La Ricerca

Massa in Psicoanalisi (La)

4/03/22
William Kentridge, 2011  

William Kentridge, 2011  

La Massa

in Psicoanalisi

a cura di Laura Ambrosiano 

La nozione di massa è un tema centrale delle riflessioni di S. Freud nel secondo decennio del novecento. Il tema delle masse è uno sviluppo del precedente “Totem e tabù” (1912-1913), ma si allarga in un discorso ampio con i contributi successivi “L’avvenire di una illusione” (1927) e il Disagio della civiltà” (1929).

La massa, come fenomeno sociale e politico, ha dominato le vicende del XX secolo, e la conta dei morti ad essa riconducibile è stata poi uno choc per l’intera umanità.

Alla grande celebrazione del decennale della rivoluzione bolscevica, il 7 novembre 1927, la Piazza Rossa era piena di una folla oceanica, felice, commossa, inneggiante al paradiso rivoluzionario in terra. Parate militari si susseguivano, cortei di lavoratori che portavano a spalla il sarcofago della borghesia, o i pupazzi di Mussolini, Lloyd George e Chamberlain. Sembrava di vedere una moltitudine di uomini in marcia all’unisono verso un radioso avvenire. Nella massa c’erano anche molti intellettuali europei e americani, scandinavi, italiani, svizzeri, cileni, e così via, tutti egualmente emozionati al canto dell’Internazionale intonato in trenta lingue diverse. Tutti sembravano pensare che si stesse realizzando un sogno e ne parlavano tra loro, scambiandosi lettere e racconti. In quel giorno di novembre a Mosca c’era anche Romain Rolland che si sentiva tanto travolto dall’entusiasmo della piazza da considerare l’evento come un prototipo del “sentimento oceanico” di cui scriveva a Freud (H. e M. Vermorel 1993).

Nello stesso mese del 1927 usciva “L’avvenire di una illusione” (OSF 10) cui Freud stava lavorando da tempo. Il libro presentava una risposta ampia e precisa all’entusiasmo dell’amico Rolland, entusiasmo che Freud non condivideva; a quegli avvenimenti Freud guardava con lo scetticismo e il realismo di uno studioso attento al funzionamento delle masse.

Ma torniamo all’inizio del decennio.

Nell’estate del 1920 Freud va sulle Alpi, in vacanza, e porta con sé i libri di Le Bon, di Trotter, e quello di Mac Dougall appena uscito, sulla massa, appunto.

La domanda che Freud ha in mente è: cosa tiene unite le masse? Egli non è soddisfatto delle risposte disponibili fino a quel momento relative all’istinto gregario, alla suggestione o ad una sorta di inconscio collettivo. Freud intende cogliere un elemento emotivo, psicoanalitico, capace di spiegare l’aggregarsi degli individui in grandi gruppi.

In “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921) il riferimento alla massa è a due livelli: il primo si riferisce ad un fenomeno sociale disorganizzato e brutale, il secondo a masse organizzate e compatte, come per esempio, la chiesa e l’esercito. Ma in entrambi i casi ciò che sostiene la massa è, per Freud, una tensione emotiva e una condizione mentale che permea gli individui in modo indifferenziato.

La massa rappresenta per Freud un tipo particolare di connessione sociale che indica un funzionamento che elude il pensiero individuale e spinge i singoli verso la condivisione senza scarti delle idee dominanti.

Freud vuole individuare il meccanismo su cui poggiano questi fenomeni, e immagina un qualche legame libidico capace di rendere gli individui come granelli anonimi partecipi di una mentalità, condivisa senza l’apporto della riflessione personale.

Questo nesso emotivo viene individuato nell’identificazione, “la prima manifestazione di un legame emotivo con un’altra persona” (Freud ibid. 293).

Nel discorso di Freud la massa si fonda sulla identificazione con il padre arcaico, sulla aggregazione dei fratelli intorno allo stesso ideale dell’Io (paterno-arcaico), soggiogati da una comune fantasia egualitaria. Freud parla di identificazione ma nelle pagine successive sembra riferirsi più precisamente ad un meccanismo più arcaico, si tratterebbe infatti di una sorta di infezione psichica che insorge sotto la spinta di una vorace pulsione di essere tutto, di essere senza confini. Più avanti, nel 1927, Freud potrà descrivere in un modo più specifico questa dimensione, quando parlerà di una impregnazione psichica che si avvia nelle aree indifferenziate della mente, e che resta disponibile lungo l’intera esistenza, accanto a funzionamenti più separati.

