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Il Nobel 2021. Parisi e i sistemi complessi. A. Falci

11/10/21
NAM JUM PAIK, 1992-1996

NAM JUM PAIK, 1992-1996

Il Nobel 2021.  Parisi e i sistemi complessi

Amedeo Falci

Al di là del compiacimento per il Premio Nobel 2021 assegnato al fisico Giorgio Parisi, professore emerito di Fisica teorica alla Sapienza di Roma, congiuntamente ai meteorologi Manabe e Hasselmann, e al di là della difficoltà di esposizione, anche divulgativa, dei suoi contributi nella fisica delle particelle elementari, nella fisica matematica, nella fisica statistica, nei fenomeni della risonanza stocastica per lo studio dei cambiamenti climatici, sono i suoi apporti alle teorie dei sistemi complessi che appaiono degni di  attenzione da parte degli psicoanalisti, e soprattutto da quanti auspicano una svolta di ricerca per la psicoanalisi.

Perché mai le teorie dei sistemi complessi meriterebbero attenzione da parte della psicoanalisi? Detto con estrema semplicità, perché quell’ancoraggio alle scienze della natura (Naturwissenschaften) che è stato un punto di costante riferimento per Freud, seppure tra tante oscillazioni, e che oggi più che mai appare essenziale per una psicoanalisi aggiornata e con una sua rinnovata attestazione tra le scienze della mente, quell’ancoraggio, dicevo, oggi non tiene più. Perché quell’idea di ‘natura’, valida cento anni fa, semplicemente non è più esistente.

Le ispirazioni iniziali di Freud erano legate ad una razionalità di tipo deterministico, ad una semplificazione scientifica allora vigente che privilegiava le concatenazioni causali lineari nei sistemi isolati. Ricorderei solo le ipotesi meccanicistiche e neurofisiche del Progetto, il determinismo degli atti psichici, gli equilibri economici dentro un sistema chiuso, l’analogia degli investimenti dell’Io come pseudopodi di un organismo ameboide isolato dall’ambiente nell’Introduzione al narcisismo, la rappresentazione grafica della psiche come sistema isolato vescicolare de L’Io e l’Es, la linearità dello sviluppo psicolibidico, la linearità deterministica retroattiva della psicopatogenesi ascritta alle prime fasi della vita evolutiva (ricorderei l’impressionante, e non macchiata da incertezze, ricostruzione della psicopatogenesi dell’Uomo dei lupi a certi precisi eventi a un anno e mezzo di vita).

Nei sistemi lineari i vari modelli e sistemi di spiegazione possono essere per l’appunto studiati come settori indipendenti gli uni dagli altri; questo ne facilita lo studio e l’analisi, senza dover considerare le interrelazioni totali del sistema. Ad esempio, i cosiddetti disturbi ossessivo-compulsivi per la psicoanalisi hanno sempre avuto una linearità retroattiva diretta con le fissazioni anali. Senza mai considerare, purtroppo, la genesi plurifattoriale e il ruolo, tra altro, della neurobiologia disfunzionale nigro-striatale.

La semplificazione e circoscrizione a funzionamenti lineari e unisistemici dei fenomeni naturali era il modello epistemico aureo dell’800, che ha nondimeno determinato il grande balzo in avanti delle scienze. Freud ricade pienamente in questo modello. E, credo, anche la psicoanalisi attuale. Ad esempio: (quasi) tutta la psicopatologia attribuita alle vicissitudini del mondo interno dei bambini tra 0 e i 12 mesi, a che cosa corrisponde se non a questo modello retroattivo lineare di una semplificazione oggi inaccettabile?

La messa in crisi del determinismo lineare, della causazione, della prevedibilità degli eventi, e al contrario la maggiore importanza riconosciuta al ruolo delle contingenze, — vale a dire al ruolo delle imprevedibilità che mettono in dubbio la prescrittività e necessità di normatività scientifiche — hanno posto radicalmente in discussione quel modello di natura a cui tuttavia la psicoanalisi appare tradizionalmente ancora molto vincolata.

