La Cura

La mente e il corpo: l’attenzione che abbraccia e dà amore. Tonia Cancrini

5/12/22
La mente e il corpo: l’attenzione che abbraccia e dà amore. Tonia Cancrin

KIKI SMITH

Parole chiave: amore; psicoanalisi; relazione

La mente e il corpo: l’attenzione che abbraccia e dà amore

    Nel riflettere sul tema dell’amore ho molto pensato a come l’amore si manifesta e a come si comunica agli altri. Certamente ci sono molti modi per esprimere l’amore.

     Ma un elemento molto importante, anzi fondamentale, mi è parso quello dell’attenzione e quindi della mente che pensa, che capisce, che è presente. Nel libro di Anne Alvarez si parla di Un cuore che pensa, legando così strettamente il pensare all’affettività e all’amore.

     Questo ci rimanda alla fondamentale funzione della mente della madre che non solo sente affettivamente i bisogni del bambino, ma cerca di comprenderli, di capirli, aiutando così il bambino a dare sempre maggiore espressione a quello che prova. E, al contrario, una madre che non riesce a mantenere una funzione mentale adeguata – magari perché troppo angosciata e presa dai suoi problemi – non è capace di rispondere in modo congruo alle sollecitazioni sensoriali e affettive che il bambino continuamente manda.

     Nella relazione madre-bambino c’è fin dall’inizio un rapporto affettivo e mentale; la funzione materna è quella di amare e di capire, riuscendo così a essere per il bambino fonte e sorgente di sicurezza e di fiducia. E attraverso la fiducia, la sicurezza e l’amore la madre costruisce e fornisce al bambino il senso di esistere, il senso di sé e della relazione. Così come, nel momento in cui la madre non riesce a espletare questa funzione di amorevole contenimento e comprensione, ma al contrario, vive una situazione in cui è travolta da inquietudine, ansia, odio, risentimento, il bambino si troverà sommerso da qualcosa che ritorna a lui come un uragano incontenibile. In tali circostanze l’effetto confusivo e confondente sul bambino è molto alto: non c’è più una presenza accudente e comprensiva, ma soltanto assenza e distrazione che determinano in lui uno stravolgimento e uno scossone incongruo e incomprensibile.

     E tutto questo insieme di emozioni, sentimenti, pensieri, riguarda tanto il corpo che la psiche. Nel modo in cui la mamma tocca un bambino è presente tutto il suo mondo interno di sensazioni, emozioni, pensieri. Ma, se certamente appaiono fondamentali le cure materne al corpo del bambino: tenerlo al caldo, maneggiarlo, accudirlo, altrettanto importanti appaiono le cure della mente: l’attenzione, il pensiero sul bambino, la rêverie, cioè la capacità della mamma di prendere in sé, elaborare e restituire accettabili al bambino le sue rabbie, la sua aggressività, le sue angosce, i suoi malesseri.

     Nella relazione primaria la capacità materna è non solo quella di accudire, ma anche quella di pensare e amare il bambino e dare senso e significato a quello che accade. Una funzione di grande valore che quando c’è trasmette al bambino amore, calore e comprensione, e lo fa sentire al sicuro, sostenuto, curato, ma quando invece è assente lo getta nello sconforto e determina inquietudine, disagio, paura, terrore, rabbia. Una situazione di -K che getta nel buio e nell’oscurità.

     Pensiamo alla madre morta di cui ci parla Green, una madre depressa la cui mente è lontana e non può non procurare un senso di vuoto, di perdita, di confusione.

     Nel caso di Rodolfo, un bambino che ho seguito in analisi per diversi anni, ho potuto vedere come sia stato vissuto in modo drammatico l’evento della mente materna che si allontana. All’ottavo mese di gravidanza un evento drammatico stravolge la mente della madre che si allontana così dall’attenzione al bambino che sta per nascere e alla sua vita nei primi mesi. Nella mente del bambino c’è una sensazione di vuoto che si riempie di rabbia e di violenza che sconvolge l’equilibrio interno del bambino. Rodolfo avrà poi bisogno di colmare il vuoto e superare la rabbia e lo potrà fare attraverso un lungo lavoro di ricostruzione che, accompagnato dalla mente dell’analista, riesce a effettuare.

      Allo stesso modo Simone, il bambino adottato che ha subito un terribile abbandono, con il suo nascondersi e chiedermi “mi vedi?”, “non mi vedi”, nell’ultima seduta prima delle vacanze, richiama con forza l’attenzione dell’analista che deve essere lì con lui presente anche con le sue parole di comprensione per aiutarlo a superare quella ferita terribile e quel vuoto assoluto che a momenti lo disintegra. E sento che devo parlare senza interruzione per non lasciarlo solo. Simone porta dentro di sé una ferita legata all’abbandono e all’esperienza terribile di aver perso una situazione di affetto e di accoglimento che lo ha fatto ritrovare nel buio assoluto della solitudine.

