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XVI Colloquio Italo-Francese “Declinazioni del perturbante” Napoli, 10 e 11 giugno 2023. Report di M. M. Ligozzi

26/07/23
XVI Colloquio Italo-Francese “Declinazioni del perturbante” Napoli, 10 e 11 giugno 2023. Report di M. M. Ligozzi

Giovanni Boldini: Donna in nero che guarda il “Pastello della signora Emiliana Concha de Ossa” Museo d’Arte Moderna e Contemporanea FERRARA

IL PERTURBANTE

A cura di M. M. Ligozzi

Parole chiave: Freud, perturbante, Unheimlich, Heimlich, diniego, Rolland

Nell’elegante e accogliente cornice del Palazzo Alabardieri il 10 e 11 giugno 2023 si è svolto il XVI Colloquio Italo-Francese “Declinazioni del perturbante”. Tale confronto tra la psicoanalisi italiana e quella francese ha ripreso il suo spunto fecondo dopo circa dieci anni dall’ultimo colloquio Italo-francese.

Declinazioni è forse la parola che, nelle diverse sfaccettature di significato, si sposa meglio con l’esperienza del perturbante nelle accezioni che i diversi relatori hanno proposto in queste due belle giornate. Ma lo vedremo strada facendo, nel ricordare i diversi discorsi dell’evento.

Nella sua introduzione Sabina Lambertucci-Mann ci ricorda che ognuno di noi possiede una sola lingua, quella delle origini. Le altre lingue permettono di comunicare tra noi e di apprezzare le differenze. Non è semplice scrivere in una lingua non propria. Forse lo stesso Freud aveva intuito questa difficoltà e nel voler andare oltre l’equazione perturbante=inconsueto, non aveva trovato qualcosa di nuovo nei dizionari di lingue straniere, forse perché – pensava Freud – noi stessi parliamo un’altra lingua, anzi, l’impressione che ricaviamo è che in molte lingue manchi un termine che definisca questa particolare sfumatura dello spaventoso.

Questo incipit sulla lingua delle origini e sulla ricchezza dell’incontro tra lingue diverse che trova consistenza in questo Colloquio italo-francese, si associa al tentativo durante l’evento di declinare l’espressione “Unheimlich” nei modi più vari e fecondi.      

Sarantis Thanopulos, Presidente della Società Psicoanalitica Italiana, riprendendo proprio la definizione freudiana di perturbante, “Unheimlich”, nascosto, celato, pericoloso, inconscio, lo confronta con il suo opposto “Heimlich”, familiare, focolare e ci ricorda che per Freud il perturbante ha sempre un significato ambivalente, un significato che conduce alla coincidenza di significati opposti, quali, appunto, estraneo è familiare. Freud è attratto dal modo in cui ne parla Schelling: qualcosa che affiora mentre avrebbe dovuto restare segreto.  E’ il rimosso che ritorna, potendo dunque coincidere anche col suo contrario, lo svelamento di ciò che doveva rimanere segreto, nascosto.

Inoltre, un effetto perturbante viene sperimentato anche quando il confine tra fantasia e realtà diventa labile e ciò che può essere una pura produzione fantastica sembra realizzarsi. La labilità del margine che separa fantasia da realtà si ritrova nel tema del sosia, del doppio di sé. Freud aveva affrontato questo tema nel commento al racconto di Hoffmann “L’uomo della sabbia”, affermando che il sosia originerebbe dal narcisismo primario ovvero l’amore illimitato per sé. Esso, infatti, rappresenterebbe, la garanzia di sopravvivenza di sé. Con l’evolversi del narcisismo verso forme più mature, però il sosia, in un rovesciamento di senso, si può trasformare in perturbante presentimento di morte. Freud, infine, associa il perturbante a un tempo in cui non erano tracciati ancora i confini tra Io e mondo esterno, io e altro. Thanopulos ne deduce che l’effetto perturbante viene suscitato dal ritorno di un rimosso che risale alla prima fase di separazione e differenziazione tra sé e l’altro, quando i confini tra fantasia e realtà non sono definiti. Il sosia, quindi, è fondamento di sé, identificazione narcisistica con il primo oggetto del desiderio, la prima insufficiente reazione al tramonto del narcisismo primario. Nell’identificazione narcisistica il doppio si presenta sia come sé nell’altro, la tendenza ad annullarsi nell’altro, sia come altro in sé, la tendenza a annullare l’altro nel proprio desiderio. Queste sono le manifestazioni narcisistiche delle correnti di desiderio della madre, quella possessiva e quella masochistica. La chiave dell’elaborazione del lutto sta nel bilanciamento tra queste due correnti.

