
Marta Badoni. Ringraziamo Daniela Alessi e la famiglia di Marta Badoni per la gentile concessione della fotografia.
Parole chiave: prendersi in gioco, psicoanalisi infantile, Marta Badoni.
Pubblichiamo, in occasione dell’anniversario della scomparsa di Marta Badoni, avvenuta il 4 maggio 2024, questa intervista realizzata da Chiara Cattelan poco tempo prima. E’ un incontro animato, commovente e fresco che ci parla di ciò che è l’ascolto analitico nel vivo della clinica. Questo ci è parso un buon modo per renderle un riconoscimento con gratitudine e ricordare quanto ha dato a chi ha curato, bambini e adulti, e quanto ha dato alle generazioni di analisti che ha formato.
F. Cuneo
L’apporto della psicoanalisi infantile alla psicoanalisi degli adulti. Intervista a Marta Badoni di C. Cattelan
Questa intervista avrebbe dovuto costituire la traccia di un intervento di Marta Badoni alla giornata scientifica del Training dello scorso 19 ottobre 2024. Dedicata all’apporto della psicoanalisi infantile alla psicoanalisi, la giornata era stata pensata e programmata da Benedetta Guerrini Degl’Innocenti, Segretario del Training, con la collaborazione della Commissione per la Qualifica B/A della quale ero Segretario.
Marta era mancata il 4 maggio 2024, ma le parole che generosamente ci aveva lasciato sono state lette e commentate. Nell’occasione del primo anniversario della sua scomparsa, pubblichiamo questa intervista per ricordarla e per testimoniare la vitalità del suo fecondo contributo alla nostra comunità scientifica.
Ci eravamo sentite più volte al telefono per scambiare delle idee in vista della sua partecipazione. Era in programma una mia visita a Lecco. Alla fine di marzo Marta mi ha detto – vieni presto – . Sono andata a trovarla il fine settimana seguente.
Questa intervista si è quindi svolta tra il pomeriggio di sabato 6 aprile e la mattina di domenica 7 aprile. Vorrei accennare al clima nel quale ha avuto luogo, nella casa di Lecco circondata da un parco con alberi secolari e un profondo silenzio, dove Marta bambina giocava con i fratelli. Il nostro dialogo è stato interrotto da tante telefonate, messaggi, visite, che hanno creato una situazione viva intorno a lei, di scambi che si percepivano affettivamente intensi e significativi. Nella sua situazione, consapevole della fine imminente, non era venuta meno l’attenzione per l’altro, la curiosità, il piacere dell’incontro. Marta ha goduto fino all’ultimo di vere presenze, per usare un’espressione a lei cara.
Nel pomeriggio di sabato era presente Daniela Alessi, che le è stata vicina fino alla fine. Il giorno dopo, oltre al figlio Mario Benuzzi, è arrivata Vera Bolberti con cose buone per il pranzo. Tra le telefonate che riceveva quotidianamente, quella di Florence Guignard e di Stefania Nicasi. Stefania, insieme ad Alessia Fusilli De Camillis, ha dato un apporto fondamentale alla pubblicazione del libro Prendersi in Gioco, che ora uscirà tradotto in inglese per le edizioni Routledge: un progetto editoriale che Marta ha seguito fino all’ultimo.
Con Benedetta Guerrini e Anna Ferruta, che insieme a Marta ha avuto un ruolo decisivo nell’istituzione del Corso di Perfezionamento, si era pensato alle tre domande che le ho proposto nell’intervista.
1. Cosa avevate in mente quando avete pensato la fondazione e la ristrutturazione del perfezionamento?
MB Avevo in mente la mia formazione e quanto avevo imparato lavorando con i bambini, gli adolescenti e i loro genitori. Avevo in mente un approccio meno ingessato rispetto a quanto sembrava essere il lavoro con i pazienti adulti. Avevo in mente che senza la liberà del bambino di saltare di palo in frasca è difficile capire quanto libere sono le libere associazioni. Per questo abbiamo pensato che era importante introdurre altri modi di “essere con” rispetto al semplice ascolto del paziente adulto…e comunque … come sappiamo, l’ascolto dell’ascolto non è mai semplice.
Si può aggiungere questo: gli analisti di adulti sono abituati ad ascoltare con le orecchie, non usano tutti i sensi. Ecco, bisogna usare i sensi… i bambini ti fanno intendere …la funzione dell’intendersi, è li che bisogna arrivare. Ti obbligano a far funzionare qualcosa che altrimenti sarebbe lettera morta, la loro presenza ti tocca già di per sé.
CC Come dici nel libro, in quello che Freud ha detto sull’intendersi c’era già tutto; se fallisce, può rendere l’incontro un’occupazione tirannica da parte dell’oggetto (p. 141).
