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“Elogio della gattaiola” di E. Marchiori, L. Masina, G. Vandi. Recensione di C. Marogna

24/10/22
"Elogio della gattaiola" di E. Marchiori, L. Masina, G. Vandi


PAROLE CHIAVE: gattaiola, interpsichico, intimità, gruppo, trasformazioni.

“Elogio della gattaiola. Esplorazioni intorno all’interpsichico”

A cura di Elisabetta Marchiori, Luisa Masina, Gabriella Vandi

(Alpes Editore, 2022)

Recensione di Cristina Marogna

“Ma io non voglio andare fra i matti” osservò Alice.

“Be’, non hai altra scelta” disse il Gatto.

“Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.”

“Come lo sai che sono matta?” disse Alice.

“Per forza,” disse il Gatto, “altrimenti non saresti venuta qui.”

(Lewis Carrol)

Quando ho fatto inserire la gattaiola nella porta d’ingresso di casa, mia figlia era più interessata al suo mistero piuttosto che alla nostra gatta: provava a vedere quali parti di sé riusciva a far passare: una mano, un piede la testa … e poi rimaneva in attesa di veder spuntare il muso baffuto di Mimi Elgateo (la nostra gatta ha nome e cognome) quando spingeva la gattaiola per rientrare a casa. I momenti più esilaranti erano quando i loro musetti si incontravano e si scrutavano con curiosità, sembravano chiedersi: esco io o entri tu? Per chi ha l’urgenza del transito, come si regola il traffico attraverso la gattaiola? Questo incipit vuole offrire una metafora sulla bidirezionalità del concetto di interpsichico, dove l’incontro tra analista e paziente presenta delle sorprese che segnalano anche lo scorrere del processo analitico.

“L’elogio alla gattaiola” è un libro che parla di passaggi a volte salvifici a volte faticosi e dolorosi. La gattaiola è luogo sottile e magico, di transito, dove la poetica dell’incontro può far accadere delle trasformazioni nell’analizzando e nell’analista.

L’interpsichico nello sviluppo del libro viene proposto come modalità di funzionamento che connette internamente gli individui in modo sano, sia che si tratti della coppia madre/bambino e analista/analizzando, sia che riguardi soggetti che si relazionano in un gruppo e, in particolare, in un gruppo di lavoro su casi clinici. Lo scambio efficace di elementi interni tra individui segnala la qualità del legame che li unisce, anche senza il monitoraggio dell’Io Centrale (p. 4). L’interpsichico è dunque una possibilità di funzionamento ad alta permeabilità, in cui i soggetti coinvolti fanno co-esperienza di intimità. Bolognini (p. 10) propone così una possibile dinamica: “È potenzialmente molto creativo immettere l’analista nel campo esperienziale del paziente dotandosi di una integrazione rappresentazionale che configuri — nella mente dell’analista stesso — dove si è, come ci si sta relazionando, quali equivalenti inter-corporei sembrano essere in gioco nello scambio (o nel non-scambio …) e qual è il livello di apertura, di pervietà dei canali interpsichici in quel momento tra i due”.

Possiamo chiederci come accade che una vicinanza così intensa non si trasformi in una fusionalità patologica? Ovvero come far sì che il transito attraverso la gattaiola mantenga distinti i due ambienti? Il concetto di intimità attraversa vari capitoli del libro mettendo in evidenza come l’affievolirsi dei confini del Sé, ma non il loro dissolversi, permettano la creazione di un ambiente in cui la vicinanza è generatrice di nuove consapevolezze, di zone autentiche e ancora vive del Sé. Le autrici del secondo capitolo, parlando del caso di Clara (p. 19), chiariscono come “la capacità di tollerare la fusionalità non è scontata e, anzi, un atteggiamento difensivo verso di essa può generare stati di confusione”. Confusione che può coinvolgere il corpo, come dire: cosa accade se la gattaiola diventa una bocca che divora il soggetto/oggetto in transito? Posso fidarmi di spingere la porticina e passare dall’altra parte? L’intimità ha bisogno di limite e di finitezza “per il lungo e per il largo(p. 54).

Nel terzo capitolo le autrici, grazie alla messa in scena dell’interpsichico durante il processo analitico e grazie alla generosa condivisione di casi, ci danno la possibilità di “inquadrare con maggiore nitidezza le dinamiche tra analista e paziente facendo ricorso al linguaggio cinematografico”(p. 27). Le metafore corporee dense di emotività, nelle vite delle pazienti, sono una preziosa occasione per differenziare l’interpsichico dal transpsichico.

Nel training, nel corso dell’analisi e durante le supervisioni impariamo che questo mestiere impossibile (Freud, 1937) non lo possiamo fare da soli, i passaggi tra realtà esterna e realtà interna sono ad alta tensione psichica e, come analisti, possiamo rischiare di ammalarci troppo della malattia dei nostri pazienti: potremmo sbagliare gattaiola e non tornare a casa nostra. In questo percorso è fondamentale l’appartenenza al gruppo, spazio salvifico ed evolutivo della capacità di pensare i pensieri, questo è il luogo di interdipendenza tra analisti, che troviamo nel quarto e nel settimo capitolo.

