SALUSTIANO GARCIA CRUZ
SPIpedia
Disforia di Genere
A cura di A. Gesuè
Nel quinto Manuale Diagnostico e Statistico dell’American Psychiatric Association (DSM 5) si è adottato il termine “Disforia di genere” al posto del precedente “Disturbo dell’identità di genere” a causa dello stigma che il termine “disturbo” comportava. La Disforia è definita dal malessere generato dalla mancata corrispondenza tra il genere percepito ed il corpo biologico con cui si è nati, rispetto quale le persone con Disforia avvertono un senso di estraneità e di rifiuto.
Sotto la denominazione di Disforia di genere vengono comprese:
– le forme caratterizzate da tale tipo di sofferenza che oggi si riscontrano, molto più frequentemente che in passato, anche nei bambini e negli adolescenti;
– le persone transgender, che hanno risposto al disagio provato ottenendo la trasformazione verso il genere cui sentono di appartenere con trattamenti ormonali ed estetici,
– le persone transessuali, che richiedono anche gli interventi chirurgici sui genitali in modo da avvicinarsi il più possibile a quel corpo che sentono più adeguato a rappresentare il genere desiderato.
Mentre i transessuali sembrano voler tornare nell’area del binarismo sessuale, molto più variato è il panorama degli altri.
Nella letteratura anglosassone si usa il termine Queer Identity per sancire l’estraneità ad una identità fissa, a categorie precostituite e dicotomiche tipo eterosessuale/omosessuale, maschile/femminile. Tale termine viene usato dagli anni ‘90 per indicare tutte le soggettività non eterosessuali. Un articolo di K. Steinmetz sulla rivista Time (27 marzo 2017) ha riportato i risultati di una ricerca, compiuta negli Usa per conto dell’LGBT, su un vasto campione di adolescenti. In essa risultava che il 20% dei ragazzi “millenial” usava più di cento modi per definirsi (oltre a gay, lesbica, bisessuale e transgender, anche pansessuale, asessuale, genderqueer, ecc.) rispetto alla propria preferenza sessuale e di genere.
La Disforia di genere è indipendente dall’orientamento sessuale e non va confusa con esso. Le persone con disforia di genere possono avere qualsiasi orientamento sessuale e sentimentale. Possono essere ad esempio eterosessuali, omosessuali, bisessuali, asessuali.
Perché quest’incertezza? Quali fattori dobbiamo interrogare?
Oggi concepiamo la formazione dell’essere umano come “unità bio-psico-sociale”, concetto che risale ai tempi del Glossario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la promozione della salute, 1948, che lo adottò.
- Se pensiamo alla parte “bio” dell’unità menzionata, si presuppone possano influire fattori genetici e interazioni ormonali di natura tuttavia non ancora specificata. (La Disforia non si associa ad alterazioni cromosomiche specifiche, come ad es. nella sindrome di Turner, XO).
- Se pensiamo all’influenza sociale sulla formazione dell’identità di genere, si può notare che i fondamenti dell’identità stessa sono oggi più fluidi e precari: Z. Bauman parla di identità liquide e R. Kaës di indebolimento, fino alla scomparsa, dei “garanti metapsicologici” nella società attuale [1].
- La parte psicologica è l’elemento dell’unità menzionata che ha avuto la storia più complessa, soprattutto in tempi recenti.
Secondo Stoller (1964), uno dei primi studiosi che se ne è occupato, l’identità nucleare di genere si forma nei primi 3-4 anni di vita ed è il prodotto dei seguenti fattori: l’anatomia e la fisiologia dei genitali esterni; l’influenza attitudinale di genitori, fratelli e pari (se costoro rimandano al neonato di essere un maschio o una femmina, ciò giocherà una parte importante nello stabilire e confermare l’identità di genere); la forza biologica. Quest’ultima, sebbene nascosta alla consapevolezza conscia e preconscia, sembra fornire una parte dell’energia pulsionale per sostenere l’identità di genere.
Stoller (1968) fu anche tra i primi a inaugurare il filone delle indagini sulla psicogenesi della transessualità, indicando nelle femmine transessuali un frequente legame invischiante con una madre adesiva, ma fredda, ed un padre troppo poco presente.
C. Chiland (2011), nel suo libro Changer de sexe. Illusion e réalité, ipotizza che entrambi i genitori non abbiano favorito un investimento narcisistico in senso fisiologico sul corpo sessuato biologico delle persone transessuali da lei osservate, perché a loro volta essi erano a disagio con il proprio corpo sessuato; in generale, all’autrice sembra che i genitori avessero uno scarso investimento sulle relazioni sessuali perché la sessualità era sentita come distruttrice.
