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“Tempo e inconscio” di G. Rugi. Recensione di A. Cusin

25/09/23
“Tempo e inconscio. Inattualità e creatività in W.R. Bion"di G. Rugi. Recensione di A. Cusin

Parole chiave: Psicoanalisi, Bion, Tempo, Inconscio

“Tempo e inconscio. Inattualità e creatività in W.R. Bion”

di Goriano Rugi

(Franco Angeli ed., 2023)

Recensione a cura di Ambra Cusin

“Ogni ruvidezza del nostro sistema viene lisciata e lucidata

per evitare che possa facilitare l’insediamento

del germe di un’altra idea”

( W.R. Bion, Memoria del futuro, p. 47)

Quando secerniamo un’idea, oppure quando produciamo

una teoria sembra che contemporaneamente

emettiamo del materiale calcareo,

diventiamo calcificati,  l’idea diventa calcificata.

(W.R. Bion,  Seminari Italiani, p. 18)

Parlare delnuovo libro di Goriano Rugi senza che questa recensione sia un clone, un avatar della splendida prefazione di Civitarese  al testo –  che già da sola vale come presentazione – è una mission impossible o almeno un compito complesso nel quale però voglio cimentarmi sia per l’amicizia e la stima che sento per Goriano, sia perché questo libro mi ha coinvolta, emozionata e contemporaneamente fatta sentire piacevolmente inadeguata e bisognosa di leggere e rileggere più volte i capitoli, via via più complessi.

Il testo tratta ufficialmente del tempo e dell’inconscio e soprattutto di come se ne possa parlare, come si sia tentato di descriverli, di spiegarli – sempre che si possa – ma  contemporaneamente Rugi parla, in modo mai superficiale, della psicoanalisi, del dolore, della memoria, del desiderio, della percezione, del corpo, della realtà e del reale versus l’immaginario, di rappresentazione, della mente e del cervello, di bisogno e di ricerca ma anche di paura della verità,  insomma di tutti i temi cari ad ogni psicoanalista a partire da Freud ovviamente.

Il libro pur confrontandosi continuamente con il pensiero originario, e originale ancora oggi, di Freud non si limita a Freud e al pensiero kleiniano. Rugi, saltellando grazie ad incredibili giochi di equilibrio tra approcci teorici diversi provenienti dai tanti autori psicoanalitici citati e analizzati in maniera approfondita, percorre però anche autori di  letteratura, di arte, filmologia. A questi si aggiungono il confronto e raffronto dei testi di Bion con i pensieri e le teorizzazioni che provengono dalla  filosofia, neurobiologia, fisica, matematica  permettendo così  di far ulteriore luce sulle zone più complesse e articolate del modello bioniano stando, Rugi,  molto attento ad evitare, come spesso purtroppo accade, di fraintendere Bion o di usare lo slang bioniano come uno “spot pubblicitario” (il cosiddetto gergoniere satanico di Memoria del Futuro di Bion di cui Rugi parla nelle pagg. 39-40) .

Basta scorrere la bibliografia per trovare la profondità e ricchezza del lavoro di Rugi:  a partire da Civitarese –  con cui Rugi,per la sua eleborazione,  molto si confronta – si passa attraverso il pensiero di Ferenczi, Anzieu, Bollas, Grotstein, Ogden, Kaës, Kristeva, Meltzer, Mc Dougall, Pontalis, Preta, Resnik, Riolo, Winnicott solo per citare i primi che mi vengono in mente. E poi matematici e fisici quali Heisemberg e Rovelli, neuroscienziati come Libet, Lotto, sistemici relazionali come Bateson, filosofi da Heidegger a Žižek, da Kant, Bergson (a cui viene dedicata una intera parte), Wittgenstein fino a Morin, e poi poeti come Rilke per giungere a Sant’Agostino fino a risalire alle tragedie di  Sofocle, Euripide…

Il modo di scrivere di Rugi, che viene definito  nella prefazione da Civitarese “chiaro e scorrevole”  (p.9) – e  personalmente  mi sento di confermare questo giudizio in quanto trattare di Bion non garantisce  la chiarezza e la scorrevolezza: il suo pensiero infatti non è  mai scontato né facile da percorrere – a me appare molto simile ad un pensiero che si esprime attraverso libere associazioni. Libere associazioni capaci di svincolarsi da elementi beta sempre pronti all’attacco e appunto veramente libere di trovare ed esprimere in ogni riga proprio la citazione  più appropriata, particolare, adatta, senza remore di transitare in regioni non necessariamente frequentate, per lo meno non quotidianamente, da noi psicoanalisti.

Rugi può permettersi di “giocare” con il lettore stimolandolo a chiedersi chi sia questo o quell’ autore citato (confesso di aver giracchiato per internet a cercare informazioni), oppure a riconoscersi in pensieri nel tempo già esplorati con il piacere di trovare sempre nuove connessioni, legami, intuizioni.