Sulla base di queste ipotesi possiamo immaginare uno spazio mentale inconscio in cui l’individuo si impregna dell’umore e dell’atmosfera emotiva dell’ambiente: il bambino di quella dei familiari, l’adulto della mentalità inconscia del gruppo di appartenenza. Si tratta di una dimensione assimilabile al rapporto tra ipnotizzatore e ipnotizzato, di uno stato mentale quasi dissociato, uno stato di torpore ipnotico, una sorta di trance autoindotta che invade la mente e tiene sotto scacco funzionamenti più liberi ed evoluti (P. Rizzi 1999).

L’impregnazione offusca le distinzioni tra dentro e fuori, anzi essa partecipa a costituire l’apparato psichico e il suo funzionamento come contaminato dal mondo esterno. Basta pensare alle esperienze del lutto per toccare con mano l’intensità del desiderio appassionato di essere una sola cosa con l’altro (un altro mai raggiunto pienamente e sempre in parte perduto). In questo modo nel 1921 Freud presenta l’ipotesi di una mente estesa, costituita da uno spazio intrapsichico e da uno spazio gruppale e trans-individuale. Si tratta di una parte del nostro apparato psichico che eccede la soggettivazione, affonda nella specie, nel biologico, come nel gruppo.

Proprio all’avvio del lavoro Freud afferma che nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, pertanto la psicologia individuale è anche, fin dall’inizio, psicologia sociale. Per psicologia sociale egli sembra proprio intendere una connessione naturale che è alla base dell’Io, che viene così concepito come ibridato, piegato e arricchito dall’incontro con l’altro. La massa rappresenta una modalità di questa connessione, un funzionamento mentale che può riguardare gruppi, Istituzioni, ma anche coppie e famiglie.

In questa chiave, infatti, ogni gruppo, ogni famiglia, ogni istituzione può essere aggregata da un legame “a massa” in cui l’insieme è fondato su un movimento di aggiramento e diniego dei conflitti tra i membri, dei limiti e dei confini, e sulla intolleranza delle differenze, della caducità e della morte.

Una volta che un gruppo funzioni sulla base di meccanismi a massa, che l’elemento aggregante sia religioso, scientifico, o ideologico, esso necessita, per la sua sopravvivenza, di appoggiarsi sulla intolleranza nei confronti degli esterni. Questa sorta di identità “a massa” è intrisa di settarismo e di una appartenenza rigida che non accoglie la diversità se non per colonizzarla.

Per cui il movimento delle masse appare come un agitarsi senza pensiero, in cui sembra impossibile districare gli eventi e coglierne le ragioni. Le masse non sembrano dominate da fenomeni leggibili, piuttosto sembrano semplicemente dominate dal non pensiero, dalla ricerca di una libertà dal pensare, dai valori e dalle tensioni etiche, e perfino dal proprio volto e dalla propria individualità e specificità. La massa infatti consegna ciascuno ad un anonimato che oscura i tratti personali e che, proprio per questo, sembra offrire paradossalmente un senso di sollievo. Ciascuno è corpo e movimento, anche i confini tra i corpi diventano laschi, ci si tocca, ci si urta, ci si abbraccia, e ci si impasta.

La massa preme per una risposta istantanea che non consente pause, non una sosta di pensiero, essa risponde alle situazioni sulla base di un macchinario dell’istantaneo (De Monticelli 2013) . Il pensiero individuale si frammenta e le masse si spostano oltre il bene e il male, avvertendo solo la pressione alla sopravvivenza della massa stessa e della sua mentalità.

La massa, nota Freud, dà al singolo l’impressione di una potenza illimitata, quando è isolato il singolo si sente incompiuto, ma può adeguarsi e rendere così inoperanti le opzioni personali, ottenendo, in cambio, una base di condivisione e sicurezza. La condizione di psicologia di massa viene descritta come fondata sul timore che i sentimenti e i pensieri individuali siano troppo deboli per potersi far valere da soli.

La massa dà al singolo l’impressione che è pericoloso opporsi a essa e si è tranquilli se ci si adegua all’esempio che si mostra tutt’intorno, se si ulula con i lupi (Freud 1921).