D. Di Ceglie (1998) ha portato l’attenzione sugli eventi traumatici precoci nella vita dei bambini quale fonte di quella che chiama Atypical Gender Identity Organisation (AGIO), in particolare sui lutti precoci; per esempio, la perdita per malattia di fratelli o sorelle di sesso opposto cui si è legati da amore e ostilità, e verso i quali si è vista l’abnegazione dei genitori prima della fine. Essendo impossibile elaborare il lutto, in tali casi i bambini possono ‘entrare nei panni’ del fratello o della sorella perduti, assumendone l’identità di genere.
A. Saketopoulou (2014) ritiene che una migliore comprensione della Disforia si ottenga considerando il problema di genere non come un sintomo, ma come una vitale realtà soggettiva. Definisce quest’esperienza “massivo trauma di genere” e la pone all’incrocio di due condizioni: il sentimento doloroso che il proprio corpo fisico ed il proprio genere siano sconnessi; l’esperienza di essere malintesi nel proprio genere, cioè male interpretati dai propri oggetti primari come appartenenti al sesso natale, nonostante l’esplicita affermazione di una differente identità di genere. Anche per questa autrice la disforia può manifestarsi già nei primi due o tre anni di vita, e condivide alcune caratteristiche formali con l’esperienza traumatica (dissociazione, angoscia, depressione). Al centro dell’angoscia disforica ci sarebbe dunque, come recita il titolo del lavoro dell’autrice, La perdita del corpo come fondamento. I problemi e le difficoltà che ne scaturiscono, anche relazionali, sono le conseguenze di questa situazione, non l’origine.
In un dibattito dal vivo via Zoom (Blass et al., 2021), Saketopoulou ha proposto che non sia “un fatto biologico” che la dotazione sessuale alla nascita conduca verso una identità di genere, bensì un fatto sociale che siamo inclini a trattare come un fatto biologico. La nozione stessa di dimorfismo sessuale potrebbe essere “una costruzione di fantasia fatta dagli esseri umani, non un fatto ontologico”. Se qualcuno si qualifica come una donna trans, mentre a noi appare solo come un uomo assai femmineo, l’interpretazione che sia un uomo che rifiuta la sua femminilità potrebbe indicare un nostro problema a cogliere quanto la sua percezione di sé violi le nostre credenze normative. A livello di metapsicologia potrebbe sfuggirci quanto l’idea della fluidità sessuale (l’apparenza di uomo femmineo) manchi nel cogliere la varianza di genere di qualcuno (il vissuto della donna trans), verso la quale, a questo punto, ci atteggeremmo più o meno consciamente in modo ideologico. Ciò potrebbe rivelarsi dannoso non solo per le persone con Disforia di genere, ma per la Psicoanalisi stessa.
D. Bell ha controbattuto le opinioni di Saketopoulou. In primo luogo, la Disforia è clinicamente una condizione complessa e con un’alta comorbidità; uno dei possibili esiti (per una sparuta minoranza), è di rientrare in una categoria a sé, per la quale solamente si renderà necessaria la transizione medica. Inoltre, se l’identità di genere è largamente (ma non totalmente) un costrutto sociale, negare al sesso corporeo una realtà materiale, e postulare un’identità di genere innata, non sembra possibile.
Sul concetto di transfobia.
Dobbiamo prendere in esame sia il concetto di transfobia esterna che interna. Come per l’omofobia interna ed esterna, esse sono separabili solo per comodità espositiva, mentre in realtà sono fortemente intricate tra di loro. (Gesuè, 2015).
– La transfobia esterna. La maggior parte delle persone tende a vedere il corpo biologico maschile o femminile con cui è nata come il germe della propria identità, cui dà sicurezza ancorarsi. È una sicurezza che non vogliono venga scossa. Per questo le persone con disforia di genere, nel rifiutare il corpo biologico come fondamento, suscitano un’angoscia che tocca le radici del Sé, ed evocano più o meno intense reazioni di paura e di rifiuto in chi ha un’incertezza su queste problematiche.
– La transfobia interna. È il malessere che deriva dalla perdita del corpo reale come fondamento del genere cui si sente di appartenere, quando non si abbracci subito la fantasia di “essere nel corpo sbagliato”. Ci si sente a cavallo tra un corpo biologico maschile o femminile, scritto nei cromosomi, ed un genere in contraddizione con quel corpo.