Partirei da una pagina del libro che mi è sembrata una delle più significative, insieme teorica ma anche molto pratica, molto capace di farci sentire chi fosse, ed è ancora, Bion. “Conscio e inconscio sono cioè come due superfici  che tendono a scivolare l’una nell’altra, in una relazione paradossale, per cui ciò che è interno diventa esterno e viceversa.  […] per cui il conscio è anche espressione del pensiero inconscio, è uno degli aspetti più rivoluzionari  della teoria di Bion, l’aspetto che forse più sovverte le nostre certezze. Esso ci fa capire che il nostro modo di percepire la realtà è sempre condizionato da una visione inconscia, che pesca non solo nel nostro passato, ma anche in quel sistema tra fisico e mentale, che Bion chiama proto-mentale, in cui l’individuo affonda in una dimensione gruppale arcaica, e perfino mitica, che in certi momenti può irrompere nel nostro agire e nei nostri comportamenti individuali e di gruppo. E questo tumulto può farsi strada attraverso immagini e parole usuali, che mantengono tracce di elementi perturbanti, per cui l’arcaico e il primitivo più inquietante, possono emergere improvvisi anche nelle situazioni più impensabili. Elementi arcaici che hanno spesso a che fare con il sangue e il sesso, con il sacro e il mito, e che Bion condensa nell’espressione ‘sangue dappertutto’ “( p. 42 di Rugi. che cita Bion, Cogitations, 1992, p. 38 ).

Il sottotitolo del testo di Rugi è Inattualità e creatività  in W.R.Bion.

Sul termine inattualità potremmo discutere ore. Io trovo Bion attualissimo proprio per questo “sangue dappertutto”: dalla concretezza di certi film fin troppo splatter, alle immagini televisive e soprattutto ai discorsi intrisi di violenza dei più miti commentatori della televisione, per non parlare delle chat sia pubbliche sia più personali dove la violenza sembra non riuscire ad avere una remora, un confine, un freno. Un contenimento. E Rugi affronterà molto il tema di contenitore-contenuto, anzi lo considererà come un modello fondamentale. Eppure il pensiero di Bion è per Rugi inattuale perché è difficile – e gli esseri umani non amano la fatica delle cose difficili, si tende sempre a semplificare, banalizzare, esprimere in due parole concetti complessi – e l’ idea  di Bion del pensare ( cioè del far emergere quei pensieri che già ci sono e premono nella mente per essere detti) richiede coraggio, la capacità di tollerare la frustrazione di non capire  – concetto questo che peraltro ritrovo in testi molto distanti, apparentemente, dal pensiero di Bion, di autori che forse neanche lo conoscono, e che si occupano di gestione creativa dei conflitti: penso all’etnografa e antropologa Marianella Sclavi (2003) che esprime proprio un pensiero simile a questo di Bion  quando parla del coraggio di sbagliare e del non avere fretta di capire e di risolvere subito il conflitto – la pazienza di sostare nel caos, di tollerare il dolore, il paradosso, la complessità, la possibilità di mantenere viva la capacità di osservare senza pensare,  di esercitare la pratica del dubbio, e di apprendere dall’esperienza a partire dai propri errori. (Rugi, p. 20) Prezzo questo che dobbiamo pagare per essere creativi.

Ed è qui che Rugi osserva quanto il pensiero di Bion sia inattuale nel senso che nella nostra epoca si sta vivendo una profonda crisi della capacità di pensare e di riflettere sulle emozioni,  sperimentate nella vita reale, cercando appunto piuttosto vie semplificanti, banalizzanti, immediate. E Rugi ci porta nell’attualità di questo nostro tempo fatto di una guerra alle porte dell’Europa, definendola “una tragedia di cui è difficile parlare” (p. 21) ma in cui si rileggono il “ritorno di fantasmi del possesso della terra, delle materie prime, e perfino la paura della fame e del freddo […] un mondo che ha perso la fiducia nel dialogo, in cui domina la paura”, in cui “le idee di libertà […] e di democrazia sono messe seriamente in pericolo” evidenziando come il pensare – in questo agire continuo, in questo evacuare elementi beta, in questa esplosione di frammenti contaminanti che sembrano permettere al dolore di “sparire”, creando potenti glaciazioni ( che rimandano al pensiero di Resnik), ibernando le menti –  sia ormai una funzione da delegare all’intelligenza artificiale di chat GPT.

