La Ricerca

Nota sul Social Dreaming. Mario Perini

12/12/25
Social Dreaming al Centro Psicoanalitico Fiorentino. A cura di S. Maestro 1

Foto: Federica Campanaro / Unsplash

Parole chiave: inconscio sociale, istituzione, matrice, sogno, Tavistock Clinic

NOTA SUL SOCIAL DREAMING

Mario Perini

   Social Dreaming [SD] (“sogno sociale”) è il nome che Gordon Lawrence ha dato al suo metodo di lavoro sui sogni, consistente nel fatto che essi vengano condivisi e ricevano associazioni e amplificazioni di significato all’interno di un insieme di persone che si riuniscono a questo scopo.

   In questo particolare contesto – che Lawrence ha chiamato “matrice” per distinguerlo dal gruppo con le sue peculiari configurazioni e dinamiche relazionali – il sogno non è più una proprietà del sognatore (come ad es. nell’esperienza psicoanalitica) ma diventa un prodotto collettivo dei membri della matrice i quali per il suo tramite possono accedere a pensieri nuovi che sono in relazione con l’ambiente e con la realtà sociale e politica di cui essi fanno parte.

   La matrice del SD non è un gruppo, ma un setting di lavoro di tipo esperienziale, e le sue finalità non sono terapeutiche bensì esplorative, di ricerca-azione e di trasformazione creativa del pensiero. Il focus del SD non è sul “gruppo” dei partecipanti, ma sul sogno come catalizzatore del pensiero e come accesso all’inconscio sociale[1]. L’esperienza emotiva che permette al sogno di generare nuovi pensieri non è quella del singolo o della coppia (come nel lavoro sul sogno in analisi), ma quella di un campo multipersonale: gruppo, società, organizzazione, tribù, collettivo, razza, specie.

Compito del SD è trasformare i processi di pensiero attraverso un’esplorazione dei sogni che opera più sul processo che sul contenuto, impiegando come metodo di indagine non tanto l’interpretazione, quanto piuttosto la libera associazione, l’amplificazione tematica e il pensiero sistemico per creare collegamenti e connessioni e liberare pensieri nuovi. Potremmo dire che il SD utilizzi – per citare una nota metafora bioniana – una visione binoculare che prende in considerazione sia la comprensione  cosciente che quella inconscia-infinita, e le collega sistemicamente, differenziandosi in ciò dagli approcci di tipo monoculare che mirano a trovare soluzioni locali, a breve termine, solo dalla prospettiva cosciente e privilegiando un vertice unico, sia esso una particolare scienza, la religione, la razza, l’interesse privato, il bisogno di sopravvivenza, l’angoscia di separazione ecc. La metodologia del SD ha come scopo la ‘rivelazione’ piuttosto che la ‘salvezza’: in altre parole si propone lo sviluppo di nuovi pensieri anziché la ricerca di soluzioni immediate.  

   In sintesi possiamo dire che il SD è una tecnica di lavoro che valorizza “il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione non del mondo interno dei sognatori, ma della realtà sociale ed istituzionale in cui vivono” (Neri, 2001).

   Gordon Lawrence, pur muovendosi all’interno del paradigma psicoanalitico ed essendo passato attraverso un’esperienza analitica, non è un analista, ma uno psicologo sociale, e proprio per questo si è “permesso” di usare il sogno in modo così anticonformistico, come “via regia” all’inconscio sociale (idea prossima a quella junghiana di inconscio collettivo) e come creazione anonima multipersonale (un “sogno in attesa di sognatore”, scrive, parafrasando Bion).

   Come è arrivato a concepire questo metodo di lavoro? Le esperienze che l’hanno sollecitato in questa direzione sono sostanzialmente le seguenti:

  1. la constatazione che i sogni offerti in situazione di gruppo spesso vanno al di là della vita personale del sognatore e parlano della vita del gruppo;
  2. l’uso che i popoli primitivi fanno dei sogni come mezzo per spiegare la vita quotidiana o per avere visioni profetiche sul futuro;
  3. il racconto che Jung fa in Ricordi, sogni e riflessioni (1964) della propria esperienza di sogni e visioni intorno ad avvenimenti politici;
  4. la lettura del saggio di Charlotte Beradt, Il Terzo Reich dei Sogni (1968), nel quale sono descritti centinaia di sogni di cittadini tedeschi negli anni 1933-39 da cui emergono espliciti riferimenti agli eventi politico-sociali della Germania nazista.

