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Parliamo di … Rischio con S. Bolognini

10/01/23
Parliamo di … Rischio con S. Bolognini

PARLIAMO DI… RISCHIO

PSICHE INCONTRA STEFANO BOLOGNINI

Intervista a Stefano Bolognini, di Andrea Giorgianni.

In Rischio, numero 2/2022 di Psiche. Rivista di Cultura Psicoanalitica

Rischio – uno dei temi cruciali che permeano il nostro tempo e la nostra cultura – è il focus dell’ultimo numero della Rivista di Psicoanalisi (3/2022) e di Psiche. Rivista di Cultura Psicoanalitica (2/2022). Il tema sarà più ampiamente affrontato e dibattuto il 4 Febbraio a Roma in occasione della Giornata Orizzonti del Rischio dedicata alle Riviste della Società Psicoanalitica Italiana.

Andrea Giorgianni incontra per Psiche Stefano Bolognini, presidente della Società Psicoanalitica Italiana negli anni dal 2009 al 2013 e Presidente della International Psychoanalytical Association dal 2013 al 2017: «Nel linguaggio comune la parola rischio si riferisce all’eventualità di subire un danno più tenue, meno certa di pericolo. L’occasione di poter affrontare il tema del rischio con Stefano Bolognini ci è sembrata particolarmente favorevole, innanzitutto per l’ampiezza e la profondità della sua visione, che ci porta – diciamo così, per procura – a essere più consapevoli della complessità di realtà anche molto distanti dalla nostra, e secondariamente per la fiducia, di cui egli è testimone, nella solidità delle basi scientifiche della disciplina psicoanalitica e nelle sue potenzialità in termini di sviluppi futuri».

Un primo punto inerente il rischio che comporta il lavoro analitico e l’uso tecnico dell’interpsichico prende le mosse dal saggio di Bolognini Flussi vitali tra Sé e Non-Sé (2019) e dalla scena del passo della fede di Indiana Jones: quali rischi comporta percorrere la via della psicoanalisi? «Devo premettere – precisa Bolognini – che l’interpsichico, cioè quella modalità presoggettuale o co-soggettuale che si produce tra due persone in momenti che considero privilegiati e tutto sommato abbastanza rari, non è un’occorrenza frequente anche in analisi. È qualcosa che si può realizzare occasionalmente, in maniera fluida e spontanea. (…) Nel caso del film, Indiana Jones fa un passo che può equivalere per l’analista al fatto di esporsi al di là di un terreno controllato da un punto di vista egoico conscio, con la percezione di una fluidità naturale che in quel momento ha un senso autentico, profondo e fertile. Questo ci succede in qualche rara occasione quando sentiamo fluire qualcosa che nella situazione analitica di solito proviene dal nostro preconscio. In questo caso confluisce anche una disposizione benigna di un Super-io analitico costituito dal nostro analista, dai supervisori, dai docenti e dagli autori che ci hanno nutrito. Un Super-io favorente l’esperienza ci consente di dare il nostro meglio in quel momento. Può apparire una visione un po’ idealizzante ma voglio dire che si tratta di momenti rari, di congiunture favorevoli».

Dalla dimensione del rischio a quella del potenziale disastro, definizione che ha notoriamente accompagnato il caso di Marilyn Monroe, di cui fu protagonista lo psicoanalista Greenson.

Cosa può accadere in situazioni così critiche – chiede puntualmente Giorgianni – e come si spiega la reticenza della comunità analitica? Bolognini affronta la questione partendo dal perché della reticenza, e chiarisce come questo fallimento mostri la fragilità in cui rischia di incorrere un analista quando si creano delle condizioni che mettono appunto a rischio e in crisi l’equilibrio personale e la base lavorativa: «Per quel che ho potuto immaginare e ricostruire da ciò che ho letto, credo che Greenson si fosse inebriato forse neanche tanto del fascino personale di Marylin. Penso che possa essersi eccitato a un livello narcisistico perché, oltre alla sua paziente, gli altri attori della scena erano il Gotha del potere, dello smart set internazionale. Posso immaginare uno scenario in cui l’analista, giunto – mi hanno raccontato i colleghi americani – ad avere il suo studio in posizione strategica vicino agli Studios e con questo senso inebriante di avere in analisi attori e registi, possa avere davvero sottovalutato la fragilità della paziente e quello a cui si stava andando incontro. Questo ci richiama al fatto che siamo esseri umani e siamo esposti a errori e sbilanciamenti personali. Come stiamo imparando a livello clinico teorico dalla ricerca sull’enactment, ci sono situazioni che si possono comprendere solo a posteriori, con dolore e umiltà. È vero che Indiana Jones fa un passo nel vuoto e compare il ponte, ma quante volte noi analisti abbiamo fatto un passo nel vuoto e siamo finiti per lo meno in un fosso di mezzo metro?».

Secondo Bolognini in questo senso ci sono varie aree inerenti la formazione analitica che devono essere esplorate e conosciute meglio, ad esempio l’area scottante dei transfert amorosi, erotivci ed erotizzati.

Sul rischio del non-Sé e del grido questa non è psicoanalisi.

Quanto alle prospettive future della psicoanalisi, Bolognini parla di uno sguardo transferale che deforma per amore o per odio il non-Sé generato dallo studio di autori che non sono quelli da cui ci sentiamo familiarmente messi al mondo: «Nel mondo interno della psicoanalisi c’è una difficoltà che è intrinseca al suo sviluppo. La mia idea rimane quella di un grande albero il cui tronco è Freud ma ci sono state delle ramificazioni, ci sono state ulteriori ricerche e scoperte di aree e configurazioni che non erano state descritte agli inizi della psicoanalisi. Lì sono sorti problemi transferali nei confronti di Freud, della Klein, di Winnicott, Bion e Kohut. (…) Il lavoro d’integrazione di questi rami dell’albero è ancora in corso e richiederà tempo perché contiene una minaccia identitaria che fa scattare il grido questa non è psicoanalisi».

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