La Ricerca

Esperienze. Corpo, visione, parola nel lavoro psicoanalitico.

22/05/14

Esperienze. Corpo, visione, parola nel lavoro psicoanalitico.

Edizioni Borla, pp. 240

Lucio Russo (2013)

Recensione di Laura Colombi

“Esperienze” prosegue il percorso d’indagine e problematizzazione in cui, da sempre, s’impegna Russo, che in quest’ultima impresa si interfaccia con aspetti nodali con cui il paradigma psicoanalitico si trova a doversi confrontare di fronte alle forme di sofferenza che impregnano nell’attualità l’identità individuale e sociale.
Con le parole dell’Autore: “ Questo libro si interroga su quale psicoanalisi possa rispondere a questi nuovi disagi, a questi nuovi disordini familiari e sociali La domanda si può riassumere in questa formula: può la psicoanalisi contemporanea, che eredita i legati di Freud, rispondere, e dentro quali limiti, alle trasformazioni in corso, sociali, ideologiche, affettive e familiari?”
Perché, dice Russo – e mi pare utile evidenziare questa frase – “E’ auspicabile che gli psicoanalisti contemporanei lavorino per ampliare e trasformare la teoria dell’inconscio e i concetti psicoanalitici freudiani, ma a condizione di non banalizzarli e farli diventare preda dell’ideologia sociale del benessere e dell’armonia”. Un auspicio che sembra invitare implicitamente a non colludere con quell’“edonismo identitario” attorno a cui, come scrive l’Autore, “trionfa l’illusione degli individui di avere la libertà di inventare la propria identità in relazione alle proprie aspettative”. Problema questo, aggiungerei, forse di non immediata soluzione, ma che, evaso o banalizzato, rischia di intaccare l’identità stessa della psicoanalisi, reificandola in modo antistorico o dissolvendola, anche inconsapevolmente, in pratiche di cura limitrofe.
Ed è in relazione a questo punto focale che Russo, partendo da Freud e da quelli che individua come costituenti fondamentali e imprescindibili della teoria e pratica psicoanalitica (tempo, inconscio, analisi del transfert, legame indissolubile tra corpo e psiche), via via arricchita da integrazioni provenienti da altri autori e modelli, sviluppa la sua personale linea di pensiero che si snoda attorno a tre diversi e complessi concetti: corpo, visione, parola. Una linea di pensiero di continuità e discontinuità al tempo stesso e che ha come specifico- che risuona tra le righe di tutto il testo – il dover ricordare Freud, pur per poi poterlo dimenticare e reinventare nell’incontro con l’attualità della psicopatologia odierna.
Psicopatologia odierna e cura psicoanalitica che costituiscono, per tutto il libro, lo sfondo – il collante direi – della riflessione teorica che si snoda attorno all’aspetto problematico prioritario, che coinvolge attualmente pratica e teoria psicoanalitica: il collasso delle funzioni rappresentative che stanno alla base della possibilità/capacità di simbolizzazione nel testo. E con questo collasso, che caratterizza quelle che Russo definisce agonie identitarie negli stati extranevrotici, il possibile scacco sia al cuore dell’oggetto indagato – la rappresentabilità dell’inconscio-, che allo strumento elettivo di questa indagine: il linguaggio. Casi in cui – cito ancora l’Autore- “lo psicoanalista sente drammaticamente l’inadeguatezza del linguaggio simbolico a raggiungere l’inconscio attraverso i sogni e le libere associazioni del paziente e le interpretazioni dell’analista”.
A partire da questo punto cruciale e senza perdere il contatto con la problematica clinico-terapeutica, i differenti capitoli esaminano, quindi, temi di ampia portata, affrontati, lo ripeto, secondo vertici differenti che ampliano la visione, esorcizzando qualsivoglia ‘fuga’ verso semplificazioni difensive. Tutt’altro. Ne deriva una sorta di traduzione, nella struttura e nell’andamento del testo, di quel “coraggio contemporaneo” (significativo omaggio di Russo al filosofo Giorgio Agamben, che molto ha riflettuto su uno dei temi centrali di Esperienze: i limiti della referenzialità del linguaggio), coraggio contemporaneo che si esprime per la persona dello psicoanalista nell’abilità, cito l’Autore “nell’immaginare, con l’autoanalisi e con fantasie personali, narrazioni e termini inventati capaci di supplire alla mancanza di un linguaggio simbolico”. Quasi un’espansione, direi, di quella tecnica dello scarabocchio intesa da Winnicott come prototipo dell’incontro ludico, di una co-creazione senza regole. Un assetto mentale, più nello specifico clinico, capace di far fronte senza colludere con interpretazioni “allucinatorie” (dal testo) al blocco del pensiero indotto dal funzionamento mentale dei pazienti con gravi disturbi dell’identità, pazienti nei quali il linguaggio perde il suo registro simbolico-comunicativo, per assumere quello di ‘azione evacuativa’ .
A riprova dell’ampia portata dei temi e del tipo di approccio con cui vengono affrontati, una sommaria carrellata di alcuni degli argomenti di cui si compone il libro.
Con il capitolo iniziale “ Freud, l’inconscio e la psicoanalisi”, Russo da’ subito un assaggio dell’ampia dimensione, concettualmente complessa, su cui fonda le sue riflessioni. Freud – ci dice l’Autore – ‘inventò’ la psicoanalisi, né scienza umana o medica, né critica letteraria ma “analisi della psiche” intesa come “comprensione profondamente affettiva”. Per tradurre nel linguaggio, dunque, affetti e rappresentazioni inconsce è allora necessaria un’operazione preliminare di de-significazione psicoanalitica dei termini, che conduce a quello che l’A. considera l’“identità anasemica della psico-analisi, dalla quale non è possibile discostarsi pena la banalizzazione dell’inconscio”. Sistema dell’inconscio sondabile attraverso i suoi derivati, ma inconoscibile in modo obbiettivo e assoluto: paradosso su cui appoggia la natura “malinconica” della psicoanalisi stessa.