Rugi che parla di dolore, di amore, di complessità, che fa sentire come abbia “digerito” e saputo  trasformare dentro sé il pensiero di Bion rendendolo per noi più chiaro, parla un linguaggio inattuale… è vero! Il suo è un linguaggio che tratta e si esprime con termini arcaici, desueti, ricchi di valori, di umanità e per questo forse, appunto, inattuale. Proprio per il suo stile che come ho detto si affida alle immagini, alle intuizioni arricchite dalla sua ampia cultura. Rugi ci apre la sua mente, ce la fa abitare, ci mostra come può essere costruito un testo teorico vivo e appassionante. Senza ricorrere all’ intelligenza artificiale! Come si può far percepire l’infinitezza del sapere, di come  nel pensiero di Freud, Klein e Bion – e dei tantissimi psicoanalisti che Rugi cita –  ci sia ancora tanto da scoprire! Senza “calcificare” (p. 18, citazione dai Seminari italiani, Bion, 1983) la vitalità del pensiero psicoanalitico. 

Se solo riprendiamo in mano i testi citati, concordiamo con lui sull’inattualità, e contemporaneamente, e paradossalmente, sull’attualità degli scritti di Bion. Di una teorizzazione che “piace” perché il modello bioniano opera una “seduzione estetica”(Maturana e Varela, 1980 a pag. 27 del testo di Rugi) ma anche perché la teoria di Bion “funziona”! La sua teoresi, dice Rugi (p. 28) “non può essere lineare, ma coinvolge una serie di modelli che lavorano ora in sinergia, ora in antagonismo, ora in modo oscillante, nel tentativo di cogliere i complessi passaggi dei processi vitali, sempre in bilico tra organizzazione e anti-organizzazione, astrazione e concretizzazione, fattualità e controfattualità”.

Secondo Rugi la teoria bioniana possiede una sua gestalt con un suo aspetto estetico. Una sua bellezza! È caratterizzata infatti da una coerenza interna, da una complessità che parte dal gruppo per arrivare all’individuo (che in Bion rimane pur sempre gruppo in quanto caratterizzato da una ricchezza di dinamiche tra oggetti interni molti bene messi in scena nella trilogia di Memoria del futuro) e da una struttura frattalica – e qui Rugi riprende il discorso di Civitarese sulla griglia dove la struttura frattalica ripete ad ogni livello la complessità dell’insieme (p. 32).

E che ne sarà dei pensieri che spingono nella mente per poter essere pensati? Andranno nel soma, diventeranno espressioni corporee, malattie, tumori? 

Penso ad una paziente che mi consulta dopo molti anni dalla fine di una sua lunga analisi a quattro sedute settimanali: “dottoressa ho un bubbone dentro di me che non riesco ad estirpare. Abbiamo fatto un buon lavoro, ma sento che c’è questa cosa che, da quando è iniziata la pandemia,  sta emergendo e ho bisogno di lei.”

Riprendiamo il lavoro analitico – siamo a metà della pandemia, stiamo tutti, nel mondo, affrontando dei pensieri che ancora non riescono ad essere pensati, non riusciamo, io stessa mi accorgo che non riesco, a mettere in parole certe emozioni che stiamo tutti vivendo tra lockdown, mascherine, isolamento, distanziamento. Dopo un anno di lavoro analitico questa giovane donna fa una mammografia e scopre un tumore maligno. Nessuno può dire cosa lo abbia causato ( e di cause, di corpo, di soma, Rugi fa un’ampia trattazione a cui ovviamente rimando) ma nei nostri dialoghi, nel nostro lavoro questa donna collegherà il tremendo bubbone psichico intuito al tumore… alla pandemia e alla incapacità di pensare. Rendendo comunicabile, proprio come dice Bion, la realtà della sua esperienza psichica e corporea. E guarendo…

Cosa è corpo? Cosa è mente?

Innanzitutto voglio evidenziare come trattando del soma Rugi citi l’esperienza nei gruppi tenuti da Resnik, cui aveva partecipato. Questo mi coinvolge molto perché rimanda alla mia medesima esperienza dove “sento” di aver appreso, in quei gruppi, in modo simile a Rugi, da Resnik concetti che attraverso quotidianamente. Leggendo Rugi per parlare del soma si parla in modo molto intimo e profondo del dolore e viceversa. Viene affrontata così questa dinamica complessa tra corpo e mente, tra malattia, dolore e apparato mentale – per secoli tenuti separati – per arrivare con Bion (1987, Seminari clinici,  p. 159) ad affermare “penso che la malattia sta nel fatto di avere una mente”, una mente, aggiunge Rugi, a cui non piace di essere consapevole dell’universo in cui vive (p. 68)

Rugi è attratto specialmente dal testo Trasformazioni e da Memoria del futuro che cita moltissimo e da cui si fa ispirare per trattare del tema principale: il tempo e l’inconscio.

Rugi è ben consapevole che di fatto Bion si occupa del campo dei fenomeni mentali. 

