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“Etiche della psicoanalisi” di L. Fattori e G. Vandi. Recensione di S. Argentieri

24/10/22
"Etiche della psicoanalisi" di L. Fattori e G. Vandi. Recensione di S. Argentieri

“Etiche della psicoanalisi”

A cura di Lucia Fattori e Gabriella Vandi

(Alpes ed., 2022)

Recensione di Simona Argentieri

La psicoanalisi può far conto su un principio basilare. Uno solo ma specifico, che ci distingue da ogni altra disciplina: per noi etica e tecnica coincidono, in quanto ciò che è moralmente riprovevole nel rapporto analitico è sempre anche un errore operativo. Ciò che è ‘buono’ è anche ciò che è terapeuticamente efficace.

Sono riflessioni nate con la psicoanalisi stessa, all’epoca nella quale Freud, analizzando le giovani isteriche affidate alle sue cure, dovette far fronte al loro fascino seduttivo, alimentato dal transfert quale reviviscenza e proiezione di antichi desideri infantili sulla figura del medico. Così, non abusare sessualmente di una paziente era un imperativo morale, ma anche una precisa osservanza del principio terapeutico di risolvere il transfert, anziché appagarlo illusoriamente, al fine di promuovere la crescita e l’autonomia della persona. Lo stesso precetto di non usare il proprio potere in un rapporto asimmetrico, non paritetico, viene messo in luce da Sandor Ferenczi, nel suo tutt’ora insuperato saggio sulla “Confusione delle lingue tra adulti e bambini”, che più di un autore del libro cita puntualmente.  L’intento della psicoanalisi, lo sappiamo, è infatti molto ambizioso, poiché tende a sviluppare la capacità di ciascuno di pensare ed agire libero dai vincoli dei sintomi e delle difese psicopatologiche.

In sintesi, il nostro principio etico assoluto è il riconoscimento dell’alterità, per cui ogni psicoanalista è tenuto ad una neutralità profonda; a mettere al servizio dell’analizzato i suoi strumenti, senza mai sostituirsi nelle scelte, per aiutarlo a diventare “cosa vuole e cosa può”. E quindi -oltre alla vigilanza contro le violazioni più clamorose sul corpo e sulla mente di chi si affida alle nostre cure- chiediamo a noi stessi di astenerci dal fornire suggerimenti, prescrizioni, consigli; dal pretendere di essere il ‘genio guida’ del paziente, di sostituirci a lui nelle valutazioni morali ed esistenziali. Come diceva Freud, “il paziente deve essere aiutato a liberare ed esaudire la propria natura, non a somigliare a noi.” In breve, dobbiamo imparare a tollerare la separatezza e la differenza dell’altro senza odiarlo. Alla base, ammettiamolo, c’è un’ipotesi forse un po’ ingenuamente illuminista, che ciascuno -se messo in grado di capire se stesso e di riconoscere l’altro- farà scelte buone, e comunque migliori di quelle guidate dal narcisismo o dalle paure inconsce. Al di fuori della psicoanalisi vera e propria, nelle psicoterapie psicoanalitiche, quando dobbiamo talvolta assumere atteggiamenti esplicativi o direttivi, il nostro compito è ancora più difficile, perché dobbiamo modulare il rispetto dell’altro con l’assunzione momentaneamente di alcune funzioni dell’io del paziente. Un altro arduo terreno che meriterebbe la nostra attenzione.

Tale assunto, apparentemente così limpido e lineare, è però tanto nobile quanto generico, difficilissimo da osservare nella concretezza della dimensione clinica (e non meno nella vita quotidiana). I colleghi che in questa raccolta di saggi si sono valorosamente messi alla prova con l’argomento ne sono pienamente consapevoli. Fin dal titolo del libro, si parla di ‘etiche’ al plurale, accettando in partenza la molteplicità dei modi in cui ciascuno può intendere ed articolare il concetto. Nell’Introduzione le due curatrici Lucia Fattori e Gabriella Vandi dichiarano apertamente che l’etica si può declinare secondo tante accezioni: come verità, amore, autenticità, rispetto, desiderio, reciprocità; ed anche come etica della libertà, della responsabilità, della rinuncia; e infine del perdono. 

Il corpo del libro è diviso in quattro sezioni: Nella prima –Etiche della psicoanalisi- compaiono i contributi di Lucia Fattori “Le molteplici forme dell’etica psicoanalitica”; di Roberto Contardi “Dall’oblìo all’autenticità di Edipo”: di Sarantis Thanopulos “Etica del desiderio”; e di Alberto Sonnino “Etica psicoanalitica, etica ebraica: punti di contatto”.

Nella seconda sezione –Etica dell’analista- leggiamo Luisa Masina e Gabriella Vandi in “Effrazioni etiche e vulnerabilità dell’analista”; Cesare Secchi in “Riflessioni sul posizionamento laico della psicoanalisi; Rita Corsa in “Violazioni etiche all’alba della psicoanalisi: il caso Spielrein”.

Nella terza, Etica del perdono, hanno scritto Stefano Bolognini, “Perdono comportamentale, perdono interiore”; Silvia Amati Sas, “Psicoanalisi e crimini contro l’umanità: quale etica?”; Franca Amione e Ambra Cusin, “L’assunzione di responsabilità come questione etica: dalla vendetta al perdono”; e Susanna Messeca, “Non c’è futuro senza perdono – l’esperienza del Sud-Africa”.