   Nel 1982 Lawrence – facente parte allora dello staff di ricercatori del Tavistock Institute di Londra – sviluppò un approccio alle relazioni di gruppo centrato sul concetto di connessione (relatedness), che è il modo in cui l’esperienza e il comportamento dell’individuo riflettono e sono strutturati da modelli consci e inconsci del gruppo e dalla sua “organizzazione-nella-mente”[2]. Lungo questa linea d’indagine egli organizzò presso il Tavistock le prime matrici di Social Dreaming insieme alla collega Patricia Daniel. Fu la stessa Daniel a proporre il termine “matrice” – già impiegato da Foulkes in altri contesti – per evitare di ricorrere a un termine troppo saturo come “gruppo” e per focalizzare l’attenzione sul sogno e su un collettivo di persone che sogna e lavora sui propri sogni.

Nel 1988 Lawrence attuò in Israele con la collaborazione di OFEK[3] le prime applicazioni del SD alla formazione professionale e manageriale e alla consulenza organizzativa.

La matrice del SD accede alla visione inconscia propria di ciascuna persona. La moneta di scambio nella matrice è il sogno, non la relazione fra i sognatori o le dinamiche del gruppo; l’accento è sulle libere associazioni e sull’espansione dei significati di un particolare sogno (amplificazione tematica) per promuovere il pensiero laterale e sviluppare la “capacità negativa”[4] dei partecipanti, ossia la capacità di tollerare il dubbio e l’incertezza senza rifugiarsi in spiegazioni premature. Nella matrice i sogni rivelano nuovi significati, il pensiero si espande e si creano prospettive e angoli di visuale inaspettati da cui possono nascere pensieri nuovi e può conseguire il cambiamento.

In termini psicodinamici la matrice non è propriamente un gruppo, ma piuttosto uno spazio creativo, un universo emotivo e pensante in larga parte implicito e non espresso in parole, nel quale viene a rispecchiarsi nella veglia il mondo inconscio/infinito del lavoro onirico che ha luogo durante il sonno. La sua peculiare configurazione si adatta ai processi stessi del sogno: essa dà conto, infatti, della natura sistemica del sognare, perché i sognatori non sognano solo dalla propria nicchia ecologica, cioè nel legame con l’ambiente generato dal proprio mondo interno, ma sognano anche temi che sono sistemicamente e socialmente connessi con il mondo esterno e i suoi paradigmi socio-culturali.

 La matrice può essere dunque considerata come espressione dello spazio mentale collettivo che sta alla base di tutte le relazioni interpersonali; in questo spazio è possibile catturare, formulare più liberamente e condividere echi dei pensieri che abitano il luogo della mente in cui ciascuno di noi è connesso con l’ambiente sociale, culturale, naturale. È per questo che la matrice permette l’accesso all’inconscio sociale e all’”organizzazione-nella-mente” dei partecipanti.

Il setting della matrice di SD comprende un collettivo di persone – da 10 a 50 e anche oltre – che si riuniscono in una sala dove le sedie sono disposte o a spirale oppure in piccoli aggregati (cluster) a formare una sorta di stella o di “fiocco di neve”, assetti che mirano a minimizzare l’effetto delle dinamiche gruppali. Con loro sono presenti uno o più conduttori il cui ruolo è quello di fornire associazioni e pensieri, senza saltare alle conclusioni o affrettarsi a dare interpretazioni, e di promuovere nei partecipanti il pensiero sistemico, ossia una riflessione che colleghi costantemente l’esperienza dell’individuo con l’insieme o il sistema a cui questi appartiene.

Le procedure di lavoro nella matrice sono piuttosto semplici: una persona del gruppo porta un sogno e le proprie eventuali associazioni; gli altri partecipanti possono connettersi al sogno o costruire su di esso in diversi modi:

  • portando delle libere associazioni;
  • riferendo altri sogni;
  • essendo disponibili a pensare e a comunicare i propri pensieri.

È importante osservare come per partecipare alla matrice non sia indispensabile portare dei sogni, al limite nemmeno dei contributi espliciti (si può benissimo restare a pensare per conto proprio), e anzi sebbene sia consigliabile, non è neppure richiesto l’impegno ad essere sempre presenti, nuovi arrivati possono aggiungersi in qualsiasi momento e i partecipanti possono andarsene prima della fine.