I modi di evoluzione dei saperi scientifici e umanistici, negli ultimi decenni, hanno sviluppato modelli diversi di approccio alle osservazioni dei fenomeni naturali in cui le conoscenze, gli stessi oggetti di indagine, non si collocano in relazioni lineari dentro sistemi chiusi, e non a un solo livello di realtà e di osservazione.

Uno dei meriti di Parisi, ed è uno dei motivi per cui la SPI si unisce al plauso per il meritato riconoscimento, è di avere contribuito, con la sua ricerca di statistica fisica, alla applicazione dei modelli di sistemi complessi allo studio dei cambiamenti climatici.

Ma rientrando nell’interesse per la psicoanalisi, che cosa vuol dire modello dei sistemi complessi applicato ai sistemi biologici? Vorrebbe dire passare da un’idea sorpassata di organismi e sistemi singoli (il corpo, la psiche, il soggetto, l’oggetto, l’apparato istintuale della monade), ad una concezione di sistemi in interazione. Cha cosa intenderemmo per sistema? Intenderemmo un insieme funzionale (il corpo umano, ma anche lo stato, ma anche il clima) di funzioni integrate e interrelate con altri sistemi, in cui le regole di interazioni sono locali e non centralizzate, e non obbediscono a regole di istruzione più alte o centralizzate. Ecco, questa è la mente. Le regole di interazione e gli esiti non sottostanno a leggi deterministiche ma a regole probabilistiche, da cui lo studio attraverso l’applicazione di metodi di rilevazione statistica. Che tuttavia non fanno parte del nostro metodo.

Per quello che sappiamo oggi, l’organismo è un insieme, una correlazione inestricabile di vari sistemi interconnessi. Mente e corpo si presentano come un’organizzazione di più sistemi complessi integrati secondo modi che ancora non ci sono pienamente chiari; sistemi certamente non dotati di causalità e prevedibilità lineari. Ecco perché anche il coraggioso tentativo freudiano di fondare una psicologia sulla neurofisica di elementi primari e su una ipotetica energia come primum movens della psiche, appaiono oggi del tutto improponibili, e fuori da ogni plausibilità nelle alle attuali epistemologie delle scienze della natura. Venendo meno un dio-energia al centro della psiche, desacralizzato un Ur- (il prima) all’origine di tutte le cose, i sistemi complessi possono forse aiutare a spiegare come la mente sia un nome convenzionale con cui ci riferiamo a sistemi autogenerati, autosostenuti, dotati di autoregolazione retraoattiva (feed-back), e di capacita adattive.

Pensare in termini di complessità appare un’interessante sfida per una psicoanalisi 2.0 — vale a dire una psicoanalisi messa a pari della modernità non tanto tecnologica quanto scientifica — non solo per una nuova e più fertile capacità di leggere le interazioni tra corpo e mente all’interno di interazioni dinamiche complesse non più intrise di un implicito dualismo, ma anche per una più aggiornata ed efficace comprensione delle psicopatologie viste in relazione alla disfunzionalità tra i vari sottosistemi.

Non ultimo, la potenzialità euristica dei modelli complessi di farci comprendere le interazioni tra sistemi, potrebbe conferire una nuova luce alla nota questione dei rapporti tra la psiche del bambino e l’ambiente. Questione che già, da come è linguisticamente posta, appare di difficile soluzione: come rapporto tra due materie eterogenee. Molto più presumibilmente bambino ed ambiente (umano) ‘si riconoscono’ perché sono sistemi ‘preistruiti’ (dall’evoluzione della specie e della mente) per il riconoscimento e l’interazione reciproca. Quindi nessun ‘miracolo’. I sistemi del bambino ‘riconoscono’ i codici dei sistemi materni, i sistemi materni ‘riconoscono’ i codici dei sistemi del bambino. Spesso, (e per fortuna quasi sempre) comincia cosi. Pensare in termini di sistemi complessi passa però attraverso il lutto rispetto ad una implicazione teologica di fondo: la credenza che esista un Movente Originario al centro di tutto o Meta-Leggi regolative generali. Il mondo è molto verosimilmente caos autoregolato di tanti sistemi interdipendenti, ma funziona lo stesso.

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