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“Psicoanalisti sul lettino”: M.Badoni di D’Alessandro

8/05/24
"Psicoanalisti sul lettino: M.Badoni di D’Alessandro"

Parole chiave: Psicoanalisi, Badoni, Winnicott, Bion

MARTA BADONI

Intervista tratta dal libro di Davide D’Alessandro “Psicoanalisti sul lettino. I pazienti, la mente e loro”, Moretti&Vitali 2023.

Che cos’è e a che cosa serve l’analisi?

L’analisi è un percorso di approfondimento della consapevolezza di sé alla ricerca di sofferenze non sempre note e di curiosità latenti.

Necessita di tempi e di ritmi e pertanto si svolge tramite una ritmica e frequente sequenza di sedute/incontri con un’altra persona, l’analista, supposta avere strumenti capaci di accompagnare l’analizzando senza prefiggersi una meta.

Perché tanti anni fa decise di affidarsi a un analista?

Ero alla ricerca di un ‘gruppo’ che mi permettesse di ritrovarmi dopo un’esperienza molto traumatica, ero sofferente, ma curiosa della mia psiche e di quella altrui. Penso che la scelta di mettersi in analisi in vista di diventare a mia volta analista fosse un compromesso, una motivazione in più, oltre che rappresentare aspetti di riparazione rispetto al mio narcisismo. Come compromesso, il suo divenire fa parte del gioco analitico.

Come scelse i suoi analisti?

Dal primo analista mi recai su consiglio di altri analizzati, ma la prima analisi si interruppe su considerazioni condivise con l’analista dopo alcuni mesi. Dal secondo analista arrivai ‘per caso’, ma fu per me un caso fortunato.

Che cosa occorre per fare un ottimo analista?

Non prendersi troppo sul serio, accorgersi del proprio funzionamento, sostenere una curiosità scevra da intrusività.

Le tante scuole in psicoanalisi aiutano o confondono?

Né aiutano, né confondono se è prevista una buona documentazione.

Chi ritiene sia stato il Maestro più convincente della psicoanalisi?

Inutile dire che senza Freud l’analisi non sarebbe esistita e che il suo modo di affrontare i problemi è avvincente. Fra tutti gli altri Klein, Winnicott, Bion, Green, Racamier, Bollas. Gli ultimi tre sperimentati in diretta, brevemente e casualmente, su frammenti di analisi da me condotte.

Per James Hillman siamo chiamati a “fare anima”. Per lei?

Ad animare una storia, a darle corpo.

Chi o che cosa decide quando termina l’analisi?

Al di là di analisi terminate per contrattempi di varia natura, per quanto mi riguarda la fine dell’analisi nasce da dentro l’analisi, dal come essa è stata condotta e partecipata da analista e paziente e soprattutto dalla capacità dell’analista di cogliere segnali di ‘termine’ nel modo di porsi dei pazienti. Questo vale anche per i pazienti bambini.

Qual è la forma più grave di nevrosi che si trova frequentemente davanti?

Quella in cui sono più incistati comportamenti ripetitivi.

Curano di più le parole o i silenzi?

Le une e gli altri curano se arrivano nei tempi e nei modi giusti.

Anche l’analista, come il padre, va ucciso o, se preferisce, oltrepassato?

Forse questo dipende anche dal progetto di diventare o meno analista.

Credo che la parte più vera che resta per la vita dopo un’analisi sia qualcosa di profondamente materno. Non mi sento un killer, certo la spinta a scoprire cose nuove per sé e per gli altri deve necessariamente fare i conti con l’invidia e le proprie tendenze competitive.

Come si lavora per far crollare le resistenze?

Ci si arma di pazienza e si cerca di lavorarle, meglio che non crollino, ma che si trasformino.

È più complicata la gestione del transfert o del controtransfert?

Non mi sento di fare una scelta, d’altronde i due vanno spesso assieme: la ‘gestione’ dell’uno come dell’altro, entrambi inconsci, è riferibile alla capacità dell’analista di lavorare a livello preconscio.

Per Freud, il sogno è la via regia per accedere all’inconscio. Se venisse sempre bene interpretato, aggiungerei. È possibile avere conferma di una buona interpretazione?

Certamente sì: è il paziente che ci dirà con parole proprie o sogni o atteggiamenti, se l’interpretazione lo ha raggiunto, aprendogli nuove strade interpretative. Haidée Faimberg ha scritto cose molto interessanti sull’ascolto dell’ascolto. È la risposta del paziente dopo una interpretazione quella che ci aiuterà a capire se lo abbiamo ‘toccato’ e come. Come diceva Jannacci: “Ci vuole orecchio!”.

Ha faticato di più a lavorare con il suo inconscio o con quello degli altri?

Per lavorare col mio, a lungo ho avuto un’analista vicino: ho faticato, sofferto, ma anche quietamente gioito nel vedere aprirsi spazi nuovi e acquisire nuovi strumenti. Per ogni ‘Altro’ l’impresa è diversa: il grado di fatica è un compromesso tra la nostra ‘cassetta degli attrezzi’ e la tipologia e il funzionamento dell’inconscio altrui.

Il costo elevato di un lungo percorso analitico ha spinto molti a orientarsi verso le cosiddette analisi brevi, ma può esistere un’analisi breve?

Possono esistere interventi brevi fatti da un analista che possono certamente aiutare. Purtroppo, sulla lunghezza delle analisi e sui costi si potrebbe e dovrebbe dedicare maggiore attenzione da parte della serie Istituzione.

L’analisi è un cammino di libertà. Le piace questa definizione o è incompleta?

Mi piace molto, aggiungerei di libertà consapevole.

Qual è il rischio che si cela dietro l’angolo dell’analista? 

Di sentirsi oracolare, di diventare ‘routinario’ di smorzare l’entusiasmo iniziale, di fidarsi troppo del proprio sapere, di ‘addormentare ‘ il sensorio.

Credo che il più rischioso sia la messa in stand-by del sensorio.

Per Thomas Ogden ci vogliono due persone per pensare, ma sono davvero soltanto due le persone che si incontrano durante la seduta?

Ci vogliono due persone per ‘aprire le danze’ o per aprire un sipario, il resto viene da sé.

La sfera della sessualità è sempre al centro dell’analisi o c’è altro?

È una sessualità diversamente declinata, forse più violenta, più sorprendente, più scomoda.

Quanto ha inciso la pandemia da Covid-19 su di lei e quali sono state le ricadute sui suoi pazienti?

Io ero già molto vecchia, dunque appartenevo alla sfera protetta e non lavoravo più in studio.

L’analisi in modalità on-line, complice il Covid, si è ampiamente imposta. È auspicabile l’integrazione tra le due modalità, oppure la prerogativa dell’analisi resta la presenza in studio dei due corpi senza alcuna mediazione?

Per le ragioni di cui sopra sarei presuntuosa rispondendo a questa domanda. Appartengo ai pochi che durante il covid non avevano pazienti. Da qualche intervento di supervisione su pazienti seguiti online dico che la ‘cosa’ presenta aspetti interessanti, ma va ulteriormente studiata.

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