MB Poi c’è la libertà del gioco del bambino, la crudeltà e l’autenticità. Penso al bambino che diceva “taci che mi confondi…”
CC Devi lasciarmi lo spazio… perché io possa trovarmi come soggetto, cosa che gli adulti non sempre riescono a chiedere. Questo mi fa venire in mente un tuo lavoro intitolato “Corpo” (in Rivista di Psicoanalisi, 2012) nel quale dici che il ruolo dell’oggetto è prima di tutto quello di non sottrarsi, di poter tollerare il tempo necessario di non sapere, ma anche di non essere per permettere all’altro di giocarsi la sua libertà.
MB Penso alla canzone: Lasciatemi cantare con la chitarra in mano… mi ricordo un bambino autistico mutacico con una corazza spessa, in un angolo della stanza. Io cantavo …«ecco Marco eccolo qua … cosa viene, cosa fa…arrivato è, qui con me» e lui pian pianino si avvicinava…
CC Parlare cantando…È qualcosa che non ci verrebbe da fare con un adulto, ma come sblocca le situazioni! O forse talvolta lo facciamo? Cosa potrebbe essere l’equivalente con l’adulto?
MB Con l’adulto equivale a qualcosa che ha a che fare con la risonanza, anche con la mimica credo…non parlare recitando, ma essendo soggetti dentro la nostra parola.
CC Quello che hai detto della mimica mi fa pensare a come ci si guarda quando ci si incrocia sulla porta.
MB Mi viene in mente il pescecane, la dentatura del paziente, ad esempio. Io l’avevo visto, è un vedere più maligno… che parte anche da altri sensi. Lo avevo intra- visto
Ci sono dentro tante cose… lo stato di tensione…qualcosa che non vedi ma senti dentro come degli acuti, dei picchi che vanno su e giù.
CC La tensione si sente
MB È quello che ho imparato facendo il lavoro di ‘psicoterapia di rilassamento’ a Losanna negli anni 70. Questo metodo ti fa sentire i tuoi vissuti quando sei di fronte a un’altra persona.[1]
CC Quanto dev’esserti stato utile per i pazienti in analisi…
MB Moltissimo. Da questa formazione (con il corpo) ho tratto un’esperienza che continuamente ritrovo nel lavoro analitico: sentire la presenza dell’altro essendo presenti a sé: un tradimento necessario.
2. La psicoanalisi del bambino aiuta prevalentemente lo sviluppo di attività bloccate o rappresenta uno strumento di trasformazioni strutturali?
MB Dei genitori mi hanno scritto un biglietto per ringraziarmi. C’era l’immagine di una ciambella e c’era scritto «Non tutte le ciambelle riescono col buco». Mi hanno ringraziata perché comunque hanno imparato molto. L’analisi ha dei limiti ma può aiutare ad aprire la mente e ad essere più liberi.
Una bambina mi diceva: “occhi belli” e un momento dopo “culona”. Pim pam… devi essere sufficientemente sintonizzata con tutto. C’è molta imprevedibilità, molto la capacità di farsi sorprendere…
Cosa significa farsi sorprendere? Metterti in una condizione di ascolto ampia, che non sa già quel che gli arriva… un’attenzione sospesa, senza memoria e desiderio…
CC: Un bambino recentemente mi ha chiesto “fogli più grandi”, in un momento nel quale la sua mente si è aperta e lui sente che può essere più se stesso.
MB Bisogna potersi espandere a tanti tipi di ascolto. Quello che dicono adesso, io l’avevo bene in mente dagli anni di Losanna.
3. Potresti accennare brevemente alla psicoanalisi di un bambino che ti è servita per comprendere la psicoanalisi?
MB Penso sempre al bambino che diceva “taci che mi confondi”. I bambini possono sentire le parole degli adulti come un fatto opprimente e occlusivo invece che libero.
Achille è cambiato quando gli ho detto: «Se tu non mi insegni come vuoi che costruisca gli aeroplani non posso aiutarti». Questo intervento è stato considerato fondamentale anche da Florence Guignard. La disponibilità a farsi imprimere dei segni del bambino quando si lavora. I pazienti ci mostrano la strada, se siamo capaci di lasciarci imprimere dai loro segni e dai loro segnali. Il lavoro con i bambini è anche un esercizio, ti allena a farti influenzare da quello che ascolti, un grande esercizio di umiltà e di attivazione dei sensi, se non li senti sulla pelle, se non li guardi … è come occhi belli/culona…
CC A proposito di guardare: c’è la vignetta di Orlando (che ricordavamo con Stefania Nicasi), che mostra come l’analista infantile osserva il corpo, il movimento, i dettagli.
