La Ricerca

Inefficacia dell’estinzione della memoria di paura. Recensione di B.Genovesi

20/10/23
Inefficacia dell’estinzione della memoria di paura. Recensione di B.Genovese

HELEN FRANKENTHALER

Parole chiave: paura, trauma, dissociazione, memoria

Inefficacia dell’estinzione della memoria di paura

Recensione di Benedetto Genovesi*

 Synaptic and transcriptomic features of cortical and amygdala piramidal neurons predict inefficient fear extinction

Daniela Laricchiuta, Juliette Gimenez, Giuseppe Sciamanna, Cristina Zona, Valerio Orlando, Laura Petrosini.

Pubblicato su Cell Reports, 42: 26 Settembre 2023

https://doi.org/10.1016/j.celrep.2023.113066

Questo recente articolo di Laricchiuta et al., offre importanti ed interessanti spunti di riflessione sul funzionamento cerebrale, in caso di esperienze traumatiche. Una funzione fondamentale del nostro cervello è quella di prevedere i pericoli e preservare la sopravvivenza dell’individuo e della specie. La paura è un’emozione fondamentale che si manifesta quando viene percepito o ipotizzato un pericolo. Chiaramente, conservare la memoria di un pericolo reale è una funzione fondamentale, per evitare di incorrere nuovamente nella stessa situazione di pericolo. È proprio la funzione di apprendere dall’esperienza. La funzione di dimenticare i ricordi di paura quando il pericolo non è più presente, ovvero il cosiddetto “processo di estinzione”, è a sua volta un processo fondamentale per consentire lo svolgimento di altre funzioni di sopravvivenza e quindi è una funzione adattiva. Tuttavia, se la paura si inscrive nella memoria e s’impone nella vita del soggetto anche quando non serve, può provocare non pochi problemi nell’affrontare le situazioni di vita e quindi diventa una funzione disadattiva. L’angoscia che è collegata all’attesa di un pericolo indeterminato, diventa paura (furcht) e ricerca il collegamento con un oggetto che possa essere avvertito come pericoloso (Freud, 1925). Per cui, la compromissione di tale meccanismo di dimenticanza del ricordo della paura, può portare a comportamenti disadattivi, come nel caso dei disturbi associati al trauma e alla dissociazione.

L’angoscia sorse quale reazione a uno stato di pericolo e viene ora riprodotta regolarmente quando un simile stato si verifica di nuovo (Freud, 1925, p. 282). Se la paura è troppo persistente si attiva un sistema di falso allarme, per cui ogni volta che si presenta una situazione che richiama l’evento traumatico, si attivano vissuti con forti connotati di paura. Infatti, si ritiene che la sintomatologia dei disturbi dissociativi associati al trauma, rifletta una risposta duratura e persistente a un’avversità precedentemente incontrata, anche quando tale avversità non è più presente. Quindi accade assai spesso che venga “ricordato” qualcosa che non ha mai potuto essere “dimenticato” (Freud, 1914, p. 355) e che quindi non può essere superato. Ad esempio, lo stress dei primi anni di vita aumenta il rischio di dissociazione e traumatizzazione, anche in età adulta. Per una specie di situazioni assai importanti che si verificano in un’epoca assai remota dell’infanzia – e che allora vengono vissute senza essere capite … possiamo dire che l’analizzando non ricorda nulla degli elementi che ha dimenticato e rimosso, e che egli piuttosto li mette in atto (Freud, 1914, pp. 355-356), agendo automaticamente con una reazione di paura.

A livello cerebrale, dopo l’esperienza di eventi traumatici, i soggetti con sintomatologia associata alla paura, mostrano un’attivazione alterata nei neuroni piramidali dell’amigdala e delle suddivisioni prelimbiche/infralimbiche della corteccia prefrontale mediale.

Laricchiuta et al. ritengono utile poter distinguere in anticipo, cioè prima dell’esperienza traumatica, chi svilupperà un disturbo legato alla paura e chi no; infatti, hanno visto che le persone che presentano alterazioni dei circuiti della paura di per sé, cioè prima di fare esperienze traumatiche, possono essere a rischio di sviluppare una psicopatologia correlata al trauma e alla dissociazione, quando incontreranno avversità nel corso della loro vita. Tuttavia, questo non indica che il disturbo associato alla paura abbia una struttura immodificabile, ed anzi poter scoprire i punti deboli dei meccanismi patologici, ci permetterà di sviluppare nuove strategie terapeutiche che possano risultare efficaci e vantaggiose per i pazienti. I comportamenti precedenti e indipendenti dall’esperienza della paura, consentono di notare differenze individuali nelle risposte a stimoli emotivi conflittuali, per cui rappresentano forti predittori della suscettibilità o della resilienza, nei confronti della possibilità di estinguere o meno il ricordo della paura.

