La Cura

L’enigma del Femminile. C. Cimino intervistata da A. Migliozzi

12/11/23
Disabilità/1. Umberto Piersanti, poeta, intervistato da D. D’Alessandro

Parole chiave: Freud, Femminile, Materno, Lacan

Gentile dott. Cimino*, come sa si svolgerà a Firenze 25-26 Novembre, il Congresso Spi per la sezione Bambini-Adolescenti, Un difficile inizio. A lei chiediamo di aiutarci a capire dove tutto ebbe inizio, peraltro un difficile inizio e mi riferisco al grande enigma del femminile che ha segnato pesantemente la psicoanalisi.

Il femminile continua ad essere un enigma anche per le donne stesse sebbene lo si interroghi di più, non sempre in modo opportuno e fertile e mi riferisco sia ai contesti psicoanalitici sia ad altri. Ma si deve continuare a interrogarlo nonostante a volte sembri impossibile per quanto è impalpabile e sfuggente.

Una delle grandi scoperte freudiane (forse La scoperta) è stato il desiderio di incesto, rovente e insopprimibile, che in origine per entrambi i sessi investe la madre. Che fine fa questo amore così esclusivo, assoluto, richiedente? Per gli uomini dovrebbe essere più semplice maneggiarlo e in qualche modo svincolarsene, se non altro per via della sponda dell’identificazione al padre. Sappiamo invece che spesso è tutt’altro che semplice non solo perché i padri “vacillano”, come enuncia Lacan già dalla fine degli anni ’30, ma perché l’operazione di rinuncia ad essere il fallo della madre, ciò che a lei è supposto mancare, è travagliata e talvolta impossibile. L’assunzione della funzione originaria è in certi casi destinata insistentemente a ripetersi nell’orientamento amoroso. Per le donne la questione è ancora più complessa perché lì la sponda non c’è, o meglio, c’è in quanto il padre dovrebbe fornire un surrogato di ciò che è supposto mancare. Una prospettiva misera e inquietante allo stesso tempo. Chi o cosa ama veramente la donna nell’uomo? Il fatto che le fornisca un bambino-fallo? Che diventi l’uomo stesso il proprio bambino-fallo? O, come dirà Lacan, la donna stessa si farà fallo per il proprio uomo?

Freud aveva capito molto bene e non ne era certo soddisfatto, che i percorsi dell’amore bruciante della bambina per la madre sono del tutto oscuri ad onta della contorsione che la porterà (se la porterà) ad amare un uomo. Sta di fatto che questo legame catastrofico (cito Freud) lascerà una traccia di dolore (“mi hai sedotta e abbandonata”), recriminazione (“non mi hai dato il più prezioso degli attributi”), disprezzo per sé stessa e per il femminile in genere (“sono priva come te, non valgo niente”). Evidentemente questo piano è fantasmatico e dunque immaginario ma non per questo meno psichicamente reale, anzi, e orienterà, ripetendosi, gli investimenti amorosi della donna. Su un piano simbolico il fallo non ce l’ha nessuno, né uomini né donne, perché esso non è un organo, è solo il rappresentante della mancanza che caratterizza gli esseri umani.

Tutte questioni aperte e soprattutto pronte a riaprirsi in momenti cospicui della vita di una donna come la gravidanza e la maternità, visto che parliamo di questo. Affioreranno i fantasmi e le identificazioni sia all’Altro materno che al figlio (e dunque a se stessa in quanto figlia) e dalla loro forma dipenderanno le successive vicissitudini. Le madri si interrogano sulla loro reale capacità di generare, persino di nutrire un figlio anche quando apparentemente i problemi non ci sono. Una madre che sente di “accontentarsi” di un surrogato difficilmente amerà il figlio in quanto tale ma solo in quanto gioiello da esibire e che non vuole lasciar andare. O si identificherà alla privazione di una figlia femmina con le conseguenze che possiamo immaginare. E così via.

Come ribadisce D. Scarfone (2019), se Freud è stato perturbante per l’epoca (inconscio, sessualità infantile etc.etc), non si può dire altrettanto quando affronta il tema del Femminile. Definisce la donna come castrata, imperfetta, che si ‘ricomporrebbe’ soltanto nella maternità. Un aspetto a dir poco imbarazzante, oggi.

Si, Freud nel femminile ha fallito, è stato Lacan a spingersi oltre non solo perché l’angoscia di castrazione che in Freud resta tale, diventa invece la scommessa del suo attraversamento e dell’assunzione della propria mancanza nell’ambito della cura, della rinuncia al fallo immaginario e alle sue insegne di potenza e padronanza/controllo che sono fonti di tanti problemi. Ma soprattutto perché, come accennavo prima, ha introdotto la dimensione dell’oltre-struttura dove le donne (e anche alcuni uomini perché per Lacan, a differenza di Freud, l’anatomia non è un destino) si collocano, sfuggendo alla legge fallica che può diventare molto violenta in quanto tale e soprattutto verso chi si colloca oltre e, nei territori del femminile inventa un suo proprio modo di essere che rimescola le carte in tavola.

