
Foto di Giovanni Sinico
Parole chiave: Case report, efficacia terapeutica, effettività terapeutica, psicoterapia, terapia psicoanalitica, verificabilità
Introduzione di Amedeo Falci
Pubblicazioni recenti ed interventi sui media hanno riproposto il tema della validità della psicoanalisi. Si tratta di un tema, quasi coevo alla stessa psicoanalisi, molto dibattuto e ricorrente nell’ambito culturale e mediatico, nello stesso ambito psicoanalitico, ed in ambiti filosofici, scientifici ed interdisciplinari. Un tema intricato per la molteplicità dei suoi livelli. Stiamo parlando dell’efficacia della psicoanalisi come cura? Della sua pratica professionale prevalentemente privata, con selettività sociale nelle possibilità di fruizione? Della tenuta, ancor oggi, del suo valore nella cultura occidentale? O della giustificazione scientifica o epistemologica delle sue teorie? Ed ancora, viene questionata in assoluto la legittimità della psicoanalisi come cura, o la sua efficacia confrontata con altre psicoterapie? Selezionare, prego, la modalità prescelta.
Prime obiezioni sullo statuto scientifico della psicoanalisi erano state avanzate nelle prime decadi del ‘900 da parte del Circolo di Vienna, proprio per l’inverificabilità empirica dei suoi concetti. Obiezioni ben fondate che tuttavia non erano passate inosservate da parte della comunità psicoanalitica dell’epoca. Molto più tardi, in uno storico Simposio organizzato nel 1958 alla New York University da Sidney Hook, filosofo statunitense, sullo statuto scientifico della psicoanalisi, era emersa una più aggiornata serie di critiche. Era la prima volta che nella sua storia la disciplina fosse chiamata così direttamente ad affrontare un aperto dibattito con la cultura scientifico-filosofica del tempo, al di fuori dai circuiti di autoconferma epistemica all’interno della propria teoria, della propria clinica e del proprio linguaggio (Migone, 1989). Impossibile riassumere in breve lo spesso dibattito psicoanalitico intorno a tali temi, nel corso di cento a passa anni. Restringendo al campo della validità clinica, nel corso degli ultimi decenni, è stata prodotta una enorme quantità di contributi di ricerca, soprattutto da un’area extra-psicoanalitica. Intanto, uno degli apporti della metodologia di ricerca è stata la distinzione tra efficacia ed effettività, su cui noi psicoanalisti non abbiamo idee chiare. Siamo in un campo in cui non possono essere più sufficienti le singole attestazioni di validità emesse dagli stessi terapeuti. Andando in dettaglio, gli studi di efficacia (efficacy) sono altamente controllati e metodologici: la psicoterapia in fase di sperimentazione viene utilizzata con un gruppo di pazienti, mentre altri gruppi di controllo non vengono sottoposti a nessun trattamento o vengono trattati con placebo credibili. Mentre l’efficacia pratica (effectiveness ) esamina i benefici che i pazienti “reali” traggono dalla terapia “nella vita reale”. I pazienti che hanno già iniziato (e possibilmente completato) la terapia vengono intervistati dai ricercatori e sottoposti a domande dettagliate sul trattamento e sulla sua efficacia.
Auspicando che si possa aprire una discussione scientifica su questi temi nel nostro sito, avviamo il dibattito con uno stimolante intervento di Davide Bruno.
