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“Diventare madre” di M. Bydlowski. Recensione di E. Marchiori

30/10/23
"Diventare madre" di M. Bydlowski. Recensione di E. Marchiori 2

Parole chiave: Psicoanalisi, Maternità, Inconscio,  Memoria, Identità, Identificazione.

“Diventare madre. All’ombra della memoria non cosciente”

di Monique Bydlowski

(Astrolabio, ed. 2022; ed. originale  2020, Odile Jacob, Paris)

Recensione a cura di Elisabetta Marchiori

Questo libro, in cui Monique Bydlowski ripercorre e attualizza il suo lavoro clinico, teorico e di ricerca nell’ambito della gravidanza e della maternità, consiste in poco più di duecento pagine densissime e coinvolgenti. Si leggono d’un fiato, non solo perché intrise di conoscenza e di esperienza, ma anche perché fanno cogliere la passione, la cultura, la saggezza, il profondo senso di umanità, nonché la “non comune capacità di sintesi” dell’autrice, come giustamente sottolinea Lenio Rizzo nell’introduzione all’edizione italiana.

È lui che mi ha fatto conoscere questa straordinaria collega in occasione della Mostra del Cinema di Venezia, qualche anno fa, e ora mi ha coinvolta nella presentazione di questo testo in una libreria di Padova. Ricordo che allora mi avevano colpita sia l’incisività del suo sguardo, cui nulla sembra sfuggire, sia l’argutezza dei suoi commenti ai film, tutti elementi che hanno trovato conferma nella lettura di questa sua ultima opera.

Bydlowski è psichiatra, psicoanalista, direttrice di ricerca onoraria dell’ISERM e la storia del suo percorso formativo è affascinante. Lo descrive lei stessa nella prefazione e se ne può trovare una versione più esaustiva, corredata da foto, in un bell’articolo pubblicato on-line nel 2020[1]. Qui lei confessa di non avere avuto in principio alcuna “vocazione medica”, ma che avrebbe voluto occuparsi di letteratura, desiderando di diventare scrittrice. Tuttavia, leggendo di lei, dei suoi studi, delle sue ricerche, approfondendo qui le sue competenze psicoanalitiche, ci si convince facilmente di come sia riuscita a integrare nel suo lavoro entrambi gli aspetti. La sua è una scrittura agile e fluida, con continui riferimenti a opere di scrittori, pittori, musicisti, registi, che arricchiscono di creatività il rigore delle ricerche e dei concetti psicoanalitici che descrive, alle storie cliniche che condivide, alle domande che pone in campo giuridico e sul piano etico.

Tali riferimenti, con il loro potere evocativo, consentono di rendere la lettura di questo libro, — prezioso per tutti coloro che si occupano specificamente della psiche umana — fruibile anche ai non addetti ai lavori. Ogni lettore ha la possibilità, infatti, non solo di cogliere gli aspetti centrali degli argomenti trattati, ma anche, magari con stupore, ritrovare esperienze personali o familiari, proprio come in un romanzo.

Tornando all’autrice, in un primo tempo come medico, quando ancora neurologia e psichiatria non erano discipline distinte, si è occupata di malattie neurologiche e dello studio istologico del sistema nervoso, prima alla Salpêtriere a Parigi, poi alla Columbia University a New York, imparando “il rigore metodologico e soprattutto l’accurata raccolta di una dettagliata semeiotica”, a “seguire le tracce del segno, talvolta minimo, che faceva prevalere la certezza della diagnosi anatomo-patologica” (p. 10).

Tornata a Parigi nel 1967, ha proseguito la formazione psichiatrica nell’ambito della corrente comunitaria del dipartimento psichiatrico del XIII arrondissement, creato nel 1958 da Serge Lebovici, seguendo le cure domiciliari dei pazienti sotto la direzione dello psichiatra e psicoanalista Michael Woodbury. È stato, come scrive, “ascoltando attentamente” i colloqui con le famiglie considerate “sane” di pazienti adolescenti e giovani adulti ,che ha colto la presenza, pressoché costante, di tracce e indizi nella storia, nella memoria e nei vissuti delle madri, riguardanti il concepimento, la gestazione, il parto, che potevano in qualche modo contribuire inconsciamente al destino del o della paziente.