Il Continente nero Freudiano potrebbe essere inteso come la grande capitolazione di Freud, ovvero non essere riuscito a slegare il femminile dal materno. 

Freud, dopo avere ammesso con la consueta onestà di non avere capito nulla del desiderio femminile, ha tentato un’incursione inizialmente molto promettente nel dark continent ma fornendo, alla fine, una soluzione assai deludente. Il percorso per “diventare donna” (cito il Freud promettente) prevede il diventare madre e sostituire attraverso il figlio ciò che le manca. A meno che la donna in questione non si “mascolinizzi”.

Insomma, le donne sono prive e devono accontentarsi di un surrogato che tamponi illusoriamente tale privazione. Questo non solo è un grande limite freudiano ma è una strada che conduce ad ulteriori problemi, primo fra tutti, come accennavo prima, la riluttanza materna nel lasciar andare il figlio che ha una funzione così fondamentale per la propria esistenza. Dal lato del figlio troviamo la difficoltà se non l’impossibilità a distanziarsi dalla domanda materna e dunque da questa funzione Del resto, Freud, che ha iniziato il suo percorso con le donne (le “isteriche”) ed è stato sempre immerso nel femminile (la moglie, la cognata, le pazienti, i rapporti privilegiati con donne eccellenti come Sabina Spielrein e Lou Salome, solo per nominarne due), in conclusione ha rigettato il femminile, rigetto sancito dal testo del 1937 Analisi terminabile e interminabile. Come ho avuto occasione di scrivere (Cimino 2020) ho idea che questo abbia a che fare con una macchia cieca di Freud.

Questa difficoltà con il Femminile di Freud, cosa ha lasciato in eredità alla psicoanalisi

Se assumiamo che lo psichismo è organizzato in una struttura di marca fallica, la posizione materna si colloca all’interno di questa struttura e dunque, paradossalmente, la madre si trova sul lato del fallo, soggiace alle sue leggi. Non che sia facile essere madre, anzi, ma in qualche modo la strada nell’inconscio è più tracciata. La donna, anzi, le donne (e il loro desiderio), perché ognuna è differente, singolare, si colloca in quell’oltre-struttura che Lacan ha introdotto negli anni ’70. Una sorta di terra di nessuno al di fuori della legge fallica dove nessun percorso è tracciato e tutto è da inventare. Questo può sembrare molto astratto ma se ci guardiamo intorno non è così, è invece terribilmente reale. La maternità è ancora ciò che in una donna è visto di buon occhio, come un esito “naturale”; ci sono persone, anche donne, che affermano che il compimento, la “realizzazione” di una donna sta nella maternità altrimenti c’è qualcosa che non va. Alcune donne vogliono (che non è la stessa cosa che dire “desiderano”) avere figli a tutti i costi e in questo le biotecnologie (o biopolitiche?) le sostengono. Le donne (magari essendo anche madri) che si abbandonano al proprio desiderio, qualunque esso sia, che deviano dai binari precostituiti del regime fallico, continuano ad essere guardate, certo, anche con curiosità, persino con desiderio, ma ancora con sospetto, timore, avversione nella peggiore delle ipotesi. Sono donne meno soggette al controllo che è proprio del regime fallico all’insegna del quale gli uomini (non tutti) vivono e si comportano. Quelle donne sfuggono: da questo nasce molta della violenza degli uomini contro le donne.

Un difficile inizio, dunque, quello della psicoanalisi con la donna. In questo senso, la rivoluzione sessuale degli anni ’60, ha visto Freud, criticato e contrastato dai movimenti femministi, fino ad essere etichettato, ‘giustificatore dello status quo’ (della borghesia e del patriarcato) e di conseguenza la pratica psicoanalitica è stata etichettata come un prodotto dell’egemonia fallocentrica maschile (Juliet Mitchell, 1974). Che ne è stato di concetti come corpo, maternità e rapporto donna-uomo.

Il tema del rapporto tra psicoanalisi e femminismo è complesso e ci porterebbe lontano. Freud nel corso della sua ricerca ha scoperchiato l’inferno che abitava le famiglie, una sorta di implicita ed eversiva denuncia, e ha fornito, anche con l’introduzione dell’edipo, una possibilità di collocarsi in modo differente rispetto ai propri padri. In fondo l’unico padre buono è un padre morto. Per il femminile le cose sono andate diversamente.

Non c’è dubbio che il paterno e il maschile in quanto tale siano in grande crisi e che, proprio in reazione a questo, possano presentarsi ancora nelle loro peggiori versioni: quelle violente e abusanti (Cimino 2023). Tuttavia esistono giovani uomini e giovani padri che si mettono in gioco, che si interrogano sulle tematiche del femminile e del materno, che cercano di costruire un modo differente rispetto a quello patriarcale per essere compagni e padri, forse per “diventare uomini”. Questo è già uno spiraglio.