A.F
LA PSICOANALISI ALLA PROVA DELL’EFFICACIA TERAPEUTICA
di Davide Bruno[1]
Premessa
La psicoanalisi trae le sue origini dalla clinica: nel 1895 Sigmund Freud scrive insieme a Josef Breuer gli Studi sull’isteria, un’opera considerata all’origine della pratica psicoanalitica. Medico di formazione, Freud era reduce da un internato presso il reparto di neurologia diretto da Jean-Martin Charcot all’ospedale della Salpêtrière di Parigi e, di ritorno a Vienna, continua a dedicarsi allo studio e al trattamento dei casi di isteria, una patologia dalle manifestazioni complesse e drammatiche che comprendeva sintomi sentitivo-motori (paralisi, contratture muscolari, tremori, anestesia etc.), cognitivi (amnesia), alterazioni dello stato di coscienza, solo per nominarne alcuni. Questa entità nosologica non si trova più come tale nei manuali contemporanei dedicati ai disturbi mentali: nel DSM-5-TR alcuni sintomi possono essere ad esempio rintracciati all’interno dei Disturbi di conversione e dissociativi.
Freud stesso amplierà gli interessi e le applicazioni del metodo psicoanalitico ad altri campi del sapere come ad esempio l’arte, la letteratura, l’antropologia culturale, tanto che ad oggi non c’è accordo tra gli psicoanalisti se la psicoanalisi debba essere intesa in senso estensivo come un metodo di conoscenza dell’umano, o più restrittivo in relazione al suo uso precipuamente come terapia. Quel che importa qui sottolineare, tuttavia, è lo stretto legame che questa disciplina ha avuto e continua ad avere con la clinica psicologica, la psicoterapia e la psichiatria stessa. In Al di là del Principio del Piacere, Freud descrive il metodo psicoanalitico come aperto a nuove ipotesi e a “nuove occasioni di ricerca” (1920, 249), ed in effetti la psicoanalisi ha conosciuto diversi sviluppi dall’epoca della sua fondazione, grazie all’opera di diversi autori.
Diagnosi e terapia
Ogni disciplina clinica si compone di due momenti: la diagnosi e la terapia. Dal punto di vista diagnostico, la sezione dedicata ai Disturbi di Personalità del già citato Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM) dell’American Psychiatric Association, giunto ora alla revisione della V edizione, deve molto all’opera degli psicoanalisti. Nonostante uno dei pregi dichiarati del manuale sia di introdurre criteri diagnostici descrittivi che permettano ai diversi terapeuti di dialogare tra loro e di rendere conto al paziente della diagnosi, diverse entità nosologiche risentono delle teorie psicoanalitiche sul tema, che hanno come oggetto il funzionamento mentale. I criteri di diffusione dell’identità, instabilità nelle relazioni interpersonali, cronici sentimenti di vuoto e i sintomi dissociativi facenti parte della costellazione del Disturbo borderline di personalità (DBP) sono stati ampiamente influenzati dalle teorie di Otto Kernberg (1967), citate come riferimento obbligato anche da altri autori nella fondazione di approcci terapeutici alternativi alla psicoanalisi come la DBT — Dialectical Behavioural Therapy — (Linehan 2001). Parimenti, i contemporanei criteri diagnostici relativi alla grandiosità e alla mancanza di empatia del Disturbo narcisistico di personalità hanno come riferimento i lavori di Kohut (1971). I criteri del Disturbo paranoide di personalità su eventi interpretati erroneamente come minacciosi, ostili o denigratori hanno come sfondo le teorie kleiniane sulle difese proiettive e sull’angoscia persecutoria, solo per citarne alcuni. Il DSM-5-TR, inoltre, abbandona il precedente approccio categoriale di ispirazione neo-krepeliniana per introdurre un approccio dimensionale di spettro, già utilizzato da alcuni psicoanalisti nella redazione del Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM) per valorizzare in questo caso elementi di contesto e di significato (McWilliams 2021; Lingiardi et al. 2015).