Se la madre si pone come sponda per entrambe le correnti, farsi possedere e possedere, allora si convergerà verso un’identificazione isterica, struttura portante della trama onirica. Se ci si sposta dal nostro centro di gravità si può andare incontro all’altro.  L’effetto perturbante ci afferra quando la nostra identificazione isterica con l’altro è irrigidita e tende a un ripiegamento narcisistico su di sé. Per Thanopulos la tragedia greca è il luogo in cui il perturbante ci afferra e ci impegna. La tragedia è il luogo in cui i confini tra fantasia e realtà si attenuano e l’altro può diventare un doppio che ci cattura. Il poeta tragico ha la capacità di trasformare l’effetto perturbante in un processo di catarsi che ci coinvolge mediante l’induzione di sentimenti tragici, compassione, terrore e desiderio che ama il lutto (Gorgia). Qui emerge il dilemma tra la scelta sacrificale di essere sopraffatti dall’altro, quel che vive Antigone, e la scelta di sopraffare l’altro, quel che avviene a Creonte. Il fallimento della catarsi spinge fuori dallo spazio tragico verso il narcisismo di morte che uccide l’oggetto desiderato, spingendolo fuori dallo spazio di vita.

Se non riusciamo a integrare le spinte desideranti nell’identificazione isterica con l’alterità, uccidiamo l’altro per non essere uccisi, non riuscendo a identificarci con la sua alterità.

Martine Pichon-Damesin, la prima relatrice della mattina, introduce il suo discorso con una suggestiva citazione di Romain Gary: Quanto ci è noto è sufficientemente inquietante, affinché possiamo accettare di correre il rischio dell’ignoto.

E riflettendo sul suo “Io mi sono sempre stato un altro” si chiede da quale angoscia perturbante Romain Gary, maestro nell’arte della mistificazione, cercava di liberarsi attraverso la varietà delle sue molteplici attività cinematografiche e letterarie.

Il tema del Perturbante trattato tante volte, non solo nella letteratura psicoanalitica, è senz’altro impegnativo.  Nel raccontare l’angoscia al ritorno di qualcosa che è familiare, Martine Pichon-Damesin ricorda la corrispondenza fra Freud e Rolland e l’interesse di Freud verso il vacillare dei limiti, nonostante fosse comunque refrattario al discorso del sentimento oceanico.  

Pensando all’esperienza clinica, Martine Pichon-Damesin suggerisce che il perturbante si annida nei particolari, nelle pieghe delle sedute.

“Ciò che doveva restare segreto ed è riaffiorato” (Schelling) apre alla questione del legame tra familiare ed estraneo, il doppio, in quanto sdoppiamento narcisistico, ma anche ripetersi dello stesso. Nella ripetizione, però, i pazienti non sono se stessi e nemmeno altri. Si parla di una ripetizione che non è dell’identico, come lo descrive Michel de M’Uzan, perché è un ripetersi che coinvolge anche il ricordo.  

Martine Pichon-Damesin ci racconta la storia di Adele, una paziente primogenita con una madre che la minacciava continuamente di abbandono e un padre morto quando lei era molto giovane.

Nel riportare un momento dell’analisi di inquietante estraneità, l’analista si sente disorientata dal vissuto di Adele “non so più a che punto mi trovo”, che rispecchia momenti ricordati e rivissuti dall’analista, che in seduta non riesce a raccapezzarsi. L’analisi con Adele, seppur ricca di sogni sembra ripetere sempre le stesse questioni. Al disorientamento della coppia analitica, che sta nella nebbia, si associano gli errori della paziente che arriva in seduta in momenti sbagliati, comunicando il vissuto di una madre con la porta chiusa, una madre che non la vuole: quel che Adele viveva con la propria madre che continuamente minacciava di andarsene.