In questo modo Freud ci mette in contatto con la drammaticità di un conflitto molto particolare e invasivo, quello tra soggettivazione e appartenenza, dalla sua descrizione, infatti, cogliamo questo dilemma: fuori dal branco si rischia la morte, a ululare con i lupi, dentro il branco, si rischia la morte del Sé.

Sembra che il singolo possa rinunciare al proprio modo di essere personale per lasciarsi impregnare dalla mentalità condivisa e così stare in armonia con gli altri, anziché contrapporsi a essi e affrontare i conflitti (Freud 1921). Questa armonia sostanzia la speranza delirante di poter avere tutti un destino simile, di poter avere giustizia e benessere uguali per tutti, qui sulla terra, e subito.

L’adesione al funzionamento mentale a massa, nelle parole di Freud, è connessa con il bisogno di sicurezza, e la fonte di sicurezza più efficace è per ciascuno l’appartenenza senza scarti ad un gruppo pieno di certezze, questa appartenenza promette di non lasciare mai soli. Si tratta della ingenua aspettativa di una benevola complementarietà (tra se stessi e il mondo) che rende il singolo adattabile, lo dispone a condividere qualsiasi cosa per conformarsi e appartenere. Per quanto questa inclinazione venga avvertita come naturale, essa rappresenta anche un rischio: quello di conformarsi-alienarsi nel gruppo, in un mimetismo che ostacola la soggettivazione e può portare a qualunque cosa.

Fino a questo momento la riflessione di Freud sembra anticipare le posizioni dei filosofi della fine del secolo scorso molto attenti a studiare i fenomeni collettivi. In particolare pensiamo alla definizione di Simone Weil (1957) del gruppo come un “gros animal” senza pensiero, ripresa oggi tanto da poter affermare che non esiste una intelligenza collettiva, che non esiste un soggetto plurale capace di pensiero (De Monticelli 2012). La definizione del gruppo come “gros animal” rende bene l’idea che Freud ci ha trasmesso del funzionamento quasi somatico della massa, della sua corporeità invischiante, della ottusità che essa può diffondere nei singoli tanto da innescare guerre, genocidi, terrorismo.

Ma il discorso di Freud non si ferma a questo livello, e, negli sviluppi successivi del lavoro del ’21, apre un ampio campo di ricerca per i suoi continuatori, culminante negli studi di W.R. Bion sui gruppi.

Infatti, nonostante le osservazioni fin qui proposte, Freud non vuole demonizzare la massa, anzi ne sottolinea le potenzialità creative quando scrive che l’anima della massa è capace di creazioni spirituali geniali, cosa dimostrata innanzitutto dal linguaggio e resta da assodare in quale misura il singolo pensatore o poeta sia debitore ai suggerimenti della massa in cui vive, e se cioè egli non si limiti a portare a compimento un lavoro mentale cui insieme hanno collaborato gli altri (Freud, 1921). Invece di demonizzare questa dimensione egli la interroga e cerca di individuare se e in quali condizioni la massa possa evolvere verso il pensiero e la tensione etica. Grazie a questa ricerca lo scritto di Freud offre importanti spunti sul gruppo inteso come crogiuolo di lavoro mentale e di pensiero. Vediamo i suoi passaggi.

Mentre esplora la massa come condizione mentale, Freud le giustappone un’altra condizione mentale: quella del padre, capo supremo e guida. Il padre primordiale, prototipo narratologico della condizione mentale individuale, è libero, non necessita di convalida. Mentre nella dimensione di appartenenza alla massa il singolo sente la sua volontà troppo debole, il padre primordiale è autonomo e scarsamente vincolato libidicamente, non ama nessuno all’infuori di sé, egli non cede agli oggetti nulla di superfluo.

Il padre primigenio personifica una condizione mentale narcisistica. Ma, in questo contesto, anticipando gli sviluppo successivi di Bion, il narcisismo sembra venire indicato come polo irrinunciabile dello sviluppo proprio perché esso mantiene viva la spinta alla separazione e alla individuazione.

Possiamo immaginare il personaggio del padre primigenio che “non cede agli altri nulla di superfluo”, che non si lascia impregnare dalla mentalità a massa, come il prototipo dell’Io emergente dalla condizione mentale di massa, grazie alla funzione organizzativa del narcisismo. Tale funzione organizzativa si frappone alla possibilità di influenzamento eccessivo da parte dell’altro.

