cerchiamo di riattivare nei nostri pazienti. Dice Bezoari: “Se consideriamo il covid solo come effetto di un virus, diamo per scontato qualcosa che neppure i virologi e i vari esperti sanno cos’è: figuriamoci se possiamo saperlo noi. Cosa sappiamo? Che cosa è stato a livello della soggettività? Con i nostri pazienti dobbiamo cercare di far funzionare questo lavoro inconscio di elaborazione, che è il transito necessario per soggettivare e vivere propriamente dando un senso a quello che ci è capitato”.

 

– Alcune domande si riferiscono alle realtà virtuali, se possono essere un modo per avvicinare le nuove generazioni alla psicoanalisi, se hanno delle potenzialità per ricreare il dispositivo analitico. Viene posta la questione dei limiti della possibilità di elaborazione nel trauma e nella depressione. La perdita della realtà, quanto è elaborabile?

 

Semi: risponde che la realtà virtuale è un’esperienza particolarissima da ricostruire in un’analisi, una questione non affatto semplice. Concorda con chi segnala che effettivamente non c’è solo una realtà del trauma ma c’è anche una realtà virtuale. In relazione ai gruppi che si costituiscono in internet si chiede in quale misura essi siano gruppi per costituire una nuova realtà e che richieste da rivolgere alla psicoanalisi potrebbero avere.  Le domande, sostiene, pongono la questione del limite negli interventi: fino a dove possiamo arrivare? I limiti oltre i quali non si può andare sono quelli relativi a cosa riusciamo a pensare sull’argomento riguardo al metodo e alla teoria. Solo se riusciamo a pensare a questo potremo condividere delle realtà con i pazienti, altrimenti, afferma Semi, ciò non sarà possibile. È un problema che ognuno di noi affronta personalmente, che deve elaborare e non esiste una soluzione generale. Semi in sostanza enfatizza come sia fondamentale sapere qual è il proprio limite vero, per ciascuno di noi, sulla propria realtà psichica interna.

 

Bezoari segnala che parlare di realtà virtuale per la sua generazione non è una espressione così pacifica e immediata e nemmeno quella di trauma: il concetto di trauma è tutt’altro che univoco, anche tra gli analisti. Il videogioco è stato considerato virtuale, una “second life”. Quel che oggi stiamo usando in questo webinar è diverso, è un mezzo di comunicazione. “Un conto è lo strumento, un altro è come lo si usa. Freud aveva usato la metafora del telefono che poi è diventato videotelefono. E poi internet. Quanto viene usato per avvicinarsi ed elaborare un possibile trauma, dandogli rappresentazione e affetti, e quanto viene usato come difesa per non vivere certe situazioni traumatiche, per non incontrare l’altro che sta dentro di noi e che desideriamo evitare? Anche il nostro dispositivo può essere usato dai pazienti e/o anche da noi per difenderci, invece di avvicinarci a esperienze emotive potenzialmente traumatiche”

Condivide quanto detto sui limiti, segnala che è un tema centrale e che è l’altra faccia della nostra specificità di cura e di disciplina; invita a vedere l’elaborazione di questo lutto non solo in senso depressivo ma come un’esperienza che consente anche la gioia di vivere.

 

Domanda a Semi: nel proprio sogno che ha riportato, come aveva interpretato il suono metallico, se fosse possibile pensare a un confine tra reale e simbolico e alla musica/suono come simbolo non consumato o forma significante, una forma di simbolizzazione senza contenuto?

 

Per Semi i suoni metallici è come se cercassero di raffigurare una cosa che non riusciva a raffigurarsi, ma che era l’impossibilità di simbolizzare e allo stesso tempo anche la sua potenzialità. La domanda che si pone è se si possa cercare di rappresentare qualcosa che non ha immediatamente un significato e che non è personalizzabile. “Io non vedevo, c’erano dei rumori. Se mi permettete una fantasia genetica, c’era qualcosa di assolutamente primordiale. Pensate, quando siamo nati abbiamo sentito attorno a noi un universo di suoni che non riuscivamo a collegare a un universo di elementi visivi e a cui genialmente (perché quando siamo nati siamo stati dei piccoli geni) siamo poi riusciti a dare un significato, con l’aiuto degli adulti vicini ovviamente, ma siamo riusciti a dargli un significato. Credo che questa fase iniziale sia molto fertile, se riusciamo a tornare indietro e a regredire transitoriamente per recuperarla. Dunque penso che la fase in cui si può avere un universo di possibili significati sia un elemento assolutamente importante. Con questo mi collego ad altre domande, perché mi pare che tutte pongano il problema su quale sarà il nostro compito al rientro. Avremo noi la capacità di sentire che cosa davvero è accaduto e quali potenzialità riusciamo a immaginare siano avvenute nella testa dei nostri pazienti?”.

Adriana Ramacciotti

 

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