Le matrici di SD sono sessioni della durata di un’ora e mezza, che possono essere isolate o ripetersi con varia cadenza e periodicità. Ad esse fanno seguito o si alternano altri tipi di eventi:

  • il dialogo (thinking group),cioè il luogo dove i membri del gruppo osservano i pattern che connettono i sogni e i pensieri emersi nella Matrice, ponendo delle domande, aggiungendo pensieri e argomenti che producono delle amplificazioni tematiche, tentando delle costruzioni di significato, più nel senso aperto ed insaturo delle “ipotesi di lavoro” piuttosto che in quello chiuso e saturato dell’“interpretazione”. Anche il conduttore offre riflessioni e ipotesi di lavoro su temi rilevanti per il gruppo.
  • la sessione di consulenza reciproca;
  • la sessione di analisi di ruolo (o di sintesi creativa di ruolo) utilizza i sogni emersi nella Matrice o nella vita esterna per identificare gli enigmi e le sfide che tutti i partecipanti incontrano nella loro vita e che si collocano a ridosso dell’esercizio del loro ruolo nei sistemi organizzativi.
  • l’evento sistemico, che ha il compito di creare un sistema – un’organizzazione transitoria – finalizzato a sviluppare l’apprendimento dall’esperienza, dove i partecipanti sono liberi di pensare e di organizzarsi come vogliono per realizzare le finalità dell’evento ed i conduttori operano nel ruolo di consulenti.

   Nei seminari più finalizzati alla formazione manageriale e alla consulenza organizzativa i dialoghi e le altre sessioni sono maggiormente orientati al lavoro e alla realtà, e le riflessioni dei partecipanti più centrate sull’applicazione dei pensieri della matrice alla pratica lavorativa, ai ruoli svolti nelle organizzazioni reali e alla ricerca di soluzioni creative ai problemi.

L’esperienza del SD mostra come la realtà sociale e il sognare siano inestricabilmente intessuti tra loro. Lavorando nelle matrici e negli altri eventi esperienziali i partecipanti colgono l’evidenza che i sogni parlano delle loro paure inconsce, delle loro speranze e delle loro prospettive in rapporto con i contesti sociali nei quali vivono e operano. 

Usando il Social Dreaming come strumento di ricerca culturale possiamo esplorare temi basilari come la famiglia, il lavoro, le relazioni con gli altri significativi, il ruolo svolto nelle organizzazioni, sviluppando ipotesi di lavoro sullo stato di quello che sentiamo essere il nostro mondo contemporaneo allo scopo di immaginare che cosa potrebbe divenire.

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(in grassetto i testi tradotti in italiano)

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[1]   Il concetto di “inconscio sociale” si riferisce all’esistenza e all’azione vincolante di disposizioni sociali, culturali e comunicative di cui le persone non sono a conoscenza, in quanto tali disposizioni non sono percepite (non ‘note’), e se percepite, non riconosciute (‘negate’), e se riconosciute, non considerate problematiche (‘date per scontate’), e se considerate problematiche, non considerate con un grado ottimale di distacco e obiettività”. (Hopper, 1996: 9).

[2] Per ”organizzazione-nella-mente” intendiamo “l’ampia costellazione dei miti, dei preconcetti e delle fantasie inconsce di cui è fatta l’immagine soggettiva che si ha di una organizzazione e in particolare delle relazioni che intercorrono tra individui e gruppi e tra gruppi al suo interno. Con una parafrasi, l’organizzazione conosciuta ma non pensata”. (Armstrong, 1997)

[3] OFEK è un’organizzazione scientifica e formativa fondata in Israele nel 1986 per lo studio delle relazioni gruppali, organizzative e sociali secondo l’approccio psicodinamico-sistemico del Tavistock Institute. Tra i suoi membri figurano diversi psicoanalisti, come Shmuel Ehrlich, Mira Erlich-Ginor, Rafael Moses, Avi Nutkevitch e Josef Triest.

[4] Per “capacità negativa” è da intendersi “quella capacità che un uomo possiede se sa perseverare nelle incertezze, attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare ad una agitata ricerca di fatti e ragioni.” (J. Keats, cit. da Bion 1970, p.169)

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