L’efficacia del trattamento psicoanalitico ha interrogato a lungo Freud, a partire dall’analizzabilità delle psicosi. Autori appartenenti ad altri campi del sapere, quali l’antropologia culturale, hanno usato la psicoanalisi come riferimento per i loro studi sull’efficacia simbolica delle terapie tradizionali non appartenenti al paradigma bio-medico (Lévi-Strauss 1949). In tempi più recenti, alcuni psicoanalisti, in particolare coloro che lavorano nelle istituzioni sanitarie e nelle università, hanno accettato la sfida di condurre ricerche sull’efficacia della psicoanalisi e delle terapie psicodinamiche ad essa ispirate secondo criteri oggettivabili, che permettessero il confronto e il dialogo con altri approcci terapeutici, col fine di non disperdere il patrimonio di pratica e di conoscenza della disciplina, all’interno dell’affermarsi in campo sanitario degli approcci evidence-based. In alcuni paesi, infatti, report istituzionali e linee guida sanitarie avevano cominciato a citare articoli sull’efficacia delle psicoterapie alla luce della letteratura biomedica, che escludevano i trattamenti psicoanalitici per esiguità di studi (Gonon e Keller 2020).
Il lavoro di ricerca dei colleghi è meritorio da una parte per i pazienti che possono affidarsi ad una terapia in cui l’esperienza clinica è di lungo corso, ma riconosciuta anche nelle sue prove di efficacia attuali, mentre dall’altra è fondamentale anche per gli psicoanalisti, nonché per la trasmissione nel futuro della psicoanalisi, e del suo approccio che valorizza l’analisi del funzionamento mentale individuale, conscio e inconscio. Esso, inoltre, permette per i pazienti la rimborsabilità dei trattamenti psicoanalitici in quanto appartenenti alle prestazioni sanitarie: in alcuni Paesi, come ad esempio la Germania o la Svizzera, la psicoanalisi e le terapie ad essa ispirate sono rimborsate dal sistema delle assicurazioni dietro la presentazione di un giustificativo da parte del terapeuta che descriva la diagnosi del paziente e riporti il numero di sedute ritenute di volta in volta necessarie.
Le linee guida utilizzate attualmente nel campo della salute mentale propongono indicazioni condivise dalla comunità scientifica internazionale: le linee guida NICE prodotte dal National Institute for Health and Care Excellence del Regno Unito e le linee guida CANMAT — Canadian Network for Mood and Anxiety Treatments — del network canadese per i Disturbi d’ansia e dell’umore, sono ad esempio tra le più conosciute. Sebbene per ragioni di spazio non sia possibile dettagliarne il contenuto, basti qui ricordare che queste ultime indicano come l’associazione della terapia psicofarmacologica con la psicoterapia sia più efficace rispetto all’uso esclusivo della prima (Lam et al. 2024). Le terapie psicoanalitiche sono state considerate efficaci per pazienti che presentano quadri di depressione unipolare, disturbi d’ansia, disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, disturbi di personalità, e gli studi di evidenza di efficacia sono in continuo aumento: la psicoanalisi e le terapie psicodinamiche in generale sono state comparate con la terapia cognitivo comportamentale (CBT) in relazione all’efficacia a tre anni sui sintomi depressivi, mostrando una maggiore efficacia a lungo termine (Huber et al. 2012). Uno studio randomizzato e controllato che aveva come scopo di comparare l’efficacia tra terapia psicoanalitica e terapie psicodinamiche nella depressione, conclude per una maggior efficacia delle terapie psicoanalitiche a più sedute (Huber et al. 2013). In generale tuttavia, gli studi randomizzati e controllati non sono in grado di spiegare sufficientemente perché alcuni trattamenti psicoterapici risultino efficaci per alcune persone e non per altre, e quali siano i fattori terapeutici comuni ai vari modelli di psicoterapia, per cui si invocano ulteriori studi, tra cui i case-report (Gonon e Keller, 2020). Lo studio del singolo caso clinico è un approccio particolarmente valorizzato in psicoanalisi già dall’epoca della sua fondazione, e permette di mostrare in dettaglio i fattori coinvolti nel processo terapeutico e di descriverne l’andamento nel tempo. Quest’osservazione mette in risalto come i fattori qualitativi, non misurabili, legati ad esempio alla relazione terapeutica, siano ampiamente coinvolti nell’efficacia delle psicoterapie, e di come i presupposti epistemologici su cui si fonda la psicoanalisi in quanto terapia centrata sul singolo individuo ne permettano la valorizzazione. Ad ogni modo, anche volendo rimanere nel campo degli approcci evidence based, è possibile affermare che addirittura nella medicina somatica molte decisioni vengono guidate dal consolidarsi dell’esperienza clinica, per mancanza ad esempio di studi di efficacia comparativa diretta (head-to-head), riguardanti diversi farmaci.
