La Ricerca

Sublimazione

2/10/13
Sublimazione

San Giovanni della Croce di Leonardo Da Vinci

A cura di Laura Ambrosiano

Freud ha formulato la nozione di sublimazione per cercare di spiegare attività apparentemente non sessuali, quali quella artistica e quella scientifica.

Nel 1892 Freud parla per la prima volta di sublimazione (nelle minute a W. Fliess) e ne sottolinea la natura ambigua: fantasie, difese e sublimazioni sono tutte considerate come operazioni per abbellire i fatti.
Il primo modo di intendere la sublimazione è, dunque, riconducibile ad una difesa, esercitata soprattutto rispetto alle pulsioni parziali difficili da integrare da parte d ell’Io.
Nel lavoro su “Leonardo” (1910), Freud privilegia, tra le tante che immagina, l’ipotesi che la sublimazione sia frutto dell’inibizione (1) della vita sessuale.
Egli nota che gli affetti, in Leonardo, da lui scelto come campione esemplare dell’attività di sublimazione, sono sottomessi alla pulsione di ricerca e che la sua vita sessuale risulta impoverita e opaca.
Freud opta per l’idea che la sublimazione sia una difesa, un meccanismo teso a difendere dall’angoscia.  L’inibizione della pulsione comporta la rimozione della spinta sessuale e della sua meta originaria: la scarica, il soddisfacimento. Rispetto agli altri meccanismi difensivi si tratterebbe però di un difesa ben riuscita.
Da queste premesse teoriche la tradizione psicoanalitica tende a considerare la sublimazione come una forma di difesa,magari riuscita, ma comunque un meccanismo che tende ad inibire la corrente pulsionale, in particolare le pulsioni parziali difficili da integrare.
E’ rilevante ricordare che la nozione di sublimazione è connessa in modo necessario con quella di pulsione, intesa come una rappresentazione non ideativa del caotico turbinare dei sensazioni e stimoli somatici. Per parlare dell’una occorre considerare l’altra, infatti i teorici che non ritengono utile la nozione di pulsione fanno a meno anche di quella di sublimazione.
Nella metapsicologia freudiana la  nozione di pulsione indica qualcosa di originario, un nucleo somato-psichico dotato di una spinta innata a diventare esperienza, a rappresentare, a dare senso, dunque, a sublimare.
Ma, come sappiamo, la pulsione è inconscia, in senso letterale, essa ci spinge ma non la conosciamo, essa urge dal mondo interno verso realizzazioni  che non propone immediatamente. L’individuo può accogliere la oscura spinta interna e farla propria trasformandola in desideri, progetti, tensioni e passioni personali.
Se la pulsione è un moto scomposto in una attesa di un significato, se essa stessa è già una rappresentazione non ideativa di un inconscio oscuro che ci abita, allora possiamo immaginare che la pulsione sia essa stessa una apertura alla ricerca di un significato per la oscurità della vita.Nell’organismo somato-psichico la pulsione spinge senza che l’individuo possa farci nulla, in un modo che è indipendente dal suo volere e dalla sua decisione.La pulsione è una spinta attiva, ma finché non la accoglie l’individuo la sperimenta come una invasione interna che egli subisce passivamente.  Per questo è anche possibile che si sviluppi una paura delle pulsioni:
La paura di accogliere le pulsioni, cioè le emozioni che sono per noi le loro emissarie sensibili, esprime fondamentalmente il rifiuto della dipendenza dall’inconscio che è costitutiva degli individui, esprime la fantasia che accogliere le pulsioni significhi dipendere dall’inconscio, dagli oggetti, dagli altri; mentre il silenzio del desiderio rende liberi.
Per questo l’individuo può rimuovere anziché sublimare, in unapolarizzazione vitale per il singolo e per la specie.
Il rovesciamento della pulsione, l’anestesia-rimozione del desiderio, sembra offrire l’illusione di una qualche forma di attività, per così dire, in negativo. Qui entra in campo l’inibizione: l’angoscia di vivere le pulsioni inibisce sia la sessualità che il pensiero, zittisce sia il trasporto appassionato verso gli oggetti che quello verso la conoscenza.
La pulsione è Eros,  spinta sessuale e  “La sublimazione è un processo che interessa la libido oggettuale e consiste nel volgersi della pulsione a una meta diversa e lontana dal soddisfacimento sessuale”. (1914, 464).