Opporsi all’influenzamento da parte dell’oggetto ha effetti molto ampi come sappiamo, si tratta di un movimento che corre sul bordo del delirio, può produrre distacco e rottura dei legami con il mondo, ma anche apre alla possibilità di accedere a una identità organizzata sulle proprie differenze.

Nel 1921 Freud afferma che ogni individuo partecipa di molte anime collettive, ma che può sollevarsi al di sopra di esse fino a un minimo di autonomia e originalità, attraverso un transito trasformativo da una condizione mentale all’altra (Freud, 1921).

Tale transito viene individuato da Freud, nei Complementi all’opera, nella possibilità di mettersi al posto del padre (ideale-idea guida) e di introiettare e fare propri gli aspetti desiderabili dell’oggetto. Nella impostazione freudiana, in questo passaggio, troviamo l’identificazione edipica intesa come spinta alla evoluzione personale e alla rinuncia all’essere tutto promessa della massa. Questa introiezione non solo lascia andare l’oggetto e la sua idealizzazione, ma rinforza la struttura psichica arricchendone le risorse di creatività e amore. Questa trasposizione del singolo nel posto del padre può comportare momenti di trionfo e mania, ma, più naturalmente, comporta colpa-responsabilità per avere spodestato, messo di lato, il padre.

La psicoanalisi ha sottolineato che crescere, nella fantasia inconscia, è sempre avvertito come un atto trasgressivo, del resto la cultura stessa emerge dalla concorrenza battagliera tra le idee, non necessariamente sanguinosa.

Perché il gruppo si offra come luogo di pensiero, è importante che tolleri uno spazio profano della trasgressione (Gaburri 1999), cioè della possibilità di obiettare, dubitare, rimodellare i pensieri, allargare, tradire la tradizione gruppale alla ricerca di nuove vie di conoscenza e di sviluppo (M. Badoni 2016). Si tratta, appunto, della possibilità di recidere il legame appassionato con gli oggetti dati (genitori-mentalità-ideologie) e riconquistarli dentro di sé come nuove dotazioni personali.

Dissacrare le verità acquisite è un compito del gruppo stesso nella sua evoluzione, il gruppo ha bisogno di rivedere, smontare e indagare, nutrirsi della dialettica tra tradizione e tradimento, tra continuità e rottura. Da questa dialettica il gruppo evolve, da gruppo-massa va verso posizioni più complesse e articolate, si trasforma nel suo funzionamento mentale e organizza ampie costruzioni culturali.

Un gruppo capace di pensiero può essere immaginato come un luogo che lascia ai singoli uno spazio per coabitare, e uno per fare esperienza fuori casa, in una condizione mentale appartata.

Il gruppo stesso diventa allora un transito non coatto di messa in comune dei singoli punti di vista per il tempo necessario a trasformare l’insieme.

In ogni momento, secondo le circostanze, il gruppo può tornare ad addensarsi di appartenenza ottusa, e, in luogo di cultura e di evoluzione, può ricomparire il gros animal da cui ci si può aspettare di tutto.

Poi Freud continua dicendo che, dopo aver affrontato questo transito, il singolo sa, tuttavia, ritrovare il cammino che riconduce alla massa, va infatti e racconta alla massa il mito di un transito possibile verso l’individuazione, così anche gli altri componenti della massa potranno, identificandosi con l’eroe, condividere l’anelito verso l’emancipazione.

La sublimazione, la narrazione, il mito, viene, dunque, indicata come una attività psichica che offre la possibilità di svincolarsi dalla mentalità e dagli ideali dell’Io acriticamente condivisi. È una premessa questa per un ritorno al gruppo con una diversa capacità di partecipazione: come individui specifici capaci di scambio differenziato. Il gruppo, quando ha risorse di pensiero, ha una preziosa funzione di contenimento della paura della realtà, dei limiti, della morte.

In definitiva Freud, in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, attraverso il suo linguaggio personificato, descrive la relazione tra due condizioni mentali e i transiti dall’una all’altra, possibili lungo il corso dell’intera esistenza.

Veniamo ora al nesso tra massa e illusione.

