La Ricerca

La disumanizzazione visiva dei rifugiati. Sintesi di C. Pirrongelli

19/04/19
La disumanizzazione visiva dei rifugiati. Sintesi di C. Pirrongelli

Tsakiris, Azevedo, De Beukelaer, Jones, Safra – When the lens is too wide: the visual dehumanization of refugees and its political consequences.

 

«Quando l’obiettivo è troppo ampio: la disumanizzazione visiva dei rifugiati e le sue conseguenze politiche».

 

Sintesi di Cristiana Pirrongelli

Manos Tsakiris, Ruben T. Azevedo, Sophie De Beukelaer, Isla Jones, Lou Safra (2019) When the lens is too wide: the visual dehumanization of refugees and its political consequences. Preprint DOI doi:10.31234/osf.io/y69sq-Created on January 16, 2019, last edited January 16, 2019, supplement materials osf.io/ap9f710.31234/osf.io/y69sqsyArXiv. January 16. 

 

In uno studio del 2019, ancora in corso di pubblicazione ma comparso sull’ultimo numero di Neuropsychoanalysis, Manos Tsakiris e altri colleghi, hanno messo in luce come una rappresentazione fotografica disumana dei rifugiati possa avere delle conseguenze politiche. Tsakiris è uno psicologo sperimentale che lavora presso il Royal Holloway Warburg Institute di Londra e proviene da studi di filosofia oltre che di psicologia. Da tempo si occupa dei processi che sono alla base della percezione e dell’evoluzione del senso di sé dal punto di vista della percezione. In questo studio sono stati predisposti una serie di esperimenti che, con tecniche varie, hanno verificato la risposta emotiva e cognitiva dei partecipanti alla visione di foto di rifugiati in larghi o piccoli gruppi, in mare aperto e in altri contesti. Il primo esperimento ha mostrato come foto di larghi gruppi di rifugiati, rispetto a piccoli gruppi, diano luogo, nella percezione, all’impressione di un certo grado di disumanizzazione dei rifugiati, con la conseguenza che le emozioni di compassione, colpa e tenerezza vengono inibite, indipendentemente dal nostro orientamento politico e dalle nostre abitudini sociali. Tutto ciò non accade se si sottopongono immagini di persone che sopravvivono a disastri naturali che solitamente non hanno a che fare con le politiche socio-culturali che accompagnano l’ingresso dei rifugiati.

Nel secondo studio, si è aggiunta la variabile del mare aperto come situazione ulteriormente disumanizzante, che può rinforzare il peso ideologico e che serve a designare ulteriormente l’immagine che supporta.

Nel terzo studio, si è indagato riguardo alle intenzioni percepite dalle persone esaminate rispetto ai valori morali dei rifugiati in quanto ad attendibilità, senso di fraternità, «calore», bontà etc.

Nel quarto studio si è cercato di capire se i piccoli gruppi siano percepiti in modo più umano rispetto a quelli grandi e si è constatato quanto le dimensioni dei gruppi fotografati e la conseguente anonimità delle figure presenti, influenzino la valutazione esplicita delle immagini fotogiornalistiche. Queste raramente vengono presentate isolatamente da «metadati» come testi, articoli, notizie o titoli che contestualizzino le immagini. Questi «metadati» possono essere pensati come un embedding, un’incorporazione, un ri-orientamento e una potenziale ricontestualizzazione degli effetti dell’immagine. La questione su come le immagini operino in relazione alle parole, rimane ancora dibattuta, e ci si domanda se gli effetti combinati di immagini e titoli siano additivi o interattivi, dando luogo al quinto studio che si è focalizzato proprio sul risultato di diverse combinazioni tra titoli e immagini.

Il sesto studio si è proposto di testare quanto le esposizioni a gruppi piccoli o grandi possano influenzare il comportamento politico nel senso di promuovere una tendenza pro o anti petizioni per i rifugiati, mentre nel settimo studio si è analizzato se la tendenza politica che la cornice visiva è in grado di condizionare, si possa estendere a influenzare le scelte delle persone verso i leader politici. I risultati hanno mostrato che, dopo aver visto immagini di grandi gruppi di rifugiati, i partecipanti hanno mostrato maggiore preferenza per un leader politico dominante, meno affidabile ma che dia un minor sostegno alle politiche pro-rifugiati, evidenziando le conseguenze politiche di tale esposizione visiva.