Ti cito: «Abbigliamento trascurato, pantaloni che sembrano non reggere un improvviso aumento di statura (che poi ritrovi nella sua adolescenza inaspettata), un’andatura incerta e dinoccolata, tra chi non sa bene dove mettere i piedi e il femmineo. La parola garbata, porta le tracce di un’educazione raffinata (questo involucro, rivestimento), ma la voce veicola un lamento, forse una protesta. Tuttavia, quello che mi è rimasto più impresso di questo primo incontro è un lampo di furia che attraversa il suo sguardo al momento di accomiatarci, accompagnato a una mia sensazione che i suoi denti siano troppi, e troppo grandi»
MB Lo squalo…da piccolo aveva paura degli squali…era uno garbatissimo ma con dentro un’aggressività… che dovevi molto mediare. … ti ho detto come l’ho fatto tornare dopo sedute e sedute saltate?
CC No!
MB È stato dopo molte sedute, non una due…moltissime. A un certo punto sparisce … io pensavo che se gli avessi detto «Io sono qui che L’aspetto, Lei cosa fa?» non sarebbe più venuto… Invece gli ho detto: «mi domando cosa stia succedendo». E lui immediatamente mi ha risposto, anzi si è presentato… era proprio un signore raffinato…dell’alta borghesia colta, lombarda…È stata una lunga analisi. È riuscito a mettersi insieme a una donna, a fare un bambino e ad andare a insegnare dove lo chiamavano.
Una paziente l’altro giorno, improvvisamente, mi manda un messaggio che interpreto che voleva sapere se fossi ancora viva o morta. Non la sentivo da trent’anni, almeno venti abbondanti. Ha detto che vorrebbe venire a trovarmi e lì si sono aperte le cateratte. Siamo state a lungo al telefono. È una paziente di cui ho molto parlato nel libro e siccome ha detto se vengo in Italia la vengo a trovare…
I miei pazienti li ho molto amati alla fine, sempre.
Adesso capisco meglio il significato di questa Giornata che è di dare valore al punto di partenza.
Sono stata così coccolata durante questa malattia. Tante persone, magari non tantissime ma vere con le quali scambiare davvero qualcosa … Vere presenze è un libro George Steiner che ho molto amato e anche citato in un lavoro sulla rivista di qualche anno fa. Sono contenta di averti detto di venire perché è diverso in presenza.
Nota Aggiungo una citazione dal libro di George Steiner amato da Marta:
Quando tra due libertà c’è cortesia, viene mantenuta una distanza vitale. Un certo riserbo persiste. La comprensione viene pazientemente conquistata e rimane sempre provvisoria. Ci sono domande che non poniamo al visitatore che bussa alla nostra porta, alla presenza nella poesia e nella musica che ci convoca, perché temiamo che sminuiscano sia l’oggetto della nostra interrogazione che noi stessi. Ci sono discrezioni cardinali in ogni incontro fertile con l’offerta di forma e di senso (Steiner, 2019,170).
Cos’è che trasforma la ricezione momentanea in residenza duratura? La risposta onesta è che non lo sappiamo o forse ci siamo già incontrati (ibid,173)
[1] Negli stessi anni Sessanta in cui Bion lavorava ai modi di trasformazione della esperienza, J. de Ajuriaguerra (di cui sappiamo la vicinanza con Wallon e con Merleau Ponty) metteva in contatto la sua formazione psicoanalitica con gli studi di neuropsicologia (ha infatti diretto la cattedra di neuropsicologia dello sviluppo al Collège de France dal 1975 al 1981). Egli scrive di un fondo tonico che dipende dalle organizzazioni neurologiche che si sviluppano progressivamente e dalle modalità di reazione che variano anch’esse secondo il livello di maturazione, ma aggiunge che tanto il fondo tonico dinamico quanto la reattività si modificano secondo la natura della relazione» (1960).
Notiamo come Ajuriaguerra metta l’accento sul fondo tonico e sulla natura della relazione: l’alternanza tra stati di tensione e di detensione, allerta o fiducia, sono la base prima e originaria di ogni incontro, ma sarà la natura della relazione a dare ai membri che vi partecipano il permesso di vivere, in questa alternanza, il proprio limite.
Su queste basi Ajuriaguerra dava forma a una psicoterapia, che chiamava psicoterapia di rilassamento, con il seguente setting: il paziente è sdraiato, l’analista è seduto di fronte, la cadenza è ritmica, una seduta alla settimana, la consegna è quella di provare a sentire e eventualmente parlare di quello che si avverte quando si porta l’attenzione sul corpo. La capacità negativa è tutto questo, e non è una passeggiata.