Inizia qui la curiosità e la determinazione a esplorare un terreno allora vergine, avviando un progetto innovativo in cui rimane impegnata per trent’anni nel reparto di ostetricia dell’ospedale Antoine-Béclère di Clamart. Come psichiatra e psicoanalista è stata una presenza costante nell’équipe, affiancando le consultazioni con i ginecologi e a disposizione di tutti gli operatori sanitari, accanto alle future madri, alle coppie sterili o infertili, alle donne ospedalizzate per diversi motivi: parto, interruzione di gravidanza, volontaria o terapeutica e altri interventi. Ha creato così “un luogo dedicato alla presa in carico delle domande esistenziali che la nascita di un figlio pone a un genitore” (p. 20): un tipo di luogo che con grande difficoltà trova il dovuto spazio nelle strutture pubbliche e private nel nostro Paese.

Osservatrice silenziosa ed empatica, in ascolto attento e “rispettoso” (Nissim Momigliano,  2001) con un setting in movimento, rigorosamente “senza divano” (Racamier, 1970), ma con un assetto altrettanto rigorosamente psicoanalitico, ha fatto “emergere parole laddove regnano il silenzio imbarazzato, l’incomprensione, l’intolleranza o talvolta il rifiuto” (p. 13). Come da istologa ha cercato e riconosciuto “i minimi segni” nelle cellule e nei tessuti studiati al microscopio, così da psicoanalista ha colto nelle migliaia di donne e nelle coppie che ha incontrato e con cui ha parlato, le “tracce significanti” correlate ai desideri inconsci che accompagnano la gravidanza o il progetto di avere un figlio. L’importanza di farle emergere, dar loro una collocazione o un’interpretazione, può spesso consentire lo scioglimento di un nodo conflittuale ostacolante il concepimento; oppure può permettere di avviare l’elaborazione del lutto per la perdita di un figlio, come pure può consentire di accettare una procreazione mancata. È fondamentale sottolineare, con l’autrice, che ormai da decenni, grazie alle tecniche di contraccezione e di procreazione medicalmente assistita, il concepimento si sia progressivamente dissociato dalla sessualità e sia diventato necessario considerarlo da un punto di vista completamente nuovo, con l’apertura di questioni molto complesse e divisive, sia dal punto di vista personale sia da quello socio-culturale. Quest’opera le prende in considerazione tutte, rivisitandole anche nella loro evoluzione storica, e offrendo al clinico chiavi di lettura indispensabili per affrontarle oggi, quando si stanno presentando sempre più frequentemente alla nostra attenzione.

Il libro, che ha come fil rouge l’idea che “l’inconscio dei genitori agirebbe, in maniera incontrollata, sugli eventi della nascita e sul primo sviluppo del neonato” (p. 12), è suddiviso in tre parti: “Dalla gravidanza ai primi legami: un percorso interiore”, “I dolori delle madri”, “L’infertilità femminile nel XXI secolo”.

Nella prima parte Bydlowski si sofferma sul “desiderio universale” di avere un figlio, che affonda le radici nell’inconscio, ed è tutt’altra cosa rispetto al “progetto”, cosciente e razionale, che anima la coppia e il singolo individuo. Tenendo conto dei cambiamenti sociali e demografici occorsi negli anni sino ai nostri giorni, affronta le vicissitudini e l’ambivalenza di tale desiderio, sia “dalla parte delle donne”, sia “dalla parte degli uomini”, sia all’interno delle dinamiche della coppia. Ricorda che alla fine arriva il bambino reale, che richiede nel singolo e nella coppia l’emergere di una capacità genitoriale affatto scontata.

L’autrice fornisce quindi un excursus storico della nascita umana, creando lo sfondo per addentrarsi negli “intralci” che l’inconscio frappone tra il progetto di avere un figlio e la sua realizzazione. Voglio segnalare in particolare il quarto capitolo, dal titolo affascinante “Gravidanza e trasparenza psichica: lo sguardo della Madonna”, dove presenta il concetto di “trasparenza psichica”, per il quale è particolarmente nota in ambito francofono. Si tratta di un fenomeno che si può riscontrare nell’incontro con una donna gravida, quando fantasmi relativi alla sua infanzia e aventi al centro tematiche prevalentemente edipiche, emergono con una facilità non riscontrabile in altri periodi della vita, domandando l’ascolto di “un terzo neutro e benevolo” (p. 72), in un momento in cui l’ambiente medico e familiare concentra il suo interesse sul bambino che verrà. L’incontro psicoanalitico, in questo momento, permette di far affiorare alla coscienza rappresentazioni centrate sulla bambina che la donna è stata, un “flusso regressivo e commemorativo” di fantasie e ricordi, anche traumatici, in precedenza rimossi. Questo “sguardo obliquo” della madre, rivolto all’interno di se stessa, è stato colto mirabilmente nelle rappresentazioni della Vergine nei pittori del Rinascimento: è lo sguardo che contempla la neonata che è stata, “di cui aspetta la rinascita” (p. 79), che si dovrà poi rivolgere e agganciare a quello del figlio neonato. È sull’incontro sensoriale con la madre, la sua evoluzione e sul “mandato transgenerazionale” in gioco nello sviluppo del bambino che si conclude questa prima parte.