Infine, nella quarta sezione –Etica e psicoanalisi- ci sono i saggi di Maria Stanzione Modafferi, “Etica e anetica della psicoanalisi” e di Lidia Leonelli Langer, “Navigare a vista”.

A mia volta da tanti anni mi dedico ai problemi teorici e clinici dell’etica in psicoanalisi -e al tormentato territorio collaterale della bioetica, in tutte le sue implicazioni sociali e culturali e relative connessioni con l’ambito del diritto-. Mi sento quindi autorizzata a dire che questo libro è bello ed importante, di grande spessore umano ed intellettuale, di costante e alta qualità nei vari articoli; cosa rara nei libri collettanei, troppo spesso assemblaggi di scritti occasionali. Sono quindi lieta di avere l’occasione di scriverne una recensione; con l’unico rammarico di non poter commentare ciascuno dei singoli contributi. Si sono infatti impegnati in tale impresa ben 15 psicoanalisti italiani, di diverse età e percorsi formativi; ed anche di assai variabili appartenenze a fedi o confessioni: laiche, religiose, atee, agnostiche o magari a nessuna. Convocati solo in ragione di un autentico interesse per il tema, offrono un panorama variegato e appassionato, ma senza alcuna indulgenza retorica.

Dato che i vertici di osservazione sono psicoanalitici, non viene dedicato troppo spazio alle eterne questioni filosofiche, alle distinzioni tra ‘etica’ e ‘morale’, per dare invece il massimo rilievo alle vicissitudini umane e relazionali. Tutti gli autori -seppure consapevoli di quanto sia problematico utilizzare in modo corretto i nostri strumenti al di fuori della cornice del setting– hanno l’aspirazione di riuscire a connettere il loro credo etico professionale ad una più ampia dimensione esistenziale. Sono in totale accordo. Le regole cliniche del rispetto dell’altro non devono certo annullare la nostra identità.

Ciascuno, come psicoanalista e come individuo, ha una sua costellazione di valori e di norme morali; lo sforzo, grazie all’analisi formativa di base e poi alla vigilanza costante dell’autoanalisi, è quello di non imporle meccanicamente al paziente, secondo quell’esercizio (certo difficilissimo) di astinenza e di neutralità che non significa restare indifferenti, ma farsi carico di tutte le parti in conflitto, comprese quelle inconsce o scisse.

Ciò che emerge dal libro non è dunque una pretesa di superiorità morale a priori; nessuno degli autori si culla nell’illusione che l’esercitare il nostro mestiere sia di per sé una garanzia di nobiltà d’animo. Semmai, dovrebbe essere  una aspirazione continua a conquistarla e una responsabilità in più nei confronti di noi stessi e dei pazienti che a noi si affidano. 

Non mancano infatti -più esplicitamente nella seconda sezione- osservazioni lucide sugli errori dei singoli. Né dolenti notazioni critiche senza indulgenza sul cattivo operare di infrazioni, collusioni, omissioni … di tanti psicoanalisti nel corso della storia; e di quanto il danno peggiore -posso aggiungere- spesso non sia quello del mancato controllo degli impulsi, ma delle operazioni difensive a posteriori, fredde e vili razionalizzazioni e collusioni a giustificare le proprie azioni di fronte a se stessi e agli altri. Come ha scritto con amara ironia Roger Money Kyrle, un autore che non posso fare a meno di citare ogni qual volta mi cimento con il tema in oggetto, “Nasciamo con un amore innato per la verità, ma siamo pronti a liberarcene non appena ci sia di impaccio”.

Ogni argomento affrontato dal libro –vendetta e perdono, colpa e vergogna, pulsioni e difese, il confronto con i dati empirici delle neuroscienze e il contrasto con l’approccio cognitivo-comportamentale oggi dominante …- meriterebbe un commento e una discussione, come ho fatto precedentemente in una versione più estesa di recensione. Poiché lo spazio non ce lo consente, torno allora in conclusione al tema generale dell’etica, poiché in questi tempi cupi e minacciosi, nei quali la distruttività sembra dominare ad ogni livello, non è facile conservare la fiducia nella nostra aspirazione a far prevalere le forze -se non dell’amore- della ragione e della giustizia, dentro e fuori della stanza di analisi. Peraltro, se la disparità di approcci e di speranze che si alternano in questo libro testimonia quanto sia difficile trovare una coerenza tra principi ed azioni, è pur vero quanto, per non rinunciare alla nostra umanità, sia importante non smettere di provarci. 

Purtroppo, nella nostra cultura anti-eroica sembra invece dominare una versione di “relativismo etico” secondo la quale tutto è storicizzabile, accidentale, equivalente. Una sorta di apatica viltà morale mascherata da saggezza, che ci  protegge dalla fatica di schierarci e dall’ansia di scegliere, sullo sfondo del confortevole scetticismo della società di massa. Così la tolleranza da virtù può trasformarsi nell’indifferenza e nell’ambiguità e lo spazio di reciproco diritto e confronto si trasforma in un arcipelago di idiosincrasie e autarchie potenzialmente nemiche.

BIBLIOGRAFIA

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