Freud aveva guardato con scetticismo alle descrizioni della folla oceanica nella Piazza Rossa nel novembre del 1927, temeva le ideologie forti e compatte capaci appunto di aggregare le masse, per lui si trattava di illusioni condivise. Ma era anche consapevole che, per proteggere la mente che, nell’impatto con la realtà, potrebbe esplodere, abbiamo bisogno di illusioni. Per sporgersi ad accostare la realtà dobbiamo creare-nutrire illusioni (R. Valdrè 2016). Del resto le illusioni non sono menzogne, né deliri, ma danno parola alle nostre pulsioni, bisogni, desideri (Freud 1927).

Ma, quando le illusioni diventano ideologie forti e integraliste, esse evitano di fare il conto dei morti e dei danni, e allora affondiamo nella massa densa dell’ideologia e del conformismo (Gaburri Ambrosiano 2003). La massa si aggrega proprio intorno a illusioni dense e indiscutibili che offrono una illusoria protezione, ma, senza illusioni, rischiamo di cadere in una apatia sfiduciata che diffonde passività e inerzia mentale. Per questo, occorre immaginare che il farsi degli individui e della cultura sia una continua attività di costruire e poi smontare delle illusioni che, per un certo periodo, illuminano il percorso, ma poi si fanno rigide e decadono in pregiudizi e preconcetti.

Il discorso sulla massa trova così il suo complemento ideale in quello sull’illusione capace di dar luogo si ad aggregazioni scomposte e caotiche dominate dalla pretesa di essere tutto e di poter ottenere il paradiso in terra. Per impregnarsi anonimamente di una mentalità illusoria non occorre il pensiero, né un individuo differenziato, il conformismo corre in automatico.

Infine, non si può chiudere questa voce dell’enciclopedia psicoanalitica senza almeno accennare ad un’altra dimensione cui la nozione di massa allude: il sentimento oceanico. Questa ipotesi è al centro della affascinante corrispondenza, cui si è accennato all’inizio, tra Freud e Romain Rolland. Una parte importante del “Disagio della civiltà” (1929) è ad essa dedicato. La vicinanza, l’unisono, quasi corporeo, tra i membri impersonali della massa rimanda, secondo Rolland, come nella sua esperienza nella Piazza Rossa, ad un legame basico, emotivo, tra gli individui di una stessa specie con un comune destino. Freud non condivide questa ipotesi, la riconduce ad una regressione allo stato iniziale del neonato che si sente come senza confini, che si vive in una unità con il tutto, con la madre, con l’ambiente, con il mondo.

Ma che sia regressivo, come sostiene Freud, o che sia un elemento basilare della nostra umanità, come sostiene Rolland, le dimensioni dell’ in-comune e dell’unisono che cancella confini e differenze, ha potenzialità ed evocazioni tali da sottolineare la preziosa complessità del fenomeno della massa.

Bibliografia

Badoni M. (2016) Il buon uso del tradimento. Corruttori e corrotti. Ambrosiano Sarno (a cura di) Mimesis Milano

Donaggio E. (2016) Direi di no. Desideri di migliori libertà. Milano Feltrinelli

Gaburri E. (1999) Per un’etica profana. In Nuove geometrie della mente, Lorena Preta (a cura di) Bari Laterza

Gaburri E. Ambrosiano L. (2003) Ululare con i lupi. Conformismo e reverie Torino Bollati Boringhieri

De Monticelli R. (2012) La questione morale Milano Cortina

De Monticelli R. (2013) Sull’idea di rinnovamento. Milano Cortina

Freud : (1921) Psicologia delle masse e analisi dell’Io. OSF 9

Freud S. (1927) L’avvenire di un’illusione OSF 10

Freud S. (1927 b) Dostoevskij e il parricidio. OSF 10

Freud S. (1929) Il disagio della civiltà. OSF 10

Rizzi P. (1999) L’Istituzione ipnotica. Psiche, 7, 87-95)

Valdrè R. (2016) La morte dentro la vita. Riflessioni psicoanalitiche sulla pulsione muta. La pulsione di morte nella teoria, nella clinica e nell’arte. Torino Rosenberg e Sellier

Vermorel H. e M. (1993) Sigmund Freud et Romain Rolland correspondence 1923-1936 Paris PUF

Weil S. (1957) La persona e il sacro. Milano Adelphi 2012

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