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“L’inconscio e l’Es” di J. Laplanche. Recensione di D. D’Alessandro

16/06/23
Bozza automatica 56

Parole Chiave: Psicoanalisi, J. Laplanche, Inconscio, Es 

Nei corsi tenuti dal 1962 al 1992 e riuniti col titolo generale di Problematiche, Jean Laplanche ha ripercorso il pensiero freudiano, per delinearne l’esigenza che lo muove, dettata dall’oggetto “inconscio” che ne orienta l’evoluzione. Come ci ricorda D. Scarfone nella sua intervista, Laplanche è un commentatore critico di Freud e – attraverso questo suo interrogarsi sul testo con il metodo che Freud stesso ha fornito, rimette al lavoro Freud e per questa via, riscopre/rinnova la Psicoanalisi. Grazie alla pubblicazione da parte di Mimesis della serie delle Problematiche, ci proponiamo di avviare una lettura critica proprio dei temi che Laplanche ha trattato nel corso della sua carriera. (dalla Redazione, Anna Migliozzi)

L’inconscio e l’Es

di Jean Laplanche

Recensione di Davide D’Alessandro

Per comprendere come lavora uno psicoanalista con le parole e le questioni fondanti della psicoanalisi bisogna rivolgersi a Jean Laplanche. L’editore Mimesis continua meritoriamente, grazie alla cura di Alberto Luchetti, nella pubblicazione dei suoi testi che attengono alle “Problematiche”. L’ultimo, dal titolo “L’inconscio e l’Es”, riguarda gli insegnamenti pubblici tenuti negli anni 1977-1979.

Capita spesso, all’interno della disciplina, di sentir ragionare o (s)ragionare, cioè ragionare a sproposito, su quelle parole e su quelle questioni che non possono essere trattate superficialmente, pena la riduzione della nostra amata psicoanalisi a chiacchiera da bar, quando siamo fortunati.

Ritornare, invece, ai testi di Laplanche vuol dire riappropriarsi di ciò che è, di ciò che è stato detto e scritto, non di ciò che è stato inventato e reso fruibile per tutte le stagioni.

Vuol dire fare i conti con la ricerca, col mettersi costantemente in ricerca per restituire l’essenza dei concetti. È lo stesso Laplanche a precisare: “Un insegnamento, degno di questo nome, ovunque sia praticato, nelle scienze umane e in filosofia non può essere che il correlativo di una ricerca. Può essere il resoconto, la messa in forma di una ricerca in corso, che eventualmente prosegue parzialmente su un altro terreno, oppure può essere il luogo stesso della sua elaborazione; e l’insegnamento che vi propongo è il punto di cristallizzazione della mia ricerca, ovviamente fecondata dall’esperienza quotidiana dell’analisi”.

Laplanche spende la parte introduttiva per spiegare che cosa significhi insegnare la psicoanalisi all’Università e ci regala pagine originali che andrebbero lette non con lo sguardo rivolto all’indietro, ma in avanti, come prospettiva, come lavorio intenso di confronto continuo tra chi parla e chi ascolta. Poi, le tre parti del volume, dedicate al riferimento all’inconscio, alla problematica dell’Es e a uno studio psicoanalitico sull’inconscio che l’autore condivide con Serge Leclaire, scandiscono lezione dopo lezione, verrebbe da scrivere seduta dopo seduta, i passaggi di un percorso, di un’avventura, di una scoperta che lascia la porta sempre aperta a ulteriori approfondimenti.

Laplanche, che è stato anche apprezzato viticultore, coltiva il nucleo della realtà psichica come coltivava la vite, curando i modi e i tempi dello sviluppo, appropriandosi del frutto soltanto dopo la fatica dell’indagine. Il libro è uno studio difficilmente superabile sull’inconscio e la rimozione, su Groddeck, sulle quattro opzioni dell’Es (pulsionale, genetica, impersonale e topica), sulla pulsione di morte, sulla distruttività, sull’angoscia, con incursioni sulle ambiguità di Melanie Klein, su Klein inverosimile e su Klein osservatrice.

Le ultime pagine, sulla formazione del sintomo nevrotico, danno il segno del Maestro per chiarezza espositiva e profondità. Non a caso, in-segnare vuol dire lasciare segno. Il segno di Laplanche resta nella mente di chi lo legge e se l’inconscio, “una volta costituito dalla rimozione, è effettivamente un Es: non è struttura, ma contenuto”, con quel contenuto siamo chiamati a confrontarci.

Gli autori, i grandi autori, vanno scoperti nelle pieghe segrete delle loro pagine. Lì non troviamo soltanto il loro studio, le loro interpretazioni, i loro risultati, ma anche il metodo di lavoro, il modo in cui si lavora e si procede. Qualcosa di simile è stato spiegato più volte mirabilmente da Fernando Riolo.

La psicoanalisi non è un gioco, ma una disciplina tremendamente seria. Laplanche serve a ricordarcelo.

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