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Neuroviventi

22/05/17
Neuroviventi

NEUROVIVENTI

Roma, 18 marzo 2017

Report dal Centro Psicoanalitico di Roma (CPdR) a cura di Angela Iannitelli e Lucia Monterosa

Sabato 18 marzo 2017, presso il Centro Psicoanalitico di Roma (CPdR), si è svolta la tavola rotonda Neuroviventi, il primo degli eventi del Ciclo Psicoanalisi e Neuroscienze: usi e abusi.

L’obiettivo della giornata di studio è stato quello di costruire un primo momento di interlocuzione critica tra il pensiero psicoanalitico e le linee di ricerca attuali all’interno del vasto panorama delle neuroscienze, riflettendo sulle ricadute che psicoanalisi e neuroscienze hanno sulle nuove concezioni ontologiche dell’umano.

A partire dal libro di Marco Pacioni, “Neuroviventi”, edito da Mimesis, Angela Iannitelli, psichiatra e psicoanalista del CPdR, ha coordinato il dibattito tra i relatori: Marco Pacioni (storico, docente di Storia del Rinascimento nel programma USAC dell’Università della Tuscia), Francesca Cirulli (Neurobiologo, Primo Ricercatore, Centro per le Scienze comportamentali dell’Istituto Superiore di Sanità, Roma) e Franco Conrotto (psicoanalista SPI, membro ordinario con funzioni di training, Napoli).

Marco Pacioni, nel suo intervento, ha sottolineato come l’influenza delle biotecnologie e delle neuroscienze abbia determinato un cambiamento direzionale della nostra attenzione che si è spostata dai rapporti sociali e dalla storia per concentrarsi sul cervello, identificato come la sede dell’identità personale, il luogo in cui si riassume l’individualità. Le neuroscienze, attraverso risultati conoscitivi che tendono a raggiungere evidenze a breve termine, mirano a circoscrivere un’unica essenza vitale. La vita viene dunque separata dall’umano per arrivare a isolare il materiale neurobiologico: il neurovivente. I fenomeni osservati vengono “separati” invece che “distinti”, senza tenere conto della loro complessità. Inoltre, in queste indagini scientifiche, il cervello non è solo l’oggetto di studio ma diventa un modello e, in quanto tale, assume la veste di sistema ontologico. In questa concezione vi è anche una implicita revoca della questione del pensiero, in quanto l’umano e il mentale finiscono per diventare epifenomeni del vivente e del cervello. Anche la svolta scientifica determinata dalla scoperta dei neuroni specchio avrebbe determinato una concezione in cui il pensare è visto come l’eco di un’azione già compiuta. Pacioni ha sottolineato anche la deriva di una certa psichiatria biologica che considera la patologia mentale come semplice conseguenza comportamentale di un errore, identificabile e potenzialmente correggibile. Inoltre, il modello uditivo e verbale delle psicologie sviluppatesi tra fine ottocento e novecento, tra le quali la psicoanalisi, viene sostituito dalle tecniche di brain imaging. Non c’è quindi più bisogno di ascoltare o leggere ciò che il paziente dice perché le neuroscienze osservano e misurano dati visivi e chimici. I farmaci assumono quindi la funzione di coadiuvanti necessari affinchè la normalità e l’equilibrio si mantengano efficienti. Le neuroscienze si muoverebbero in una prospettiva riduzionistica, attraverso cui ogni proiezione della persona retrocederebbe fin dentro il cervello. Il disagio psichico è trattato come un problema fisiologico interno all’organo fondamentale del neurovivente: il cervello. L’ambiente e la dimensione politica dell’umano vengono considerati fatti secondari. Da questa visuale, è lo stesso confronto tra natura e cultura a venire meno e si  toglie alla politica la possibilità di contribuire a delineare quale sia la dimensione dell’umano.

Franco Conrotto, partendo da una prospettiva storica, ha delineato l’andamento del confronto tra metapsicologia psicoanalitica e neuroscienze, iniziato negli anni cinquanta del secolo scorso.

In quel momento, la psicoanalisi era presente nel mondo accademico statunitense ma, in quel contesto, ne vennero messi fortemente in discussione i fondamenti scientifici da parte dalle teorie behavioristiche che erano ritenute discipline attendibili e verificabili. A seguito di ciò, si svilupparono nell’area nord-americana due correnti di pensiero. La prima rinunciava a pretendere che la psicoanalisi potesse essere soggetta ad una verifica scientifica, considerandola un’ermeneutica o una cura basata sulla relazione; tra i teorici di questa corrente si situano Kohut, G.S.Klein, Schafer. M.Gill, Spence e Storolov. La seconda corrente si impegnò a rifondare la psicoanalisi sulla base delle scoperte scientifiche nel campo neurobiologico; vi aderirono Holt, Rosenblatt e Thickstum. Nell’Europa continentale, soprattutto in Francia, si portò avanti una difesa dei principi metapsicologici freudiani; in Inghilterra il dibattito si polarizzò nel contrasto tra Anna Freud e Melanie Klein.