L’analista pensa al vissuto di impostura di Adele che non le fa sentire legittimo il cambiamento professionale che le è stato riconosciuto: ha avuto una promozione che però le crea disagio e vergogna perché si discosta dalle sue origini: un contesto socio-culturale ed economico misero e una madre imprevedibile che non incoraggiava le buone capacità scolastiche della figlia. Adele era diventata “un’altra”, iniziando così la sua menzogna, quando era stata accolta in un buon convitto con persone di “buona famiglia”.   

Con Adele si ha la sensazione di dover sempre trovare la distanza e il ritmo giusto, di dover navigare tra lo scoglio dell’angoscia di separazione e quello dell’angoscia dell’intrusione come ci ricorda Andrè Green.

    L’inquietante che sorprende l’analizzando e l’analista nell’attualizzazione transfero-controtransferale favorisce una dinamica inedita secondo la prospettiva di Martine Pichon-Damesin.

Nella discussione Andrea Baldassarro collega il perturbante al femminile, riproponendo una tradizione freudiana che associa il femminile al vedere e non vedere, da qui il doppio gioco e il confine instabile tra noto e ignoto. Allora la relazione della paziente con una madre fredda nel transfert può indurre nell’analista la tendenza a dover stare ferma, una condizione attraverso la quale la paziente comincia a scoprire la propria femminilità.  I silenzi di Adele, a volte persecutori, altre volte generativi, assumono significati diversi nel corso dell’analisi, man mano che diviene possibile incontrarsi creativamente nel cantiere che la coppia analitica ha costruito insieme.

l’Io è un altro, ci ricorda Baldassarro, che rimanda all’inconscio e al ritorno dell’uguale. Quando l’esperienza del perturbante va nella direzione della creazione di senso, prevale l’Eros che combatte il senso di morte che genera “il terribile”. Lo smarrimento perturba il campo analitico e si tratta di costruire difese, più che vincerle.

Come nella storia di Adele, molto spesso i pazienti possono stare in una condizione limite e sperimentare angosce di abbandono tra melanconia e psicosi. Il perturbante è un’esperienza ineludibile in analisi: può essere suscitato dal silenzio, dalla porta chiusa o da altri piccoli dettagli.

Adele chiede di essere solamente ascoltata: essere in due come una sola cosa. In una prima fase dell’analisi non c’è spazio per il terzo e quindi per l’interpretazione. La presenza dell’analista non può essere troppo viva, per ridimensionare il rischio che l’Io dell’analista sia un doppio perturbante.

Nella discussione si ipotizza che la paziente non si sia sentita soddisfacente per i genitori e che viva in una temporalità traumatica. La morte del padre la mette forse nella posizione di dover essere il principe azzurro della madre. La discussione sul caso è molto ricca di spunti e proseguirà nelle sessioni parallele e negli interventi del giorno dopo.

L’incipit di Lucio Russo, il secondo relatore della prima giornata, rievoca le sue origini napoletane. Ci ricorda che Napoli è una città doppia: la colorita espressione “iesc for” e “iesc rint” indica i due opposti dell’uscire e dell’entrare. Lucio Russo ci ricorda l’attrazione di Freud per la dimensione dell’occulto e per la psiche indifferenziata.

L’analista estraneo che, nel corso dell’analisi diviene familiare, deve ridiventare estraneo: l’analisi si svolge in un doppio allucinatorio. Dopo tutto anche Freud ha sempre lavorato in doppio: con Fliess, con Jung e con Breuer per esempio.  Nel ripartire dalla familiare estraneità del doppio, Lucio Russo ci ricorda che l’estraneità e il nostro tentativo di padroneggiarla ci confronta con le resistenze, forme di difesa inconsce.