Se ricorriamo al vocabolario il termine sublimazione può indicare un andare verso il sublime, verso attività umane più alte. Ma Freud stesso contesta questa accezione, egli ci tiene a precisare che la sublimazione va distinta dalla idealizzazione, perché questa accade all’oggetto, mentre la sublimazione descrive qualcosa che ha a che fare con la pulsione. “L’Ideale dell’Io, per così dire, esige la sublimazione, ma essa resta un processo indipendente da questa sollecitazione. L’Ideale dell’Io accresce le esigenze dell’Io stesso, ma, in questo senso finisce con il favorire la rimozione. Diversamente la sublimazione offre una via di uscita in virtù della quale le esigenze dell’Io possono essere soddisfatte senza dar luogo a rimozione.”(1914, 465)
Quindi abbiamo una prima oscillazione, che resta nei lavori di Freud, tra il considerare la sublimazione – come abbellimento, e – l’idea che non ha senso distinguere tra attività alte, quelle artistiche e scientifiche,  e attività basse, quali a sessualità. Le une, egli dice, possono stare al posto delle altre, sono avvolte insieme in un’unica esperienza originaria che intreccia il divino e il corpo. (1910)
É sorprendente e interessante come Freud si dolga che, nelle nostre vicissitudini culturali, abbiamo distaccato la sessualità dalla dimensione del divino, abbiamo operato una rottura violenta tra la sessualità e la dimensione misteriosa ed elusiva, e perciò sacra, della natura.  Di fatto l’incivilimento ha svuotato la sessualità della sua componente divina, impoverendo, in questo modo, sia il divino che il sessuale. Abbiamo operato, egli scrive (1910)  una rottura dell’unità originaria tra sessuale e divino, unità che è alla base delle cose. La sublimazione implica una riuscita ricomposizione di  tale unità, una sorta di riconciliazione tra elementi che sono stati artificialmente distaccati.
La sublimazione ri-unisce ciò che era stato separato, ri-afferma l’unità (tra natura e cultura).
Ma allora, e di qui partono altre e diverse considerazioni di Freud, se la sublimazione non è un abbellimento dei fatti, una difesa, allora è piuttosto assimilabile ad  una operazione chimica di trasformazione da uno stato ad un altro. In questa accezione i prodotti culturali, artistici, lo sviluppo del pensiero e della conoscenza avrebbero le loro radici nella stessa dimensione interna che anima la sessualità, Eros, e ne sarebbero, appunto una trasformazione.
Questa seconda accezione si accorda con la natura nomade e deviante delle pulsioni: nella descrizione di Freud esse si spostano, sono plastiche, vagabonde, non sono legate ad un solo oggetto, ad un’unica meta, o  scopo, ma si muovono investendo ora un oggetto, ora un altro, ora uno scopo ora un altro. La sublimazione emerge da questa proprietà della pulsione di scambiare le mete e gli ambiti di investimento, di trasformarsi, appunto.
La pulsione sessuale è una corrente  che mette grandi energie al servizio della conservazione della specie e della cultura.
Ricapitolando, nella teorizzazione formale che Freud ci ha consegnato nel 1910, centrata sulla inibizione, la sublimazione riguarda in particolare le pulsioni parziali, che, appunto, necessitano di essere inibite quando l’apparato psichico non  riesce ad integrarle. In questo senso essa comporta una perdita di spinta sessuale.
Ma, subito dopo questo enunciato, Freud aggiunge i suoi classici “anche se” che, in genere, allargano e donano complessità agli argomenti che sta trattando.
In questo caso “l’anche se” riguarda il fatto che non si può considerare la sessualità come una attività bassa, rispetto ad altre sublimi, anzi la sessualità viene definita come la “divina scintilla” che muove ogni attività umana. E noi possiamo considerare la teoria freudiana come una teoria della sessualità proprio nel senso che egli considera che ogni attività umana prende le sue energie dalla spinta pulsionale, sessuale: anche il conoscere e il teorizzare è una attività pulsionale, corporea, che incontra, palpa, gusta, sfiora, penetra l’alterità del mondo, quello interno e quello esterno.   L’apparato psichico nel suo insieme è eretto con mattoni pulsionali, è fatto di desiderio e passione.
In questo modo Freud riconduce le diverse espressioni dell’attività umana non a polarità antitetiche, anima-corpo, pensiero-azione, passivo-attivo, primario-secondario, bensì ad una esperienza originaria.