Memoria del futuro “si impone come una narrazione ‘policentrica e polimorfa’ “(p. 111). Rugi si dice convinto che Bion avesse una “dimestichezza con la teoria quantistica” (p. 112) ma non solo perché leggeva Heisenberg, ma perché faceva esperienza quotidiana di questo con le sue analisi, nel campo analitico”. Rugi sottolinea come sia possibile che “la cosiddetta metafora fisica del campo, non sia poi tanto una metafora, ma la descrizione, da un vertice diverso, degli stessi fenomeni, che noi chiamiamo mentali, ma che ancora non sappiamo cosa siano, e che comunque Bion riteneva di natura fisica.( Bion, in Addomesticare i pensieri selvatici, 1997, p. 43. citato da Rugi p. 112)”.

Infatti per questo si può affermare che l’evento trasformativo si collochi “al centro del cambiamento” e che la stessa psicoanalisi diventi un sistema di trasformazioni  in cui “la verità e  la conoscenza prodotte non appartengono propriamente – e qui Rugi cita Riolo (1986, p. 202) – né al soggetto né al mondo, ma sempre e soltanto alla relazione mobile tra i due, tra mente e mondo, tra il campo e i suoi elementi”(p. 112).

Le emozioni vengono così poste da Bion al centro e la mente viene concepita come una funzione relazionale. “Nel  campo psicoanalitico lo spazio è il tempo perdono quindi ogni carattere di riferimento assoluto newtoniano, e diventano uno ‘spazio-tempo transpersonale’, un campo d’interazione, in cui gli elementi non sono più primari, ma forme secondarie di organizzazione dell’esperienza” ( p. 112).

E allora è o non è la nostra un’epoca di cambiamenti catastrofici? Si può parlare di epoca, quindi con un chiaro riferimento al tempo, rimanendo nel campo psicoanalitico? Rugi sostiene che “passato e futuro si scontrano come faglie tettoniche. Da una parte assistiamo al proliferare di teorie e correnti di pensiero molto avanzate, dall’altra ci troviamo a vivere lotte ancestrali” (p. 22)

Personalmente credo che in ogni epoca si siano vissuti cambiamenti catastrofici, anzi personalmente penso che ogni attimo porti con sé la potenzialità di un cambiamento catastrofico e questo lo sperimento nell’attimo infinito della seduta,  con il paziente,  quando improvvisamente il “nostro” pensiero fa un salto così che qualcosa che fino a quel momento c’era, ma non emergeva, d’un tratto, repentinamente appare, acquista senso, cambia le cose, tutto.

Come quando una paziente incinta, in seduta in silenzio, sente che la bimba nel ventre si muove, le dà un calcio, il piedino quasi salta fuori dalla pancia, ben visibile e lei ed io, insieme, sentiamo di esistere, di essere vive, di poter condividere questa emozione unica, noi siamo la bambina viva che si palesa. Quell’attimo diventa emozionalmente un tempo infinito che ancora perdura nella mia mente e che non è solo un ricordo ma “è”, rimane come  un adesso. Un presente attivo e vivo.

Come dice Civitarese “mi accorgo che mentre scrivo sono arrivato solo a ( commentare fino a ) pagina 25 […] con il poco spazio che mi rimane  a disposizione come farò a concludere la Prefazione affinché la mia sia una breve presentazione che invogli il lettore alla lettura?” ( p. 13)

Anche io ho una sensazione analoga. Sento che potrei continuare a lungo con questa recensione, ma toglierei ai lettori il gusto della scoperta, della lettura, e rilettura, di pagina dopo pagina. Creerei una elaborazione della elaborazione in una inutile ripetizione. Quindi ora tocca a voi, buona lettura!

BIBLIOGRAFIA:

Bion W.R., (1983). Seminari italiani, Borla,  Roma, 1985.

Bion W.R., (1987). Seminari clinici, Raffaello Cortina, Milano, 1989.

Bion W. R., (1975 – 1977 – 1979) , Memoria del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 1993, 1998, 2007.

Bion W.R., (1992). Cogitations, Armando, Roma, 1996.

Bion W.R., (1997). Addomesticare i pensieri selvatici, Franco Angeli, Milano, 1998.

Maturana H. R., Varela F.J., (1980). Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Venezia, 1985.

Resnik S., (1999). Glaciazioni, Bollati Boringhieri, Torino, 2001

Resnik S., (2006).  L’uomo congelato,  in Rinaldi L. (a cura di), Stati caotici della mente, Raffaello Cortina, Milano.

Riolo F., (1986). Dei soggetti del Campo: un discorso sui “limiti”. Gruppo e Funzione Psicoanalitica, sett.  dic. VII, 3: 196-204.

Sclavi M. (2003). L’arte di ascoltare e mondi possibili, Mondadori, Milano.

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