La Ricerca

Lutto (Il lavoro del)

8/11/21
Tania Bruguera, 2018

Tania Bruguera, 2018

IL LAVORO DEL LUTTO

A cura di Daniela Battaglia

Definizione del concetto

In Lutto e Melanconia, (scritto nel 1915, ma pubblicato nel 1917), Freud afferma che il lutto è la reazione alla perdita di una persona amata o di un’astrazione che ne ha preso il posto; ad esempio la patria o un ideale. Comporta uno stato d’animo doloroso, la perdita d’interesse per il mondo esterno e della capacità di scegliere un nuovo oggetto d’amore, e anche l’avversione per ogni attività che non sia in relazione con l’oggetto d’amore perduto. Freud (1915) aggiunge che nel lutto è presente anche un distacco dai consueti interessi ma sottolinea che, dopo un ragionevole periodo di tempo, il lutto può essere superato.

Ma come accade che questo stato doloroso, che comporta un’inibizione e una limitazione dell’Io, venga superato?

Freud ricorda che è necessario un vero e proprio lavoro psichico e nello stesso testo introduce l’espressione “lavoro del lutto”. Questo concetto ha già in se stesso una portata innovativa in quanto inserisce nella comprensione del lutto un fatto nuovo, cioè che la graduale attenuazione del dolore a seguito di una perdita è il risultato di un’elaborazione psichica dinamica e niente affatto scontata.  Può, infatti, anche andare incontro a un insuccesso, come osserviamo nel lutto patologico.

Secondo Freud il lavoro del lutto inizia quando il soggetto si trova costretto, sotto la pressione dell’esame di realtà, a prendere atto della inesorabilità della perdita e della conseguente necessità di iniziare un progressivo ritiro dell’investimento libidico da ciò che riguarda l’oggetto perduto.

La difficoltà delle persone ad abbandonare una posizione libidica precedentemente assunta (resistenza al cambiamento) rende difficile e lento questo processo e determina, in una prima fase, un estraniamento dalla realtà e una tenace adesione all’oggetto perduto. L’Io s’identifica parzialmente con l’oggetto in attesa di un nuovo equilibrio e di una ridistribuzione degli investimenti libidici. Nelle situazioni normali l’esame di realtà ha il sopravvento e quando il lavoro del lutto è giunto al termine, l’Io ridiventa libero superando le inibizioni legate al lutto stesso.

Elaborare il lutto significa, dunque, poter pensare a un dopo, pensare a qualcosa che sembrava impensabile e iniziare a rappresentarsi qualcosa che sembrava irrappresentabile. Pensare a un dopo apre alla speranza, al nuovo, alla possibilità di immaginare che vi sia qualcosa che non conosciamo e che vale la pena di essere conosciuto. Il superamento del lutto ci mette a confronto con la nostra capacità di rimanere vivi emotivamente in un mondo “impoverito” (è il termine usato da Freud) dall’assenza dell’oggetto d’amore. La nascita di una nuova speranza origina da una spinta vitale, che ha a che fare con la capacità di tollerare e accettare la separazione e la perdita.

Il normale processo di elaborazione del lutto, che esita nell’investimento di un altro oggetto significativo, non può avvenire nel melanconico, nel quale la relazione narcisistica e ambivalente con l’oggetto ostacola il normale svolgimento di superamento del lutto.

Freud individua alcuni elementi chiave che distinguono la melanconia dal lutto fisiologico. Il primo consiste in un disturbo della considerazione di sé, presente nella melanconia ma non nel lutto: nella prima si riscontra una mortificazione del sentimento di sé che si esprime in auto rimproveri e auto accuse  e culmina nell’attesa delirante di una ritorsione.   Inoltre, mentre nel lutto il soggetto avverte il mondo impoverito e svuotato, nella melanconia è l’Io stesso a essere percepito come impoverito e svuotato. In altri termini, a seguito della perdita dell’oggetto, si realizza in questo caso un mutamento del sé di cui il soggetto non è completamente consapevole.

