La Cura

Fragments d’une cure. Jeanne à la découverte de l’inquiétant en elle. Commento di G. Zontini

12/07/23
Bozza automatica 37

Giovanni Boldini: Donna in nero che guarda il “Pastello della signora Emiliana Concha de Ossa” Museo d’Arte Moderna e Contemporanea FERRARA

Parole chiave: Freud, Perturbante, Corpo, Psicoanalisi

Fragments d’une cure.

 Jeanne à la découverte de l’inquiétant en elle

Commento di Gemma Zontini

Vorrei sottolineare due aspetti dell’interessante scritto clinico che ci è stato proposto  1) il problema del corpo 2) la trasformazione della relazione della paziente con il materno e il paterno intesi come due elementi distinti tenuti insieme da un legame anodino in una relazione in cui Jeanne è legata a madre e padre intesi come due soggetti uniti all’interno della scena primaria.

Il corpo appare in Jeanne come qualcosa che esiste al margine tra corpo biologico e corpo rappresentato, formato in una dimensione immaginaria. La presenza di un corpo inteso nella sua biologia, nella sua essenza di ammasso cellulare, di corpo animale mi sembra evidenziarsi nella caduta di Jeanne nella poltrona dello studio analitico e nella descrizione del suo vissuto di annientamento in rapporto al materno. Ma è soprattutto presente nella descrizione della violenza subita dall’ex partner che in fondo non è grave, non ha importanza. Il corpo è corpo. È immoto e insensibile rispetto ad accadimenti la cui registrazione prevederebbe un’integrazione psicosomatica, una forma psichica del corpo, una sua rappresentazione. Credo che qui Jeanne proponga all’analista un corpo che non si è potuto costituire nel registro immaginario (Lacan 1949), che non ha potuto acquisire rappresentazione psichica. Si potrebbe dire che lo stadio dello specchio che convoca il rispecchiamento materno non si è pienamente compiuto lasciando Jeanne alle prese con il compito di districarsi dall’oceano del materno inteso come capacità di dare vita ma anche di mettere a morte la propria creatura. In altri termini, il rispecchiamento materno, lo sguardo della madre che dovrebbe fornire al bambino un’immagine di sé capace di dar forma psichica compiuta al corpo, diviene in questo genere di situazioni uno sguardo intermittente, enigmatico, in bilico tra invito alla vita e minaccia di morte. Da un altro punto di vista, si potrebbe pensare che il compito del Nebenmensch, dell’adulto soccorritore (Freud 1895), che è quello di favorire l’impianto dell’identificazione causativa all’immagine, di rendere il soggetto umano facendo emergere dall’informità del corpo biologico un io che renda il piccolo della specie bambino umano, non è stato portato a compimento.

Insomma il corpo, come dice Freud (1922) è l’Io del narcisismo da cui promana ogni investimento vitale. Tuttavia, perché il corpo possa divenire fondamento e limite dell’Io bisogna che esso acquisti forma immaginaria e rappresentazione simbolica mediante il rispecchiamento offerto dall’altro umano, dallo sguardo materno.

Forse in Jeanne il processo di rispecchiamento è stato parziale o incompleto. Perciò il suo corpo, e di conseguenza il suo Io, oscilla tra un funzionamento automatico, un corpo biologico, automa, che non può desiderare o registrare affetti (la violenza in fondo non è grave) e un corpo che desidera e investe, tra un corpo sentito come proprio e un corpo sempre a rischio di perdere i suoi confini, smarrimento dei confini dell’Io che l’analista ben avverte nel suo controtransfert quando si chiede insieme a Jeanne chi è chi, chi è folle, chi non lo è

Come se l’incompiutezza dei processi di messa in forma immaginaria e poi anche simbolica del corpo, e quindi dell’Io, intesi a riparare la frammentazione organica originaria, l’impotenza, la prematurazione biologica che caratterizza la nascita umana, avesse determinato la persistenza, accanto all’Io dei processi secondari, delle difese e della coscienza, di un Io-corpo formulato nei termini di quello che Lacan chiama il manichino eteroclito, l’homunculus anatomico, il corpo abbozzato e informe, l’ammasso cellulare che tutti noi, infine, siamo.

È solo quando l’analista si fa carico dell’angoscia perturbante del corpo-automa di Jeanne e riesce a rispecchiarla, funzionando forse da sosia, forse da sguardo materno meno enigmatico, meno invitante alla fusionalità oceanica, che Jeanne riesce ad assumere il corpo come metafora dell’Io : non si possono fare le cose alle mie spalle.

Per quanto riguarda il rapporto alle figure parentali, mi è parso che Jeanne avesse costruito una scena primaria incentrata intorno al rapporto tra due personaggi tenuti insieme dalla legge, quella stessa legge invocata a slegare il suo legame con il partner. Due figure mitiche, intente a sfidare limiti, a rilanciare maniacalmente il desiderio fino all’estremo limite della morte (come ben mostra l’immagine riportata nello scritto della madre della paziente che nuotava per ore nell’oceano o del padre che continuamente e sadicamente spingeva Jeanne ad investire una professione di successo), figure che solo la legge dell’Ideale, piuttosto che quella legata alla castrazione, poteva unire. Però, grazie all’analisi, ad un certo punto Jeanne scopre la contropartita masochistica al sadismo paterno. È a partire da ciò che la paziente può approdare ad una fantasia di scena primaria, pur tinta di venature sadiche e masochistiche, il grembo-materno-melone disgustante certo, imposto certamente a forza, ma anche indice della relazione erotica della coppia parentale. Un approdo a fantasie di scena primaria che infine le consente di recuperare legami affettivi importanti a valore antitraumatico con i suoi genitori-oggetti interni.

Vorrei a questo punto proporre due questioni : 1) Qual è secondo l’autrice la differenza tra angoscia legata al perturbante e angoscia in generale come esito della trasformazione dell’affetto ? Cioè, secondo quali criteri l’autrice ha identificato nel controtransfert una forma di angoscia che ha inteso come legata all’emergenza del perturbante, cioè come diversa da una forma di angoscia legata ad esempio all’accusare ricevuta dell’identificazione proiettiva del paziente o all’angoscia legata all’emergenza di un elemento perverso o falsificante della e nella relazione transferale ?

2) In che senso la sua relazione controtransferale ha determinato dei cambiamenti intesi ad elaborare il perturbante nella paziente e nella coppia analitica ? 

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