I gruppi interanalitici danno luogo a una comunicazione in cui “si sperimenta un contatto fra mondi interni che realizza una cooperazione, muovendo da scambi interpersonali […] questi scambi arrivano a fluidificarsi nel lavoro del gruppo, lì pensiamo che stia intervenendo qualcosa di interpsichico” (p. 41). La dinamica di gruppo diviene ancor più complessa quando la si osserva nei gruppi istituzionali, dove le diverse professionalità e le diverse formazioni rischiano di mettere in campo la scissione dei pazienti più gravi, portando l’équipe clinica a vivere in un ambiente frammentato. Più gattaiole si affacciano in uno spazio comune “Il luogo privilegiato dove questa comunicazione può avvenire è l’incontro d’équipe. È lì che vediamo all’opera il ‘Noi pensante’ che ha il compito di integrare i vari aspetti del Sé del paziente” (p. 75).

Il lavoro con il gruppo fornisce una ricchezza di materiale e di stimoli tali da aiutare, in particolare, i pazienti che dispongono di un pensiero prevalentemente concreto ad avvicinarsi al pensiero simbolico. Questo passaggio si appoggia sull’identificazione proiettiva, quale dinamica sempre attiva in un gruppo, che inserisce nella psiche e nel soma dei pazienti un contenuto non verbalizzabile che può essere esperito simultaneamente da più pazienti e dal gruppo come insieme. Tale processo genera un campo di tensione psichica, la quale può essere elaborata piuttosto che scaricata, facendo giungere alla parola contenuti prima rimossi o muti (Marogna, 2014).

Nel gruppo dei curanti i passaggi interpsichici si sono creati grazie al libero fluire della catena associativa, che funge da perimetro di contenimento delle angosce e tessitura dell’intimità — passaggio gattaiola — che ha permesso la coesione e l’interscambio emotivo tra i partecipanti.

La lettura di questo libro è impegnativa perché conserva la libertà, per ogni contributo, di esprimere una prospettiva autonoma ma, al contempo, è scorrevole se si ricercano nei vari capitoli le trasformazioni che l’interpsichico promuove.

Nella conclusione del libro abbiamo un’avvertenza per gli psicoanalisti: “Ci troviamo a dover fornire al Sé del paziente funzioni e contenuti (organi) di cui è carente, e dobbiamo cercare di farlo in modo da evitare il rigetto” (p. 100). Questo mi fa pensare che la gattaiola ha due entrate e il rigetto può riguardare anche l’analista. È fondamentale, per la vivibilità intrapsichica dell’analista, disporre dello sbarramento che si infila nella gattaiola per impedire il transito libero di elementi estranei, elementi beta se vogliamo interpellare Bion (1984).

Nina Coltart (1998) ha ben espresso l’importanza, per gli analisti, della capacità di distinguere e proteggere lo spazio della vita privata quale fonte di nutrimento e rigenerazione. Perché … ad un certo punto della sera la gatta deve rientrare e la gattaiola va chiusa, per impedire passaggi transpsichici che metterebbero in pericolo la tenuta psichica dell’analista.

Piccola nota conclusiva: “La gatta” è una fiaba romena molto intrigante che parla di trasformazioni e capacità negativa, ben analizzata dalla Von Franz (2008). Nel racconto è narrata la storia di una principessa che quando compie diciassette anni, per via di una maledizione lanciata alla madre, viene trasformata in gatta. Il peccato della madre era di aver rubato una mela d’oro portentosa che le avrebbe permesso di realizzare il suo desiderio: generare una figlia. Per tornare donna e sciogliere l’incantesimo dovrà arrivare a palazzo il figlio dell’imperatore e tagliare la testa alla gatta. La fiaba, con le sue metafore, ci aiuta a tollerare l’angoscia della trasformazione e a considerare anche la parte terrifica della gattaiola: bocca fagocitante o ghigliottina, ma pur sempre ingrediente fondamentale per dar voce al “conosciuto non pensato” (Bollas, 2018) dei nostri pazienti.

Bibliografia

Bion, W. R. (1984). Apprendere dall’esperienza. Armando, Roma, 2009

Bollas, C. (2018). L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato. Raffaello Cortina, Milano.

Carroll, L. (1865). Alice nel paese delle meraviglie. Rizzoli, Milano, 2015.

Coltart, N. (1998). Come sopravvivere da psicoterapeuti. UTET Università, Milano.

Freud, S. (1937). Analisi terminabile e interminabile. O.S.F., 11.

Marogna, C. & Caccamo, F. (2014). Analysis of the Process in Brief Psychotherapy Group: The Role of Therapeutic Factors. Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome, 17(1), 43–51, https://doi.org/10.4081/ripppo.2014.161

Von Franz, M. L. (2008). La gatta. Una fiaba di redenzione del femminile. Ma.Gi., Roma.

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