La psicoterapia è considerata il trattamento d’elezione per il Disturbo borderline di personalità, e le terapie ispirate alla psicoanalisi costituiscono insieme alla DBT la prima linea di trattamento in questi casi (Leichsenring 2023). Terapie di ispirazione psicodinamica come quelle basate sulla mentalizzazione[2], che vengono considerate evidence based per il DBP, sono state applicate con successo anche al Disturbo narcisistico di personalità (Drozek e Unruh, 2020), così come variazioni della tecnica del trattamento psicoanalitico classico (Crisp e Gabbard, 2020).
Conclusioni
Una meta-analisi sull’efficacia delle psicoterapie nella depressione (Cuijpers et al. 2019), citata nelle ultime linee guida CANMAT, conclude che la buona notizia è che la psicoterapia, compresa quella di ispirazione psicoanalitica, è efficace per questo disturbo, nonostante gli studi sulle psicoterapie siano generalmente caratterizzati da bias metodologici, da un alto grado di eterogeneità, e in generale manchino lavori sugli effetti negativi. Secondo gli autori, questo fa sì che alcuni tipi di psicoterapia, tra cui quelle più in voga e considerate “più scientifiche” al momento come la CBT, siano sovrastimate nei loro effetti. Del resto un tipo di bias che può influenzare gli studi risiede nell’adesione del ricercatore ad un determinato modello teorico.
Da psicoanalisti clinici, potremmo affermare che l’eterogeneità dei lavori scientifici sul tema riflette la complessità del lavoro con i pazienti, e gli adattamenti che ogni psicoterapia richiede non solo rispetto ad una specifica popolazione o al setting (ospedaliero vs ambulatoriale, pubblico vs privato etc.), ma anche rispetto ad ogni singolo soggetto. In un certo modo, questa è una buona notizia nel senso che le psicoterapie, anche negli approcci più standardizzati, si mostrano comunque flessibili nell’adeguarsi al contesto e alla specificità degli individui a cui si rivolgono. La psicoanalisi ha fatto di questa sensibilità ad ogni singolo caso uno dei suoi maggiori punti di forza, coerentemente con gli approcci contemporanei della medicina centrata sul paziente. Essa, come mostra questa breve disamina, ha saputo trasformarsi nel tempo dando luogo ad approcci e sviluppi teorici e clinici differenti. Nessuna disciplina è esente da errori, e il rischio di trincerarsi in un dogmatismo autoreferenziale è sempre in agguato: in questo la psicoanalisi non fa eccezione (Balottin et al. 2025). Essa può però continuare ad apprendere dall’esperienza, per citare Bion, considerando il lavoro con i pazienti, le occasioni di ricerca, di confronto tra colleghi e discipline un irrinunciabile terreno su cui crescere e far maturare frutti sempre nuovi.
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Bibliografia
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Note
[1] Psicoanalista SPI. Medico Psichiatra presso l’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano.
[2] La Terapia basata sulla Mentalizzazione (MBT), fa riferimento al concetto di mentalizzazione, cioè la capacità di avere un pensiero sugli altrui stati mentali come distinti dai propri (Bateman & Fonagy, 2004). Il modello della terapia si pone l’obbiettivo di creare le condizioni affinché il paziente possa avere fiducia nelle intenzioni dell’interlocutore-terapeuta in quanto fonte affidabile di verità epistemica, modificando quindi le sue difsunzionali e patologiche credenze sul mondo e sulle sue relazioni con gli altri.