       Nella stanza di analisi dunque vediamo quale sia l’importanza di questa funzione della mente dell’analista perché nel transfert ritroviamo queste modalità primarie che ci rimandano ai rapporti più precoci. “Vi è a mio avviso una costante attività di rêverie di base, che è il modo in cui la mente dell’analista continuamente accoglie, metabolizza e trasforma ‘quanto’ le arriva da parte del paziente”. (2006, p. 11), chiarisce Nino Ferro. E ancora Dina Vallino sottolinea: “Bion ha chiarito come il compito analitico sia mantenere un pensiero vivente, una comunicazione vivace con se stessi e con le persone intorno. Pensare per vivere meglio. Compito dell’analista è strappare le emozioni al congelamento. Strappare alla morte emotiva tutto quello che si può.” (1998, p.34).

       Da più parti si evidenzia dunque l’importanza del passaggio in alfa dove frammenti di sensorialità e di affettività profonda trovano la loro trasformazione nel racconto, nell’immagine, nella rappresentazione. “la funzione alfa – sottolinea Nino Ferro – è una sorta di telaio che sbroglia i fili e tesse immagini” (2005, p.6). E Dina Vallino   sollecita al racconto di storie per aiutare i bambini a sciogliere il groppo di emozioni invivibili e a poterle finalmente esprimere.

     Storie, racconti, immagini, rappresentazioni sono una quantità di strumenti fondamentali perché si esca dall’oscurità e dalla inesprimibilità e si arrivi al luogo della rappresentazione e della consapevolezza. E la possibilità del racconto e dell’immagine, come del sogno e dei miti, può diventare un modo per elaborare anche i contenuti più inquietanti come la distruzione, la violenza, la colpa, il massacro.

      Del resto l’importanza del lavoro mentale e affettivo per metabolizzare i contenuti inconsci beta è assolutamente fondamentale ed è quanto avviene anche nella dimensione culturale, dove si creano storie, racconti, immagini che rendono possibile l’espressione di contenuti profondi e inquietanti. Tante menti al lavoro che riescono a dare senso e significato a questa nostra complessa vita affettiva e sensoriale.

     Una rêverie culturale che accompagna la nostra vita e che ci rende possibile sopravvivere anche in periodi come questi così oscuri e inquietanti

      E legato strettamente all’attenzione e al lavoro di trasformazione in alfa neiracconti e nelleimmaginic’è l’ascolto: altro momento fondamentale nel rapporto primario e nel rapporto analitico. L’ascolto è fondamentale nel rapporto con l’altro e permette che la comunicazione sia autentica e profonda.

     Alla ricerca di un ascolto c’è il vetturino di cui ci parla Cechov a cui è morto il figlio e cerca comprensione e ascolto, così come comprensione e ascolto ricerca ognuno di noi nei momenti difficili e di profonda tristezza e angoscia.     Cechov sottolinea come la cavallina sia l’unica capace di ascoltare l’angoscia e la disperazione del povero vetturino disperato per la morte del figlio. “A chi confesserò la mia tristezza?” (p. 159) è l’interrogativo con cui inizia il racconto, intitolato Angoscia (1886). “È il crepuscolo” (p. 159). La neve cade e Iona e la sua cavallina sono ricoperti di neve, immobili in attesa di clienti. Poi arrivano i clienti e con tutti Iona prova a parlare. “A me questa settimana, ecco, è morto il figlio” (ivi, p. 159). Ma nessuno lo ascolta… Finché la sera va dalla sua cavallina a portarle il fieno e comincia a parlare del figlio che lui sì avrebbe potuto fare il vetturino, mentre lui ormai è troppo vecchio.

     Già, è così, cara, cavallina mia… Non c’è più Kuz’mà Ionyc… se n’è andato all’altro mondo… è morto così, inutilmente… Vedi, diciamo, tu hai un puledrino, e sei la madre di quel puledrino… E d’un tratto, mettiamo, questo puledrino se ne va, muore… non è una cosa che fa pena?

     La cavalla mastica, ascolta e soffia sulle mani del suo padrone… Iona si lascia andare e le racconta tutto (ivi, p. 161).

     Così tante volte tutti noi cerchiamo qualcuno che ci ascolti con affetto e partecipazione, come la cavallina del racconto di Cechov, e come spesso ci ascoltano i nostri meravigliosi amici a quattro zampe a cui confidiamo i nostri sentimenti più profondi e i nostri dolori.

Tonia Cancrini

 Bibliografia

Alvarez A. (2012), Un cuore che pensa Astrolabio-Ubaldini, Roma 2014.

Cechov (1886), Angoscia, in Racconti e teatro, Sansoni, Firenze 1966.

Ferro A. (2005) Introduzione a Pensare per immagini (a cura di Ferruta A.), Borla, Roma.

Ferro A. (2006), Tecnica e creatività. Il lavoro analitico, Cortina, Milano.

Vallino D. (1998), Raccontami una storia, Borla, Roma.

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