Gli autori hanno potuto distinguere topi resilienti (Res-Ex), dai topi suscettibili (Sus-Ex), nei confronti degli stimoli della paura. I topi resilienti mostrano risposte equilibrate nei confronti degli stimoli emotivi conflittuali, quando sono sottoposti al compito di conflitto Approach/Avoidance durante l’adolescenza e un’estinzione adattiva della memoria di paura, quando sono sottoposti al compito di Contextual Fear Conditioning durante l’età adulta. I topi suscettibili mostrano risposte evitanti agli stimoli emotivi conflittuali, quando sono sottoposti al compito di conflitto Approach/Avoidance durante l’adolescenza e un’estinzione spontaneamente maladattiva della memoria di paura, quando sono sottoposti al compito di Fear Conditioning durante l’età adulta. Sorprendentemente, e totalmente in linea con gli studi sull’uomo, i topi suscettibili rappresentano solo una piccolissima percentuale dell’intera popolazione di topi. Questo lavoro di ricerca di Laricchiuta et al. ha consentito, quindi, di indagare anche l’esistenza di tratti comportamentali indipendenti dalla paura e precedenti alle esperienze traumatiche, che possano predire un’estinzione inefficace delle memorie di paura, valutando così un possibile trattamento per recuperare un’estinzione funzionale.

Gli autori hanno indagato l’attività neuronale specifica, utilizzando un modello transgenico che esprime la proteina fluorescente gialla (yellow fluorescent protein – YFP) nei neuroni piramidali della neocorteccia e dell’amigdala. Per meglio comprendere i risultati comportamentali di questi test, gli autori hanno eseguito analisi morfologiche ed elettrofisiologiche, dai quali si è visto che nei neuroni piramidali prelimbici, i topi suscettibili, che non hanno mai avuto un’esperienza di paura, mostrano una densità di spine dendritiche significativamente più alta; mentre nella corteccia infralimbica, la densità delle spine dendritiche era più alta nei topi resilienti, che non hanno mai avuto l’esperienza di paura. Potremmo dire che nei neuroni piramidali prelimbici viene immagazzinato il ricordo di pericoli supposti o immaginati, per cui i topi suscettibili sono più inclini a reagire con la paura e inoltre la paura persiste anche se il pericolo non c’è più; mentre nella corteccia infralimbica, viene registrato il pericolo percepito o reale, per cui i topi resilienti sono meno inclini a reagire con la paura e si attivano se c’è una reale necessità. La stessa tendenza è stata osservata nelle registrazioni elettrofisiologiche, in cui le correnti postsinaptiche eccitatorie spontanee, registrate nei neuroni piramidali dell’amigdala e della corteccia prelimbica, hanno indicato che la trasmissione glutammatergica era più elevata nei topi suscettibili, rispetto ai topi resilienti, esposti o meno agli stimoli di paura. Nel complesso, questi risultati permettono di avanzare l’ipotesi che l’estinzione adattiva delle memorie di paura è un processo plastico che rimodella la corteccia infralimbica dopo l’esperienza di paura, attraverso un nuovo apprendimento; diversamente, l’estinzione maladattiva è un processo rigido e persistente che coinvolge la corteccia prelimbica, anche prima dell’esperienza di paura.

Quindi, se si riesce a disattivare il ricordo disadattivo della paura, diventa possibile liberarsi dal vissuto dell’esperienza traumatica e gestire in maniera adattiva le esperienze di vita.

Laricchiuta et al. hanno applicato un trattamento attraverso manipolazioni optogenetiche, grazie alle quali si possono migliorare le fasi di recupero e di estinzione della memoria di paura. Anche in questo caso le registrazioni elettrofisiologiche hanno supportato i risultati comportamentali. Grazie a questo trattamento, si è visto che nei topi resilienti, l’attivazione dei neuroni piramidali prelimbici aumenta la possibilità di prevedere o ipotizzare i pericoli; mentre, nei topi suscettibili, l’attivazione dei neuroni piramidali infralimbici estingue la memoria di paura e consente di affrontare il pericolo attuale reale. In conclusione, gli autori sottolineano che l’estinzione della memoria di paura, indotta dall’attivazione optogenetica dei neuroni piramidali infralimbici, in topi suscettibili alla paura, indica comunque la natura plastica di questa condizione, aprendo così a potenziali interventi terapeutici futuri.

Ovviamente, in associazione alla possibilità di elaborare simbolicamente l’esperienza traumatico-dissociativa, nel contesto di un trattamento psicoanalitico. Diventa, infatti, fondamentale rielaborare lo stimolo di paura che non riesce ad essere rimosso. Naturalmente, un ricordo può essere dimenticato solo dopo essere stato compreso ed elaborato. Nella relazione con l’analista, infatti, l’analizzando ha la possibilità di cominciare a rappresentare simbolicamente, vissuti che precedentemente risultavano irrappresentabili.

Freud S. (1914). Ricordare, ripetere e rielaborare. OSF 7

Freud S. (1925) Inibizione, sintomo e angoscia. OSF 10

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Trauma, storia e memoria dall'ultimo Freud a noi. Riflessioni a partire dal Mosè. F. Barale 

Leggi tutto

Il pericolo e l'altro. M. Horenstein

Leggi tutto