Freud ha descritto difese appartenenti all’Io come la rimozione, il vantaggio secondario della malattia e il transfert, difese appartenenti l’Es, ovvero la coazione a ripetere e difese appartenenti al Super-Io ovvero il senso di colpa

L’Io può sentirsi in un posizione di passività a confronto con la violenza dell’Altro, ovvero l’assalto pulsionale che fa sentire l’Io ospite in casa propria. Quando l’Altro è presente in modo sbilanciato si rischia la catastrofe narcisistica. La debolezza dell’Io rende precaria la rimozione.

Russo cita Agamben: essere contemporaneo implica saper spegnere le luci che illuminano troppo il pensiero. Il buio ha a che fare con l’inconscio non rimosso, ovvero con una dimensione di indifferenziato che può dare origine al perturbante. Il perturbante è la via d’accesso all’antica patria, le nostre origini.

L’incontro con il genitale femminile ha un effetto perturbante e si associa alla fantasia di ritorno all’utero materno e di immortalità. L’incontro traumatico dell’Io con l’essere nato e con l’essere mortale può generare una forte angoscia e il rimosso può non reggere. Quindi si può determinare l’esperienza del doppio e del sosia.  Per Lucio Russo esistono due versioni antagoniste del doppio: il doppio strutturante e il doppio destrutturante.

In un eccesso di presenza, l’Eros e il legame conducono alla rimozione che passa per il doppio strutturante. Ne è un esempio “il compagno segreto” di J. Conrad: il doppio viene alla luce attraverso piccoli racconti.

In altri casi l’incontro con il perturbante può essere più traumatico e portare al rigetto e alla perdita dell’Io con conseguente melanconia e colpa. L’uno o l’altro dei due destini dipende dal modo in cui l’infante riesce a elaborare la perdita, il lutto.

Alle prese con l’angoscia dell’estraneo, l’Io arcaico rimuove portando fuori ciò che sente dentro. In tal modo un passato familiare fa ritorno. Nel doppio strutturante si realizza un’identificazione con l’altro narcisistico, ma anche con l’estraneo che limita l’onnipotenza infantile. Il doppio strutturante coniuga il presente e il passato e fa sentire con inquietudine la presenza dell’estraneo in sé: lo spazio transizionale è importante nel processo del doppio strutturante. La difesa narcisistica dell’Io rimuove estraniando. Il lavoro del lutto è tenuto in sospeso e persiste un’illusione allucinatoria. Il doppio è un fenomeno soggettivo che può implicare la personificazione di parti scisse sottratte alla coscienza. Il Sé arcaico esce dal Sé primordiale e, attraverso il doppio, consente al Sé arcaico confuso con la madre di differenziarsi da sé. Secondo questa prospettiva il doppio e il perturbante sono fasi della formazione dell’identità.

La condizione del doppio destrutturante implica invece un rigetto del doppio, amato e odiato, dall’Io perché è una condizione intollerabile. Lucio Russo esemplifica questa condizione facendo riferimento ai Duellanti di R. Scott che si ammazzano soccombendo all’odio. La rivalità è molto accesa e l’Io vuole diventare il fratello dell’oggetto perduto. Il Super Io arcaico si mette al posto dell’Io.

Lo sviluppo dell’Io, quindi, procede attraverso un duplice e contraddittorio movimento che parte dall’indifferenziato. L’Io nasce da una penetrazione dall’esterno e inclusione dall’interno. Il sentimento di identità si acquisisce attraverso minacce del crollo e caduta dell’altro. Il soggetto che cerca di fondare la propria identità ripercorre all’indietro il percorso formativo. Il doppio strutturante non è mai definitivo, declina delle possibilità.

Questo discorso sarà poi ripreso anche nella discussione. Lucio Russo associa il perturbante ad un’esperienza aconcettuale. Il soggetto falsifica la memoria per non farsi travolgere da ciò che potrebbe emergere. Freud si serve della lingua per illustrare il sentimento del perturbante, non riuscendo a concepirlo. In definitiva ad essere perturbante è l’angoscia.  Allora “ignotizzare il noto” è quello che succede nell’esperienza clinica. Si parla di un perturbante che appartiene all’area del non rimosso indifferenziato, in una indefinita corrispondenza uno-tutto e tutto-uno. In una dialettica continua tra doppio strutturante e doppio destrutturante, identificazioni narcisistiche e identificazioni luttuose, laddove tendere all’indifferenziato significa tendere alla morte.