Ne deriva che la transfobia interna è tanto più intensa: a) quanto più il soggetto è immerso in un ambiente, ostile al suo problema, che riverbera il malessere interno che già avverte; b) quanto lo scenario interno, che alimenta la disforia di ognuno, è denso di emozioni spinose difficili da padroneggiare; c) quanto meno ciascun soggetto riuscirà ad accettare il limite della trasformazione ottenuta con le cure di tipo ormonale, estetico, chirurgico. La trasformazione può realizzare solo un simulacro del corpo desiderato, anche se si spera il più adeguato possibile al genere cui si sente di appartenere.
La presa in carico di persone con disforia di genere.
Per impostare una corretta presa in carico bisogna prima avere una visione corretta della situazione nelle diverse età della vita.
Nell’infanzia e nell’adolescenza è necessario un lavoro di consultazione approfondito rivolto sia al paziente, sia alla famiglia, spesso seguito da un lavoro psicoterapico. Ciò permette di accompagnare da vicino l’evoluzione di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, e delle loro famiglie, con lo scopo (D. Di Ceglie, citato) di sostenere la loro capacità riflessiva nell’esplorare la relazione tra mente e corpo, di tollerare l’incertezza nello sviluppo dell’identità di genere, di mantenere la speranza di trovare una soluzione all’incongruenza nella percezione di genere e corpo, o, quando questo non è possibile, facilitare l’accettazione dei temi relativi all’identità di genere atipica, accompagnare il processo di trasformazione quando questo sia sentito come necessario. Può capitare che soprattutto nell’infanzia i segni della disforia di genere regrediscano e lo sviluppo proceda come per gli altri bambini. Meno frequentemente questo può verificarsi in adolescenza.
Se il disturbo compare in giovani adulti, o adulti, è importante riconoscerlo, approfondirne lo scenario interno e differenziarlo da eventuali patologie psichiatriche, perché la presenza di queste potrebbe rendere problematico il percorso di trasformazione quando venisse posto in atto. Per questo gruppo di pazienti la trasformazione consiste nella somministrazione di ormoni che adeguino il corpo al genere cui si sente di appartenere, in interventi chirurgici di tipo estetico, o di modifica dei genitali, che abbiano la stessa finalità.
Mentre la legge 164 del 1982 prevedeva che la rettificazione anagrafica del sesso sui documenti comportasse l’intervento chirurgico di trasformazione dei genitali, intervento non facile, con possibili complicazioni e non da tutti desiderato, una successiva sentenza della Corte Costituzionale (la 221/2015), con valore di legge, ha stabilito che per la rettifica non è più necessario l’intervento, perché tale procedimento non privilegia la tutela della salute dell’individuo, questa sì fondamentale per la nostra Costituzione.
Bibliografia
Bauman Z., (2001) Modernità liquida, Laterza, Roma.
Blass R., Bell D., Saketopoulou A. (2021) Can we think psychoanalytically about transgenderism? An expanded live Zoom debate with David Bell and Avgi Saketopoulou, moderated by Rachel Blass. Int. J. Psychoanal., 102, 5, 968-1000.
Chiland C., Changer de Sexe. Illusion et Réalité, Odile Jacob, Paris, 2011.
Di Ceglie D., (1998) trad. it. in: Straniero nel mio corpo. Sviluppo atipico dell’identità di genere e salute. Franco Angeli, Milano, 2003
Gesuè A., Un futuro a ciascuno. Omosessualità, creatività e psicoanalisi, Mimesis, Milano, 2015.
Kaës R., Le identificazioni e i garanti metapsicologici del riconoscimento del soggetto. In “Atti del XIV Congresso SPI, Giornate Italiane”, Roma 23-25 maggio 2008.
Sachetoupoulu A., (2014) Mourrning the Body as Bedrock: Developmental Considerations in Treating Transsexual Patients Analytically. Journal of the American Psychoanalytic Association, 62, 773-806.
Stoller R.J., A Contribution to the Study of Gender Identity. Int. J. Psychoanal., 45, 220-226.
Stoller R.J., Sex and gender, Science House, New York, 1968.
[1] I garanti metapsicologici si possono esemplificare con le funzioni che in qualsiasi gruppo sono svolte dalle leggi, dagli ideali comuni, dalle rappresentazioni e dai patti, largamente inconsci, che tessono “i principi organizzatori della psiche individuale e le condizioni intersoggettive sulle quali essa si basa” (Kaes, 2008, p. 167).