In barba al mito dell’armonia amorosa i rapporti tra uomo e donna sono difficili proprio per la asimmetria strutturale tra i sessi e vanno inventati e reinventati continuamente. Si suppone che un reale desiderio di figlio sia già una forma di garanzia per l’infans e certamente lo è, ma il piccolo è comunque preso nella rete complessa e insidiosa delle relazioni familiari. Se, come dice Lacan, la madre è un coccodrillo, non è perché sia cattiva o crudele ma semplicemente perché, come può accadere ai cuccioli che restano talvolta impigliati nei denti di mamma-coccodrillo, può accadere ai cuccioli umani di restare impigliati nella domanda materna di riempimento del “buco” e non solo. Come si fa a non rispondere alla domanda della madre? E come si fa a rispondere? Ma soprattutto: che vorrà mai questa madre da me, figlio? Qui risuona il Freud del Progetto quando enuncia la componente Fremde, enigmatica per definizione del primo Altro, del Nebenmensch, il soccorritore, quello (o quella) delle cure. Lì, evidentemente c’è la necessità di un terzo efficace nel mettere una qualche distanza tra i due termini di un legame assoluto o vagheggiato come tale, che rischia di implodere in sé stesso se la madre non riesce ad autolimitarsi. Ed è difficile autolimitarsi. L’assenza o la latitanza di un terzo-padre (o chi per lui: anche una donna può essere un padre, evidentemente, e viceversa) è un rischio per il figlio ma anche per la madre lasciata sola che, come conseguenza estrema ma diffusa, può andare incontro al maternity blue con esiti talvolta drammatici. Se fossimo meno ipocriti non ci stupiremmo così tanto gridando al “mostro” o al “folle” (“la folle”) quando una madre uccide il figlio e magari anche se stessa.

Oggi, nello stato attuale di disorientamento ‘postmoderno’ (Post-Human, Rosi Braidotti, 2013), che posto hanno concetti come materno e femminile. Sono ancora utili?

Essere madre è difficile perché, nonostante nell’inconscio esista solo “la madre” non esiste una madre “naturale” visto che siamo animali parlanti. Diventare donna lo è ancora di più, e può essere estremamente difficile tenere insieme le due posizioni. Per via delle vicende storiche (e non solo) che tutti conosciamo (il femminismo, la crisi del maschile e del patriarcato) le donne sono più sensibili al proprio desiderio, lo ascoltano di più e può accadere che questo confligga con il loro essere madre. Spesso il desiderio femminile da un lato, l’amore e la devozione verso il figlio, ancora mistificati da una retorica della maternità, fanno fatica a stare insieme. Molte donne si sentono colpevoli di provare anche desiderio di altro e non solo del loro bambino come “dovrebbe essere”, di non essere appagate per il semplice fatto di essere madri. Il surrogato non basta più, ammesso che sia mai bastato. La differenza è che adesso le donne ne sono più edotte. Questo parla di movimenti profondi che segnalano un cambiamento a cui assistiamo i cui esiti sono tutt’altro che chiari. Nella stanza di analisi vedo pazienti che riescono, con fatica, a fare pace con la loro ambivalenza verso il figlio, a non scambiare il desiderio di essere anche donne con l’essere “cattive madri”, ad alleggerire i sentimenti di colpa. A godere di più sia dell’essere madri che dell’essere donne.

Medea è un paradigma che illustra come l’essere una donna prevalga sull’essere madre: la passione e la gelosia cieca per il proprio compagno da punire in un modo che deve essere atroce vince sull’amore per i figli.

Paradigma inquietante ma efficace alla luce di vicende a cui capita di assistere, magari non sempre eclatanti né come quella di Medea né come quella della madre che non molto tempo fa ha lasciato la figlia di pochi mesi a morire di stenti su un materasso lurido che la piccola tentava di mangiare. In casi come questi non solo la donna e la madre non stanno insieme, ma il figlio viene eliminato nel reale in quanto prova vivente di una maternità rifiutata, insostenibile. In altri casi la sofferenza, la colpa, l’ambivalenza verso il figlio ma anche verso un compagno che le ha “invase” e relegate all’essere tutte-madri, magari senza il suo sostegno, sono meno evidenti o mimetizzate rischiando persino di passare inosservate, ma non per questo meno dolorose e capaci di lasciare un segno sulla donna e sui suoi legami, a cominciare da quello con il proprio figlio.


*C. Cimino È psichiatra e psicoanalista di formazione freudiana e lacaniana, full member della Società Psicoanalitica Italiana, organo dell’International Psychoanalytical Association. È stata co-editor dell’European Journal of Psychoanalysis. Attualmente è membro dell’Istituto Elvio Fachinelli – ISAP (Institute of Advanced Studies in Psychoanalysis) e dell’Editorial Board della rivista “Vestigia” (www.psychoanalysis-journal.eu). Ha pubblicato molti saggi in varie lingue, tra questi Il discorso amoroso. Dall’amore della madre al godimento femminile (Manifestolibri, 2015) e, recentemente, Tra la vita e la morte. La psicoanalisi scomoda (Manifestolibri, 2020).

Un difficile inizio. VII Convegno Nazionale sul lavoro psicoanalitico con bambini e adolescenti. Firenze, 25 e 26 novembre 2023

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