E su questo ultimo punto sembrano incontrarsi, seppur parzialmente, i discorsi di Thanopulos e di Russo.

Nella discussione sul lavoro di Lucio Russo, Bernard Chervet evoca il personaggio di Pulcinella che ha un’identità binaria, vitale e terrifica, come nei doppi “morte e sesso”. Pulcinella è un simbolo della bisessualità dissimulata nel contrasto del bianco e del nero che evoca, attraverso la morte, la tendenza più primitiva di ogni pulsione, ovvero la sua estinzione.

Ritroviamo qui la metapsicologia delle identificazioni narcisistiche fondanti e strutturanti. Per Chervet tali identificazioni si dividono in due tipi: l’identificazione con i lutti elaborati dei genitori e quella con i lutti non elaborati.  Attraverso le identificazioni narcisistiche con i lutti elaborati dei genitori, il soggetto costruisce il “doppio strutturante” di cui parla Lucio Russo.

Chervet ci riporta a Romain Rolland che descrive uno stato di quiete basato sull’estensione del proprio narcisismo al mondo intero: un mondo di armonia libero dalle minacce legate all’attrazione estintiva delle pulsioni, un mondo senza angoscia perturbante. L’affetto di quiete oceanica dissipa ogni inquietudine. In questi stati di quiete prevale il diniego, al fine di reprimere il risveglio dell’effetto traumatico della percezione delle differenze, nonché delle mancanze legate ad ogni differenza.

Chervet, ricordando le diverse forme di angoscia postulate da Freud, sottolinea che il perturbante è un vissuto di ossessione che riguarda le inclusioni del rimosso, del lutto non elaborato dell’altro all’interno delle identificazioni fondanti del narcisismo del soggetto. Per Chervet questo è il regno delle trasformazioni corporee, delle dismorfofobie, delle zone del corpo non erogene, degli automi, dalla Carnal Art che annuncia la clinica di quelle richieste di trasformazioni corporee e sessuali che agitano la nostra epoca.

Chervet legge nel doppio destrutturante, mortifero, il frutto dell’inclusione di identificazioni lacunari o manchevoli, una sorta di doppio malevolo.

Nel pomeriggio le sessioni parallele esplorano il perturbante nelle sue declinazioni spazio-temporali e contestuali. Il perturbante nelle prime fasi del lutto nel lavoro di Luca Bruno, il perturbante nella clinica e nel sociale, attraverso il lavoro di Virginia De Micco, il perturbante in sé, attraverso il contributo di Stephanie Starck Muller e il perturbante all’inizio dell’analisi con il lavoro di Dinah Rosemberg. In tutti questi atelier il perturbante è associato ai lutti come osserva Chiara Rosso nelle sue conclusioni.

Nella mattinata di domenica si sono susseguiti interventi vivaci ed estemporanei dei diversi relatori che attraverso le questioni poste nella tavola rotonda, hanno avuto modo di riprendere e approfondire alcuni nodi interessanti dei discorsi affrontati.

Nel suo intervento Thanopulos riprende il racconto di Hoffman, citato da Freud.  La paura di Nathanael di vedersi sottratti gli occhi dal mago Coppelius evoca l’angoscia di castrazione. Gli occhi vivi del protagonista incontrano la finzione di Olimpia e devono rianimarla.  Qui sta l’effetto perturbante che ha la sua origine nel fantasma del composto androgino madre-figlio: la madre morta sul piano del coinvolgimento erotico deve essere rivitalizzata dagli occhi-pene del figlio. Essere sepolti nel ventre della madre come protesi virile è una fantasia molte volte presente nella clinica psicoanalitica.