Il capitolo “Il sogno-testo e la sua ombra” -preceduto da quello sul sistema corpo-psiche, nucleo costitutivo della complessità dell’apparato psichico- traghetta poi il lettore alle successive analisi centrate sulla rappresentazione. In esso Russo, allargando la visuale dalla teoria freudiana sul sogno alle ipotesi di Khan sulla distinzione tra testo del sogno ed “esperienza del sognare”, porta in primo piano l’importanza del concetto di “spazio onirico” e della sua drammatica assenza nei pazienti traumatizzati. Capitolo, questo, dove interesse teorico e clinico, si saldano in modo armonico attorno a riflessioni sulla tecnica di lavoro con quei pazienti in cui la carenza di uno “spazio del sogno”, (equivalente intrapsichico dello spazio transizionale) inteso come “luogo in cui sensazioni ed affetti, altrimenti messi in atto ed evacuati, vengono elaborati” rende ‘falsa’ l’esperienza creativa del sognare, con il rischio di fuorvianti collusioni interpretative del contenuto del sogno da parte dell’analista.
In “Al di là della rappresentazione”, poi, l’Autore entra nel vivo di un tema a lui caro, analizzato approfonditamente in due precedenti testi: “Nietzsche, Freud e il paradosso della rappresentazione” e “L’illusione del pensiero”. “Non c’è nell’inconscio – scrive Russo – alcun rapporto fisso tra rappresentazione e significanti da una parte e significati dall’altra” ed è quindi attraverso il principio freudiano di ‘condiscendenza linguistica’ – centrale a suo parere in quest’ambito concettuale – che si possono introdurre nell’analisi, cito: “quelle metafore, invenzioni letterarie, giochi di parole, che sono “costruzioni ausiliarie senza cui non si procede di un passo, ma che l’analista deve avere il coraggio di abbandonare allorché il materiale da esse generato permette di procedere a un’altra costruzione”. Condiscendenza linguistica e modello freudiano del sogno a cui Russo rimanda, più avanti – nel capitolo “Raffigurazione e Rappresentazione” – per il chiarimento della relazione tra immagine e testo, concepita come relazione di reciproca dipendenza tra due registri di funzionamento psichico di per sé eterogenei, come quello dell’immagine e del linguaggio. Relazione problematica e dinamica, laddove: “La sola immagine è soggettiva, vana e illusoria, il solo testo è una forma vuota senza soggetto”. Sono evidenti qui le connessioni con il discorso sull’attività onirica e sui suoi possibili dis-funzionamenti, efficacemente illustrati dal riferimento alle ipotesi di M.Kahn.
Tema caro e centrale nel pensiero di Russo, il tema del Trauma occupa tre capitoli dell’intero libro. ‘Trauma’ termine che Russo analizza evidenziandone, molto opportunamente, le molteplici connotazioni concettuali, ma concetto che rimanda nella clinica, comunque, alla necessità di ritrovare questo ‘antico incidente’, per farlo riaffiorare e permettere che venga in qualche maniera integrato, metabolizzato dalla psiche del paziente. Ed è proprio nel vivo capitolo “Un passato che non parla” che Russo, centra la mira sulla qualità dell’esperienza traumatica pre-edipica, che riattualizzandosi negli “stati limite” (omaggio a Green) fuori della memoria, della consapevolezza e dell’accessibilità linguistico-rappresentativa, mette alla prova la capacità dell’analista di operare trasformazioni attraverso processi di riscrizione che, proprio per la natura “pre” di questi “stati agonici” (omaggio a Winnicott) non possono che essere ipotizzate dalle tracce mnestiche emerse dal transfert e dall’insieme degli elementi clinici che inscenano la “paura del crollo”.
Un primo aspetto del libro da sottolineare è l’abilità di Russo di porre quesiti e di rispondervi usando la teoria in modo ricco e colto e declinando allo stesso tempo i temi presi in esame, in modo modernamente relativistico, “illusorio”, come scrive, utilizzando il concetto winnicottiano in senso epistemologico. Un modo che gli è proprio ed è particolarmente capace di suscitare interrogativi, far nascere interesse per la conoscenza. Un procedimento che apre sempre nuovi orizzonti, allargando il paesaggio, a volte anche fino a poter creare nel lettore un certo senso di vertigine e di sperdimento.
Altra caratteristica specifica che m’importa evidenziare è lo stimolante – e non troppo consueto per noi – confronto/integrazione con cui Russo fa dialogare con la concettualizzazione freudiana (attorno al tema centrale che è l’intreccio tra corpo, visione e parola) autori appartenenti alla psicoanalisi francese, di matrice più esplicitamente pulsionale-freudiana, e autori radicati nella tradizione britannica, relazionale, specificamente reinterpretata degli “indipendenti”. Fino a giungere, negli ultimi due capitoli in cui “immaginazione” e “immaginario” sono al centro della scena, ad una meticolosa lettura di Winnicott dal vertice dell’esame dei punti di continuità e discontinuità con il sistema teorico freudiano, e ad un’analisi “del ritorno a Freud” di Lacan, come “elemento idoneo a rappresentare l’invarianza e il cambiamento dell’identità freudiana della psicoanalisi”.
Un libro colto che si affianca agli altri contributi di un Autore sempre capace di intrecciare, con particolare apertura e profondità culturale, il punto di partenza clinico con la competenza teorica, vale a dire con una “metapsicologia estesa” capace di muoversi tra modelli di riferimento affidabili.

maggio 2014

 

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