 

Discussione

Mentre i cambiamenti pro-sociali negli atteggiamenti e nel comportamento in risposta alle immagini iconiche di vittime ben identificabili sono ben documentate, i potenziali effetti delle più comuni inquadrature visive dei gruppi degli stranieri (out-group), in particolare dei rifugiati, sono stati trascurati. In questi studi, si è indagato se e come l’esposizione a nuove immagini possa esercitare un potere sul modo in cui si percepisca e ci si comporti politicamente nei confronti dei rifugiati, altamente stigmatizzati come stranieri (out-group). Studi umanistici e di scienze sociali hanno suggerito che forme specifiche di inquadrature visuali portano a rappresentare le persone in modo disumano. In linea con questa visione, si dimostra che la raffigurazione di rifugiati in grandi gruppi è veramente un modo meno umano di visualizzarli (studi 4-5).

Gli autori non si sono limitati a valutazioni esplicitate a voce su richiesta. È importante sottolineare che gli autori sono andati oltre, misurando empiricamente gli effetti che l’esposizione a diverse inquadrature visive aveva sugli atteggiamenti impliciti degli spettatori nei confronti dei rifugiati.

I risultati, (studi 1-3) dimostrano che l’esposizione all’attuale quadro visivo dominante dei rifugiati, vale a dire quello dei grandi gruppi anonimizzati, riduce l’attribuzione di caratteristiche umane per i soggetti raffigurati, rendendoli percepibili come esseri umani inferiori.

Ciò è stato osservato specificamente nel caso dei rifugiati; non si è verificato, come già detto, quando i partecipanti hanno visto immagini di grandi gruppi di sopravvissuti a disastri naturali. Questo modello suggerisce che l’effetto dell’inquadratura visiva sulla disumanizzazione dei rifugiati non sia semplicemente denotativo, nel senso che vedere qualsiasi gruppo anonimo non ostacola necessariamente l’identificazione di soggetti umani. Né può essere semplicemente attribuito alle differenze di angoscia, intorpidimento e apatia che gli spettatori possono avere sperimentato quando esposti a diverse inquadrature (disagio emotivo auto-segnalato), suscitato in risposta a ciascuna fotografia. «Affaticamento nel provare compassione» è diventato un termine chiave quando si considerano le risposte delle persone alle crisi umanitarie. Altri hanno sostenuto che l’«affaticamento nel provare compassione» potrebbe essere diventato un concetto onnicomprensivo che ha perso il suo potere esplicativo. Come tale, non può rendere conto in modo indipendente degli effetti disumanizzanti della fotografia, della sofferenza di gruppo. Pertanto, i cambiamenti nella disumanizzazione implicita non sembrano essere guidati dalle risposte angosciate degli spettatori alla percezione della sofferenza umana, ma sembrano essere almeno parzialmente determinati dalle diverse rappresentazioni visive dei rifugiati.

Oltre i livelli espressivi o puramente emotivi che non possono spiegare i modelli osservati, i nostri risultati dimostrano il potere di specifiche cornici visive a livello ideologico. Il fatto che l’esposizione a larghi gruppi aumenti la disumanizzazione dei rifugiati è in linea con i recenti suggerimenti che le attuali rappresentazioni visive dei rifugiati rimarchino e sottolineino problemi di sicurezza piuttosto che un dibattito umanitario. In modo ideologico, i rifugiati sono rappresentati visivamente «come una crisi» per le nazioni ospitanti, piuttosto che essere visti come soggetti «in crisi». Attingendo ai parallelismi tra la comune rappresentazione visiva di rifugiati nel mare e narrazioni linguistiche che associano i rifugiati con forze elementari come l’acqua e le inondazioni, si è trovato che le rappresentazioni di grandi gruppi di rifugiati nel mare aumenti ulteriormente la loro disumanizzazione. Tali raffigurazioni sono associate a rappresentazione di una «minaccia ingestibile», «ondate di rifugiati» in arrivo nei paesi, attivando metafore culturali di «acque incontrollabili [turbolente]». Come risultato di questo potere delle immagini, che è evidenziato attraverso diversi livelli, l’inquadratura visiva dei media dei rifugiati come un grande gruppo senza volto, li descrive come, e quindi li rende, meno che umani agli occhi del pubblico occidentale. Mentre le dimensioni degli effetti che segnaliamo sono piccole e medie, quando si considerano gli effetti di massa sulla popolazione generale, che è esposta ripetutamente a molte più immagini che quelle presentate nei nostri studi, l’esposizione visiva a immagini di larghi gruppi può avere conseguenze sociali e politiche concrete e sostanziali.