Conrotto nel suo intervento ha sostenuto come nessuna di queste correnti abbia reso un gran servizio alla psicoanalisi ma che oggi, alla luce delle scoperte neuroscientifiche, alcuni concetti fondamentali debbano essere rivisitati: in primis, la pulsione. Secondo il relatore, non sarebbe possibile oggi sostenere l’idea che i funzionamenti di un organo inviino degli stimoli direttamente a livello della mente. Non sarebbe inoltre plausibile nemmeno il concetto di pulsione di morte, così come è stato teorizzato nel 1920, cioè di una spinta organica che precede la nascita della vita. Alcuni Autori hanno tentato di giustificare questo concetto osservando il processo dell’apoptosi cellulare, attraverso cui le cellule avrebbero un programma di morte. Non sarebbe sostenibile il passaggio diretto dal somatico al mentale e viene proposta la seguente revisione della originaria formulazione teorica di questi concetti.

Negli animali, gli stimoli elettrici e chimici, a livello delle strutture cerebrali, si trasducono in un quid psichico che attiva comportamenti autoprotettivi (la fame, la sete, la riproduzione), a livello biologico si attivano degli schemi di azione (istinti). Gli organismi più evoluti, come l’homo sapiens-sapiens posseggono strutture più evolute a livello cerebrale e ciò permetterebbe che, accanto al processo trasduttivo, se ne determini un altro: la significantizzazione. Cioè, accanto alla protezione della vita, si affiancano altri processi che danno significato, questi ultimi, determinati dalla neurobiologia, si sovrappongono agli schemi autoconservativi ma seguono schemi di piacere psichico. La sessualità a questo livello è un sessuale-presessuale, che nasce con l’infans e, come teorizza Laplanche, è un piacere eccitatorio che crea piacere di senso. Quindi, agli schemi di azione, si sovrappongono schemi sensoriali inconsci che costituiscono la base dei fantasmi originari. Conrotto, nel suo intervento, ha fatto riferimento alla teoria di Daniel Widlöcher quando quest’ultimo parla della trasformazione degli schemi di azione in schemi di senso, che sarebbero analoghi ai processi attinenti alla nascita del linguaggio. Il processo di significantizzazione potrebbe definirsi, secondo Conrotto, come una semantica generativa trasformazionale che non avrebbe solo lo scopo di comprendere, ma anche di creare una scenario di pensiero fantasmatizzante. Il merito della psicoanalisi è stato quello di descrivere i contenuti significativi di questo universo di significati. Si potrebbe parlare di pulsione a livello metaforico come “pulsionale senza pulsione” . In conclusione, viene fatto un riferimento alla teoria cartesiana: senza res extensa non ci può essere psichismo, ma le leggi di funzionamento di quest’ultimo seguono delle regole che non sono sovrapponibili a quelle della neurobiologia, così come il linguaggio non può sovrapporsi a quello dei circuiti cerebrali.

Francesca Cirulli ha aperto il suo intervento ricordando che da neurobiologa ha interesse per la psicoanalisi come disciplina complementare alle neuroscienze, che hanno fallito non tanto nel loro aspetto euristico quanto nella capacità di estendere i risultati alla cura dei malati. Ricorda come dopo circa trent’anni di investimenti nella ricerca farmacologica, ci si trovi difronte ad un panorama stantio con pochi nuovi farmaci e, di certo, non innovativi. A fronte della crisi delle neuroscienze, la psicoanalisi torna prepotentemente sulla scena e, quindi, non deve “scientificizzarsi” ma tenere fede a tutto ciò che l’ha tenuta in vita finora e cioè la capacità di ascolto, di analisi e di cura. Quello che manca, infatti, alle neuroscienze è la capacità di cogliere l’individuo nella sua storia, nella sua soggettività, come qualcosa di unico e non riduzionisticamente riconducibile a circuiti cerebrali. Progetti europei, come lo Human Brain Project, o statunitensi come Brain, sono l’espressione più alta di questo errore. Molti fondi sono stati affidati a pochi gruppi di ricerca che devono spiegare il cervello, quelle specifiche connessioni neuronali, non considerando che quei circuiti sono specifici della storia di quel soggetto. Oltre la teoria darwiniana, oggi noi sappiamo, grazie all’epigenetica, che l’esperienza può modificare il nostro DNA. Noi siamo dunque le nostre esperienze che possiamo trasmettere alla prole, come memoria biologica. Possiamo dunque reinterpretare i fantasmi in questo modo. La psicoanalisi rimette al centro il soggetto anche come metodo! La storia dell’individuo ha a che fare con la memoria autobiografica e biologica; questo è fondamentale non solo in termini di studio dell’umano ma anche per la cura. E’ evidente che alla luce di queste premesse, non si può che considerare la neuropsicoanalisi come un artefatto del metodo psicoanalitico che rischia di allontanare la psicoanalisi dalla sua funzione fondamentale: la cura. Anche il farmaco nasconde un rischio che è quello di indirizzare l’individuo. La scelta del farmaco, la posologia e gli effetti prodotti indirizzano l’individuo che non necessariamente deve essere lo stesso per tutti. Il rischio è cioè quello di un “controllo dei corpi”, un metodo di omologazione delle differenze umane.