Nel corso dello sviluppo sano del bambino avviene un processo che conduce a una differenziazione tra la libido dell’Io e la libido oggettuale.  Non si tratta di operare uno spostamento di amore da se stesso verso l’oggetto, ma piuttosto di un processo per cui il bambino raggiunge una capacità di percepire l’oggetto separato, questo permette una relazionalità con gli oggetti che vengono sperimentati come esterni a sé, fuori dal regno dell’onnipotenza infantile e dotati di vita autonoma e quindi potenzialmente capaci di abbandono. Nel paziente melanconico questo passaggio non ha avuto luogo, per cui di fronte a una perdita o una delusione, egli non riesce a sganciarsi dall’oggetto perduto e regredisce dalla relazione oggettuale narcisistica alla identificazione narcisistica. In questo modo l’oggetto viene preservato nella forma di una identificazione con esso, che ostacola la possibilità di evolvere e interferisce con l’esame di realtà.

L’impossibilità del melanconico di impegnarsi in forme di relazionalità oggettuale non narcisistiche sembra essere l’ostacolo fondamentale all’istaurarsi del lavoro del lutto, come sottolinea Ogden in una interessante lettura del testo freudiano (Ogden 2012). In un certo senso si tratta di un espediente (fallimentare, in realtà) per aggirare l’esperienza del dolore della perdita e della propria impotenza rispetto al fatto che se un oggetto è sentito come altro può abbandonarci mettendo in luce   la nostra non onnipotenza.  Il prezzo che il soggetto paga è altissimo: in cambio della fuga dal dolore della perdita chi non accede al lavoro del lutto sperimenta un senso di mancanza di vita dovuta al fatto che si trova immerso in una realtà congelata, senza possibilità di elaborare la perdita nella realtà esterna e di entrare in contatto autentico con le proprie emozioni. Inoltre l’impossibilità di padroneggiare il dolore e il tentativo di metterlo da parte potrebbe trasformare un sentimento di delusione, solitudine, rabbia, in qualcosa che somiglia a “gioia, esultanza e trionfo” e immergere il paziente in uno stato in cui predomina il pensiero onnipotente fino ad esitare in una franca reazione maniacale.

Non va trascurato il peso dell’ambivalenza nella dinamica che stiamo osservando: da una parte l’ambivalenza esistente verso l’oggetto, dall’altra l’ambivalenza legata al desiderio di restare vivo, contrapposto al desiderio di essere una cosa sola con l’oggetto perduto. Riguardo al primo aspetto dobbiamo considerare che l’ambivalenza verso l’oggetto, insita nella relazione d’amore, viene esacerbata dalla perdita e che, a causa della regressione del soggetto verso l’identificazione narcisistica, accade che l’odio verso l’oggetto o la situazione deludente e/o abbandonante si riversi sull’Io (le autoaccuse feroci del melanconico) e che il soggetto tragga da queste sofferenze un soddisfacimento di tipo sadico .  L’altra particolare forma di ambivalenza presente nel lutto riguarda la lotta tra il desiderio di vivere, sopportando il dolore della perdita, e il desiderio di essere una cosa sola con i propri oggetti interni morti. La persona capace di fare il lutto, a differenza del melanconico, riesce a elaborare questo conflitto. La nascita di una nuova speranza origina da una spinta vitale, che inevitabilmente ha a che fare con la capacità di tollerare e accettare la separazione e la scomparsa dell’oggetto amato.  Nel libro “La perdita” Rossanda e Fraire (2008) indagano questo aspetto illustrando come la possibilità di intraprendere un “nuovo viaggio” con noi stessi ma senza l’altro, il potersi sentire creativi e liberi dopo un lutto sia intrinsecamente connesso all’attraversamento del dolore profondo per la perdita e mai da esso completamente disgiunto.

In estrema sintesi, il lutto può avvenire se e quando si è riusciti ad instaurare una reale relazione oggettuale con un oggetto sentito come altro da sé, perché solo allora si può accedere ad una separazione, sperimentarla e elaborarla.

Ulteriori evoluzioni del concetto

Gli studi di Karl Abraham sul lutto e sulla melanconia si collegano alle considerazioni di Freud differenziandosene in parte. Mentre Freud aveva posto in primo piano, ai fini del superamento del lutto, la necessità di un ritiro della libido dall’oggetto d’amore perduto, sotto la pressione della realtà, e la necessità di un nuovo investimento oggettuale, Abraham ha messo in risalto l’importanza della introiezione e della ricostruzione psichica dell’oggetto perduto nel mondo interno del soggetto (De Masi, 2002)

Secondo Abraham (1924) la differenza principale tra lutto normale e patologico consiste nel fatto   che il superamento del lutto normale avviene tramite un processo d’introiezione che è prevalentemente al servizio della tendenza a conservare una relazione con l’oggetto d’amore perduto e\o a compensare la perdita subita. Una sorta di ricostruzione interna, che permette di conservare dentro di sé il ricordo dell’oggetto d’amore perduto con una conflittualità tollerabile, che facilita il superamento del dolore.  Anche nel melanconico avviene un processo d’introiezione, ma in quest’ultimo, a causa del rapporto libidico fortemente ambivalente con l’oggetto, accade che l’Io non possa evitare di prendere su di sé la quota di ostilità rivolta all’oggetto legandosi così ad esso in un rapporto in cui prevalgono le componenti sadiche che ne impediscono una ricostruzione consolatoria.