Thanopulos ci ricorda che Freud in un passo del perturbante sostiene che alcuni associano al perturbante l’idea di essere seppelliti in una morte apparente che altro non è che la trasformazione di una fantasia, per nulla spaventevole, della vita intra-uterina. Attualmente il perturbante viene spesso associato alla figura dell’androgino, rivendicato come identità fluida. L’angoscia di vivere e farsi coinvolgersi viene soppiantata dall’identificazione con la morte: si cerca di far apparire vivo qualcosa di morto. In questa epoca dove è continua la manipolazione dei corpi, emerge il rischio di assuefarsi al perturbante, ovvero all’angoscia di essere invasi dalla morte, sotto forma di indifferenziato e inerte. Il perturbante ci segnala che siamo invece vivi e desideriamo esserlo. Il perturbante è la via per l’accesso alla differenza, per evitare l’omologazione.

Il Colloquio italo-francese volge al termine e Chiara Rosso nelle sue conclusioni si chiede, partendo dalla metafora dello sguardo: qual è lo sguardo sul perturbante che è emerso in questo colloquio italo-francese? Le declinazioni sono state diverse.

Lo sguardo accecante, che distorce, come quello di Nathanael, del racconto di Hoffmann, che si innamora di Olimpia, un automa perfetto che, però, non può corrispondere. Il cannocchiale, attraverso cui Nathanael guarda Olimpia, permette di vedere “oltre” e in questo senso ha una valenza magico/demoniaca ma potrebbe anche distorcere, far vedere quello che si vuole vedere. Da qui il diniego che si collega al perturbante.

Lo sguardo è doppio. Chiara Rosso ricordando il doppio strutturante e destrutturante di Lucio Russo, si concentra sulle difese e in particolare sul diniego della morte e sulla tensione verso l’immortalità che coinvolge trasversalmente le culture occidentali e orientali.  Il diniego protegge come nella lettura di Chervet. Il diniego è un elemento fondamentale della cura. Quando crolla il diniego ecco che si erge il doppio malefico, il frutto di una identificazione difettosa e allora crolla l’Io e con esso il mondo esterno. Nathanael si suicida e Olimpia si frammenta.  Il crollo del diniego non lascia spazio solo al perturbante, ma anche alla vergogna “sono piena di vergogna e mi vergogno di questa vergogna!” dice infine Adele, come Baldassarro ha messo in luce. 

Lo sguardo è disorientato perché nell’esperienza clinica a volte si sta nella nebbia e si deve tollerare di esserci come  Martine Pichon-Damesin ha accettato di perdersi con la sua paziente, per poi ritrovarsi. 

Lo sguardo è listato a lutto. Chiara Rosso ricorda il discorso di Paul-Claude Racamier: per trovare l’oggetto bisogna accettare di perderlo, l’Io si trova in ciò che si perde, in questo lutto originario che fonda la scoperta dell’alterità. Russo ci ricorda che il lavoro del lutto è tenuto in sospeso dal fenomeno del doppio e che l’accesso al doppio strutturante dipende dal superamento del lutto.

Dunque le declinazioni del perturbante sono state tante. Concluderei giocando con l’etimologia della parola “declinazioni”. Potremmo dire che si può “declinare” il perturbante, ovvero rifiutarlo, come quando “si declina l’invito dell’altro” perché eccede quel che l’Io può tollerare? Ma “Declinare” è anche andare verso il basso, cadere verso un pendio e dove se non nell’esperienza clinica, perdendosi e poi ritrovandosi, come nella storia di Adele e in tante altre esperienze cliniche?  Declinazioni sono anche le flessioni dei temi nominali in linguistica… il nome viene declinato, ma la radice non muta: quindi, c’è da chiedersi infine, quante flessioni del perturbante si incontrano nella dialettica del doppio strutturante e destrutturante o in quella tra identificazioni isteriche e narcisistiche a seconda del nostro sguardo? Nel XVI Colloquio italo-francese hanno potuto coesistere sguardi diversi sul perturbante, ma è nel lavoro clinico che l’incontro degli sguardi può generare un’esperienza perturbante, trasformativa e non mortifera, come ci insegna la storia di Adele. 

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