Alle relazioni è seguito un dibattito molto ricco che ha visto la partecipazione di neurobiologi, neurologi, psicoanalisti e psichiatri. I temi principali affrontati sono stati la tensione verso una validazione scientifica, della stessa psichiatria, che si imbatte contro molti ostacoli. I modelli messi a punto non sono adeguati e spesso sono frutto di una funzione creativa nel tentativo di padroneggiare il mistero (Iannitelli). L’epigenetica sembra essere un modello utile anche per la psicoanalisi, disciplina che da alcuni Autori è considerata una “epigenetic drug” (Iannitelli). Il tema della soggettività e delle caratteristiche di unicità di ogni essere umano in relazione agli effetti e alla complessità della somministrazione dei farmaci può essere letta attraverso la lente delle serie complementari (Izzo, Roma). Il tema dei rapporti soma-psiche sono affrontati da alcuni studi sui cambiamenti strutturali di specifiche aree cerebrali in seguito a percorsi psicoterapeutici, modificazioni che sono presenti anche a livello relazionale. Tutte le esperienze determinano modificazioni neurobiologiche (Conrotto). Fondamentale il tema della trasformazione dell’universo simbolico nell’umano, così come la non conoscenza dell’universo umano prima del linguaggio (Pacioni). La ricerca di una epistemologia fondamentale è, secondo Pacioni, la costruzione di una favola, così come descrivere un essere umano prima del linguaggio. Il tema della plasticità cerebrale viene ripreso da Cirulli che ricorda come studi recenti attestino che il funzionamento di alcuni farmaci è influenzato dalla plasticità del cervello e, quindi, dagli stati mentali. La plasticità non è univoca e può essere indirizzata dalla psicoanalisi. Le neuroscienze possono chiedere alla psicoanalisi ciò di cui hanno bisogno in una complementarietà reciproca. Rispetto al rapporto soma-psiche, Cirulli sottolinea l’importanza delle emozioni nell’influenzare il pensiero e gli organi periferici. Lo stato di salute è legato ad un sistema (organi-cervello) in interconnessione con l’ambiente esterno. Sono le emozioni a tirare le fila della salute del corpo. Conrotto ritorna sul tema del linguaggio ricordando che accanto alla capacità congenita grammaticale, l’uomo ha sviluppato un universo di significazione. Molti dei fondamenti scientifico-biologici della metapsicologia non possono essere mantenuti alla luce delle nuove scoperte scientifiche. Branchi (ISS, Roma) interviene ricordando che le neuroscienze e la neurobiologia sono in profonda crisi a causa di una metodologia di approccio di genere riduzionista. Ricorda come la scoperta del codice genetico da parte di Crick, che era un fisico, abbia risentito di una tensione verso un sistema perfetto mentre il sistema biologico non lo è. Interpretare un fenomeno biologico implica l’uso di modelli adeguati. Balsamo (Roma, Paris) è intervenuto richiamando l’attenzione sul fatto che ci sono molte antropologie, molte psicoanalisi. Forse, propone, andrebbe abbandonata l’idea che una cosa sia vera o falsa; per esempio, l’affermazione che l’anatomia è destino è contemporaneamente giusta e sbagliata. Oscilliamo tra la necessità di avere dei limiti e di farne a meno: la cultura umana gioca tra questi due bisogni.

La giornata è stata conclusa da Iannitelli che ha sottolineato l’importante momento storico che la psicoanalisi sta attraversando, la fondamentale rinuncia a un appiattimento “neuropsicoanalitico” verso le neuroscienze che stanno mostrando le loro fragilità metodologiche, quando applicate al ”mentale” e il coraggio necessario ad un dialogo paritario con le altre discipline.

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