La seconda parte del libro — “I dolori delle madri” — apre una panoramica sul “caos del post-partum” e della psicopatologia perinatale, prendendo avvio dal fisiologico Baby Blues, che colpisce più della metà delle puerpere. Si tratta di una sindrome transitoria caratterizzata da umore disforico, forse anche collegato ai cambiamenti ormonali, che mette a nudo lo psichismo materno e permetterebbe alla donna di “mettersi in fase”, ovvero connettersi, ai bisogni del neonato. È quindi testimonianza “della capacità empatica della madre e la sua disposizione a identificarsi con lo stato emotivo del figlio” (p. 102). Bydlowski esamina quindi la depressione post-partum che, secondo i diversi studi, interessa una percentuale compresa tra il 12% e il 18% delle neo-madri, i relativi fattori di rischio, le sue ripercussioni sulle interazioni precoci nella diade madre-bambino e sulla salute psichica di quest’ultimo, sottolineando la necessità di interventi di tipo soprattutto preventivo; un capitolo è dedicato anche alle psicosi del post-partum, molto meno frequenti. In entrambe le situazioni, viene sottolineata l’importanza che esista la possibilità di ricoverare la madre e il figlio in unità ospedaliere specializzate, che permettono da un lato di non separarli, e dall’altro di prevenire il rischio di infanticidio, il cui dramma viene descritto accuratamente in seguito.

Nel capitolo efficacemente intitolato “Il morto afferra il vivo: il lutto infinito delle maternità senza bambino”, l’autrice affronta il tema doloroso della morte fetale perinatale e del lungo lavoro del lutto ad essa correlato, con esempi clinici particolarmente toccanti. Prende poi in considerazione i casi di “negazione della gravidanza”, che può verificarsi in situazioni psichiche molto diverse ed evolvere in modi altrettanto diversi, ma che sembra avere come denominatore comune il bisogno negato “della parola, e in particolare di quella di un’altra persona, non tanto per essere condivisa, quanto per essere riconosciuta e diventare un’esperienza umanizzante” (p. 131).

L’ultima parte — “L’infertilità femminile nel XXI secolo” — dedicata alla sterilità e all’infertilità, è stata per me di particolare interesse, data l’attualità delle questioni proposte. Qui l’autrice ribadisce che il “desiderio di avere un figlio” si è trasformato in “diritto”, con il rischio per il bambino di diventare il “prodotto” di un contratto o di una negoziazione, quando manca una riflessione sufficientemente accurata sulle conseguenze per il bambino stesso. Bydlowski non solo fornisce una completa classificazione delle cause di infertilità, differenziandola dalla sterilità collegata a cause organiche, ma si sofferma sulle complesse dinamiche inconsce che la sottendono, arricchendo le sue riflessioni con puntuali riferimenti alle ricerche neuroscientifiche.

L’ultimo capitolo è specificamente dedicato alle “nuove maternità” e alle spinose questioni etiche e giuridiche sollevate dalla donazione di sperma e di ovuli, dalla gestazione per altri, dalle madri surrogate (pratica molto antica di cui si trova un esempio nella Bibbia nella storia di Sara, moglie di Abramo, e la schiava Agar): “Si delinea sempre più per la specie umana la possibilità di separare chiaramente la pulsione sessuale, che porta alla riproduzione, da quella dell’auto-conservazione, ovvero dell’istinto di preservazione della propria vita” (p. 203).

In conclusione, l’autrice cita una riflessione che Freud condivise con Jones in una lettera del 1914, definendola “profetica”: “Chiunque prometta all’umanità la liberazione dei vincoli del sesso, verrà salutato come un eroe”. Seguono una serie di domande, che non voglio rivelare, sperando di aver sufficientemente incuriosito il mio lettore e la mia lettrice.

Per quanto mi riguarda, è un testo che non solo mi ha affascinata e portata a interrogarmi, ma che mi pare imprescindibile per la comprensione psicoanalitica delle persone che vivono queste esperienze che richiedono ascolto e parola.

Riferimenti bibliografici

Nissim Momigilano L. (2001). L’ascolto rispettoso. Scritti psicoanalitici. Raffaello Cortina, Milano.

Racamier P. C. (1970). Lo psicoanalista senza divano. Raffaello Cortina, Milano (1982) .


[1] Blaise, M. & Corbobesse, É. (2020). Portrait iconoblaste de Monique Bydlowski. PSN, 18, 87-95. https://www.cairn.info/revue–2020-1-page-87.htm.

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