Gli studi di Melanie Klein (1940) aprono una nuova prospettiva mettendo in luce come il lutto, sia normale che patologico, determina una riaccensione delle angosce della posizione depressiva infantile in quanto la perdita reale riattiva l’angoscia dovuta alla sensazione di aver distrutto i propri oggetti buoni interni con i conseguenti vissuti di colpa e di persecuzione.  Il lavoro del lutto quindi comporta un lavoro psichico che da una parte riguarda la dolorosa necessità di accettare la realtà della perdita e di dover creare nuove relazioni nel mondo esterno e d’altra parte riguarda, in modo importante, la necessità di rigenerare nel proprio mondo interno un contatto con i propri oggetti interni buoni aprendo alla possibilità di accedere a un reale processo di riparazione creativa, che può consentire di vivere il dolore senza che questo comporti una chiusura e un impoverimento affettivo.

La Klein, superando le posizioni di Freud e Abraham, ritiene che il lavoro del lutto non riguardi solo l’elaborazione dell’ambivalenza e del tipo di legame che caratterizzava la relazione con l’oggetto perduto, ma anche la necessità di reinsediare e reintegrare i propri oggetti buoni interiorizzati, cioè i primi oggetti d’amore. E’ come se nel processo del lutto il soggetto si trovasse ad attraversare e poi superare una variante di uno “stato maniaco –depressivo temporaneo” (Klein, 1940), rivivendo in un certo senso situazioni che il bambino si trova ad attraversare normalmente nelle prime fasi dello sviluppo, quando si confronta con angosce persecutorie profonde, sentimenti di perdita e di colpa.

Un cattivo rapporto con l’oggetto primario accresce l’ambivalenza, i vissuti di colpa per aver danneggiato l’oggetto d’amore e le angosce di annientamento e di persecuzione impedendo un processo di riparazione autentico che ristabilisca una buona capacità di rapporto con l’oggetto amato e perduto. La possibilità di ristabilire una maggiore sicurezza nel proprio mondo interiore superando il senso di colpa inconscio, legato all’ambivalenza, e l’idealizzazione difensiva dell’oggetto perduto è frutto di un lavoro psichico complesso d’integrazione e accettazione della realtà, che può vitalizzare i propri oggetti interni e che permette di aprire alla speranza.

Otto Kernberg (2010) ritiene che il lutto non sia un processo limitato nel tempo, come Freud aveva sostenuto in un primo momento, cambiando poi, però, la sua prospettiva come traspare in una lettera scritta a Binswanger (1929). In accordo con M.  Klein (1940), Kernberg dice che un’adeguata soluzione del lutto normale, non solo patologico, passa per una riattivazione e successiva risoluzione delle angosce proprie della posizione depressiva, inerenti quindi anche a vissuti di colpa, e attraverso una modificazione della rappresentazione di sé sotto l’influenza della identificazione con un altro significativo (ad esempio il partner, con cui si sono condivisi valori e progetti di vita). A differenza di quanto dice Freud, secondo cui il piacere dell’essere in vita compensa la perdita dell’amato, Kernberg afferma che il piacere di essere in vita è arricchito dalle responsabilità morali derivanti dall’integrazione del mandato interiore della persona scomparsa. Secondo Kernberg, il lutto provoca un’alterazione permanente delle strutture psicologiche che influenzano vari aspetti della vita; si crea così una relazione oggettuale interiorizzata persistente con la persona perduta, che influenza l’Io e il Super Io e l’incorporazione del sistema di valori dell’oggetto perduto nel proprio Ideale dell’Io. Il lutto quindi riattiva la posizione depressiva e costituisce anche un’esperienza che può dare avvio a specifici meccanismi di compensazione della perdita, che favoriscono un nuovo sviluppo strutturale; qualcosa in più rispetto allo stabilirsi di un oggetto interno nuovo in seguito alla funzione riparativa.

