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“L’inconscio e l’ambiente” di C. Schinaia. Recensione di V. Pellicanò

1/01/23

L’inconscio e l’ambiente

Psicoanalisi ed Ecologia

di Cosimo Schinaia

(Alpes ed., 2020)

Recensione a cura di Valdimiro Pellicanò

Si tratta di una psicoanalisi ad ampio spettro, quella a cui fa riferimento Cosimo Schinaia in questo libro, tradotto da poco in russo e precedentemente in francese, inglese e spagnolo.

Ad ampio spettro appare tutta la produzione scientifica dell’autore che si riferisce ad una psicoanalisi che guarda al mondo interno, alle relazioni oggettuali, alle difese,  ai fantasmi, di un soggetto che si trova  in una continua interazione con l’ambiente familiare e sociale all’interno del quale vive.

Soggetto e ambiente quindi. Ma cosa significa per noi esseri umani divenire soggetti? Schinaia cerca di dare una risposta a questa domanda e, leggendo fra le righe delle innumerevoli citazioni che percorrono tutto il libro, ci suggerisce che diventare soggetti significa diventare consapevoli e responsabili degli effetti delle nostre azioni sull’ambiente in cui viviamo. Significa quindi riuscire a percepire il rischio che certe azioni sull’ambiente, da cui traiamo nutrimento ed energie, possono danneggiarlo irrimediabilmente, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. Un ambiente quindi di cui abbiamo assolutamente bisogno e da cui siamo dipendenti per costruire quella fiducia di base che ci permette di credere che la terra non sprofonderà sotto i nostri piedi.

In quanto esseri umani, dipendiamo dalla terra in un modo simile alla dipendenza del neonato dalla madre o di chi si occupa di lui. Preservare la natura, l’ambiente in cui viviamo, quindi, equivale al preservare quelle funzioni atte a vivere e a sviluppare quell’intelligenza emotiva, che ci dà la possibilità di valutare gli effetti distruttivi di certe azioni sull’ambiente che ci sostiene, e di attivare quelle funzioni riparatrici che possano permettere all’ambiente, e quindi a noi stessi, di sopravvivere. Senza un ambiente che sostiene, infatti, è inevitabile un crollo di tutta l’umanità.

Nella prima parte del libro Schinaia affronta le contraddizioni che percorrono l’essere umano, che da una parte fantastica di procedere verso uno sviluppo illimitato, immaginandosi un progresso inesauribile, e dall’altra si trova a fronteggiare (a volte con atti di eroismo, altre volte con azioni inefficaci) continue emergenze spesso dovute alla distruzione di un ecosistema che lui stesso produce.

Un’umanità, quindi che si autoinganna perché, nonostante sia diffusa la consapevolezza degli effetti irreparabili di certe azioni distruttive sull’ambiente, nega gli effetti delle proprie azioni e non ascolta il grido che si leva dalla terra a causa dei cambiamenti climatici, grido che rischia di essere assimilato a quello di Cassandra, profetessa inascoltata.

Che contributo, quindi, la psicoanalisi può dare all’emergenza climatica, senza rischiare di proporsi come una novella Cassandra? Una Cassandra che prevede il futuro catastrofico ma che non riesce a proporre un rimedio per salvare il pianeta Terra, e con esso l’umanità dai cambiamenti climatici, dalle isole di plastica negli oceani, dall’inquinamento, dalle carestie: segni evidenti questi di una catastrofe annunciata.

Noi tutti sappiamo ciò che potrà accadere al pianeta che abitiamo eppure continuiamo ad ingannare noi stessi. E’ sull’autoinganno dell’individuo e dei gruppi che Schinaia insiste in questo libro sostenendo che la psicoanalisi deve porsi come scienza “interessata” e non come scienza “applicata”. Cioè una scienza che “è tra”: che oltre a vedere il problema si attiva per risolverlo e non solo per denunciarlo. Si tratta in fondo di preservare il pianeta, nostro “bene comune”.

Gli antichi greci avevano divinizzato la Terra. Gea simbolizzava la terra-madre, la terra che concepisce e prolifica, in contrapposto al cielo che procrea (in senso maschile); nella mitologia (già in Esiodo), essa è perciò fatta madre di tutti gli dei e degli uomini, mentre più tardi (in Eschilo) si trova identificata con Temi, madre delle Ore e principio di ogni ordine naturale ed etico. Gea era “madre di tutti” benevola e benefica alle case e ai campi di chi la venerava. Una madre immortale.

Il mito conosceva però Gea anche come genitrice di esseri ribelli e mostruosi: i Titani, che essa aveva aiutato nella loro rivolta contro le potenze celesti. Questa “madre di tutti” veniva anche vista come una dea dei morti e dell’oltretomba, e venerata come divinità ctonica: come infatti la terra tutto esprime dal suo seno, così esige che tutto nel suo seno ritorni.

Divinizzando la terra, l’essere umano l’ha liberata dai suoi aspetti concreti e l’ha resa immagine, e come tale, se tramandata alle future generazioni, “sacro bene comune” e quindi da preservare.

Molti sono gli ostacoli affinché questo avvenga e Schinaia ce li illustra con riferimenti culturali e storici che riportano il pensiero, a volte contraddittorio, non solo di psicoanalisti ma in generale di uomini che hanno contribuito con le loro scoperte e intuizioni allo sviluppo della conoscenza. Ostacoli, quindi, che possono essere identificati nella tendenza degli uomini a porsi come dei “ Titani”: uomini selvaggi primitivi, animali intelligenti che non hanno ancora compiuto il passaggio verso l’umanità. D’altra parte, seguendo il mito orfico, dai resti carbonizzati dei Titani, compresi quelli di Dioniso che avevano ingerito, nacquero gli uomini, generati dall’unione di due elementi differenti: per metà divini e per metà animali.

Schinaia a questo proposito ci dice come sia complesso cimentarsi costantemente “con il difficile compito dell’integrazione somato-psichica nell’esperienza dell’impatto col mondo dell’Altro e con gli altri nel mondo e che per far ciò non abbiamo che il pensiero, in particolare, come ricorda Bion, alcune forme del pensare come quelle oniriche, espressioni della « funzione psicoanalitica della mente »: l’inconscio”.

Senza un rapporto creativo con l’inconscio l’essere umano non può che vivere in una sorta di equilibrismo fra il progresso e una catastrofe che evoca l’immagine di “cadere senza fine”, angoscia questa che per Winnicott è l’effetto di difese primitive che si attivano quando l’holding materno è deficitario.

Il rischio che corre l’umanità di “cadere senza fine”, di non avere sotto i piedi una base solida, una terra di cui fidarsi, percorre tutti i capitoli di questo libro dove si sottolinea come il cambiamento climatico, malgrado la sua natura non umana, è provocato da un insieme di azioni umane, azioni distruttive che rischiano di privare le generazioni future di risorse atte alla sopravvivenza della specie. Parafrasando la famosa affermazione di Winnicott  per cui  “Non esiste l’infante”, Schinaia ci suggerisce che come l’infante non può esistere senza una madre sufficientemente buona, allo stesso modo l’essere umano non può esistere senza una terra che non sia benevole nei suoi confronti. Cosa che può accadere soltanto se nell’uomo prevarrà l’aspetto riparativo versus quello distruttivo.

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