Le immagini di notizie, come quelle qui usate, non riportano semplicemente eventi socio-politici, ma li formano e possono influenzare il comportamento politico. Come mostrato negli studi 6-7, l’inquadratura visiva può influenzare sia l’approvazione delle politiche, sia la scelta ipotetica di leader politici che, nelle democrazie, sono eletti per sviluppare e attuare tali politiche. Naturalmente, le preferenze di voto dipendono primariamente dalle posizioni del candidato, ma spesso si formano rapide associazioni automatiche partendo dall’espressione facciale dei candidati politici. Tali inferenze possono influenzare l’elaborazione di informazioni successive riguardo a questi candidati. Sotto una sensazione di minaccia, l’accresciuta preferenza per l’espressione di dominio nel volto dei leader fa da supporto all’idea di un capo in grado di far rispettare le azioni e le politiche per proteggere la nazione dagli «stranieri». Le conclusioni dei ricercatori riguardo agli effetti dei pregiudizi dovuti alla cornice sulle scelte dei leader politici e il sostegno ridotto delle politiche pro-rifugiati mostrano il potere politico delle immagini.

Un aspetto positivo delle conclusioni è che la rappresentazione visiva che raffigura i rifugiati come persone, può avere effetti positivi altrettanto importanti e significativi: l’esposizione a foto di piccoli gruppi porta ad una maggiore attribuzione di emozioni secondarie (studi 1 e 2), maggior percezione di calore dei rifugiati rappresentati (studio 3), maggior supporto di misure politiche pro rifugiati (studio 6) e minor supporto per leader politici autoritari. Visualizzare ed eventualmente trovarsi di fronte a immagini di rifugiati ritratti individualmente piuttosto che in gruppi, cambia il modo in cui rispondiamo e anche i nostri atteggiamenti politici nei loro riguardi. In qualche misura queste visualizzazioni individuali possono controbilanciare alcuni aspetti degli effetti disumanizzanti delle rappresentazioni visive dominanti dei rifugiati. Per il futuro sarà interessante valutare se specifiche rappresentazioni possono portare ad una percezione di estrema disumanizzazione e avere effetti di altro tipo sul comportamento politico. Non abbiamo neanche investigato l’effetto di altre rappresentazioni visive come sottomissione, questioni di genere, violenza o azioni umanitarie.

 

Illustrare come le immagini dei rifugiati cambino mentre la politica si sposta

Quello che sembrava essere strategico negli anni ’60 (inquadrature di rifugiati come gruppi indifesi privi di individualità, con la speranza di far aumentare il sostegno pubblico), non funziona più allo stesso modo. Al giorno d’oggi la rimozione dell’individualità, piuttosto che contrastare la paura del pubblico, aumenta la percezione di disumanizzazione dei rifugiati e trasmette un vissuto di minaccia. Non ci sono modi neutri per rappresentare visivamente gli esseri umani. Né il medium stesso può offrire tale neutralità, né i fotografi, gli editori, gli spettatori. Considerati i dati riportati, la decisione di ciò che viene reso visibile e come, dovrebbe essere pensata come una scelta che ha conseguenze sul modo in cui percepiamo e ci relazioniamo agli altri esseri umani. Come dimostrato in questo studio, gli effetti della cultura visiva sulla percezione sociale possono influenzare scelte e comportamenti politici, soprattutto in una cultura che è alimentata da un livello e da quantità di immagini prima senza precedenti.

Manos Tsakiris, Ruben T. Azevedo, Sophie De Beukelaer, Isla Jones, Lou Safra (2019) When the lens is too wide: the visual dehumanization of refugeesand its political consequences. Preprint DOI doi:10.31234/osf.io/y69sq-Created on January 16, 2019, last edited January 16, 2019, supplement materials osf.io/ap9f710.31234/osf.io/y69sqsyArXiv. January 16.

 

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