Le potenzialità trasformative ed evolutive del processo del lutto sono il principale contributo sull’argomento di P.C. Racamier, (1992) che ritiene il lutto un processo maturativo universale o originario in quanto, egli dice, comincia proprio all’inizio della vita ed è intrinseco alla crescita. Lo definisce come un processo psichico fondamentale che si svolge nel corso dell’intera vita, per il quale l’Io si trova a confrontarsi con la necessità di rinunciare al possesso totale dell’oggetto. In questo modo il soggetto compie il lutto di un’unione narcisistica assoluta e tramite questa rinuncia fonda le sue stesse origini, opera la scoperta dell’oggetto e del Sé e “inventa” l’interiorità.   Racamier (1992) ipotizza che il neonato e la madre siano immersi in una relazione di mutua seduzione (seduzione narcisistica) che mira ad escludere e/o neutralizzare le tensioni e stimolazioni e ad abolire l’alterità. Infatti ciò che questo tipo di seduzione tenacemente rifiuta è la differenza, in quanto presupposto della separazione e del desiderio. La chiusura narcisistica aspira all’autosufficienza.

Nelle situazioni in cui la relazione evolve normalmente, le spinte vitali del bambino e della madre insieme tendono a una rottura di questa illusione di onnipotenza e appartenenza totale.  E’ qualcosa che ha inizio grazie ad una spinta vitale aggressiva, necessita della complicità materna (anticipazione creatrice) e non si effettua una volta per tutte. Pur essendo un processo che determina un cambiamento radicale esso si svolge nel corso di tutta la vita, in quanto l’aspirazione unificante (narcisistica) e quella differenziante (oggettuale) non si susseguono, ma coesistono nel corso dell’esistenza. D’altra parte l’oggetto perduto come oggetto assoluto esterno viene interiorizzato e ritrovato come oggetto interno.

Racamier (1992) chiama “supporti” quelle condizioni che rendono possibile l’attuarsi del lutto originario e quindi il riconoscimento e l’interiorizzazione dell’oggetto. Rifacendosi a Winnicott (1953), individua nell’oggetto transizionale e nella sua funzione d’intermediario tra l’illusione di onnipotenza e la realtà, uno dei principali supporti psichici al compimento del lutto.

Elaborare un lutto significa quindi poter pensare a un dopo, senza dimenticare un prima e questo ha una intrinseca potenzialità trasformativa ed evolutiva.

E’ importante che il terapeuta che accompagna il paziente nella elaborazione di un lutto di una persona, di una situazione o di una condizione personale perduta sappia riconoscere, soffrire e tollerare il dolore insieme al paziente, vivendo anche momenti di presenza inattiva in cui prevale l’accoglienza e che non sono immediatamente finalizzati a un’interpretazione o a una comprensione di tutto quello che accade. Questo può aiutare il paziente a compiere un sincero lavoro psicologico nel corso del tempo e a entrare in un contatto autentico con la realtà, ad attraversare il proprio dolore e compiere il lavoro del lutto che, come abbiamo visto, ha che fare con la possibilità di diventare più capaci di affrontare la realtà interna ed esterna, di vivere le proprie emozioni e quindi di accedere alla possibilità di cambiamento e crescita.

Bibliografia:

Abraham K. (1924) Tentativo di una storia evolutiva della libido sula base della psicoanalisi dei disturbi psichici Vol. 1 in “Opere” Ed Boringhieri (1975)

De Masi F. (2002) Il limite dell’esistenza, Torino, Bollati Boringhieri

Fraire M, Rossanda R. a cura di L. Melandri (2008) La perdita Bollati Boringhieri ed. 2008

Freud S. (1915 -1917]) Lutto e melanconia.” Opere”, vol 8 Ed. Boringhieri, 1976

Kernberg O. (2010) “Some Observations on the Process of Mourning” inThe International Journal of Psychoanalysis (91(3) 601-619

Klein M. (1940), Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco depressivi in M. Kein Scritti 1921-1958 Boringhieri, Torino 1971

Ogden T.H (2012) Il leggere creativo CIS editore

Racamier P.C.  (1992) Il genio delle origini Raffaello Cortina Editore

Winnicott D.W (1953).  Oggetti transizionali e fenomeni transizionali. In: Dalla Pediatria alla Psicoanalisi Martinelli, Firenze.

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