Con l’ipotesi di una spinta originaria che connette sessualità e conoscenza, Freud dà ascolto ad altri pensieri, pensieri disobbedienti che cercano spazio nella sua e nella nostra mente. Per esempio la sete di conoscere viene ricondotta direttamente a una fonte pulsione: la pulsione di ricerca sembra proporsi, nelle parole di Freud, come una spinta originaria che conserva un carattere di passione e trasporto della stessa natura della sessualità. In effetti Freud commenta che Leonardo non era privo di passioni, non gli mancava la “divina scintilla” che è la forza motrice di ogni fare umano; egli aveva solo convertito la passione in sete di sapere, dedicandosi alla ricerca con quella tenacia e profondità che derivano dalla passione. E, quando la ricerca della conoscenza arriva al suo culmine, aggiunge, allora l’affetto sgorga, al culmine della ricerca si sperimenta un piacere intenso e sensuale senza scarica e senza acme (1910).
In questi passaggi Freud non sembra tanto parlare di un’”inibizione” dell’affetto, né immaginare due correnti pulsionali di cui l’una sarebbe sessuale e l’altra no, piuttosto pensa a una corrente pulsionale, a una spinta naturale, psico-biologica, che si trasforma, che prende ora una forma e una direzione e ora un’altra. Questo significa che l’individuo si dedica alla ricerca del sapere con la stessa passione con cui si dedica all’amore, all’amicizia, alla professione.
“L’indagare diventa un’attività sessuale e il sentire che si è raggiunta una chiarificazione offre una soddisfazione sessuale.” (1910)
Eros è una spinta appassionata che poi si incanala in sessualità, in pensiero, in creazione artistica, in amicizia, in lavoro, in esperienza sociale, conservando le sua natura divina.
La “divina scintilla” della sessualità muove sia le relazioni affettive che l’indagine sul mondo, sia la ricerca di contatto intimo con gli altri, sia la spinta ad arricchire il proprio sé, a evolvere sul piano narcisistico.
Freud sembra proporre una sorta di riconciliazione che intreccia sessualità e pensiero, narcisismo e investimento del mondo, senza farne due polarità opposte.
La sublimazione, come il procreare, è frutto di questa spinta a diventare, che travalica, in parte, i traumi e le vicende storiche di ciascuno.
La sublimazione implica l’introiezione, concetto che prende centralità con l’introduzione al narcisismo  del 1914,  questo meccanismo trasforma una scelta oggettuale erotica in un cambiamento dell’Io stesso, cioè in un’acquisizione narcisistica. Per la crescita dell’apparato psichico e della capacità di sublimare occorre che l’oggetto sia abbandonato in quanto tale, e introiettato; occorre che le vicissitudini della passione si trasferiscono nel mondo interno. La sublimazione emerge dall’abbandono degli oggetti concreti e dalla loro introiezione, qui si realizza una maggiore complessità psichica, un allargamento della vita psichica.
A partire da questi nuovi concetti non ha più senso intendere la sublimazione come inibizione della sessualità, come de-sessualizzazione. Piuttosto occorre pensare alla sublimazione come un processo che dona spessore al soggetto (e all’oggetto), ristrutturandoli su piani più articolati e più complessi. (H. Loewald)
Se il percorso verso la sublimazione è quello dell’interiorizzazione, anche il concetto di scarica non ha più senso. La libido è de-sessualizzata semplicemente perché si dispiega ora all’interno della struttura psichica, al servizio di un arricchimento narcisistico dell’individuo e non in termini di una scarica. Le relazioni si trasformano in relazioni interne tra strutture e piani diversi dell’apparato psichico.
La sublimazione ha una valenza narcisistica e una valenza oggettuale perché stabilisce il primato della connessione con il mondo, con la realtà che noi umani abitiamo insieme.
“ Al culmine di una scoperta, quando il suo sguardo è in grado di abbracciare un vasto settore di quel tutto di cui è parte, l’individuo è afferrato dal pathos e celebra con parole esaltate la magnificenza di quel frammento di creazione che ha indagato.”(2)
Il culmine della sublimazione è la celebrazione, momento in cui l’individuo non solo avverte l’arricchita organizzazione del suo Io, ma anche la misteriosa magnificenza del mondo che non ha creato lui, di cui può indagare solo frammenti e comunicarli al gruppo.
Da quello che si è detto risulta anche come la sublimazione abbia sempre una implicita  componente di auto-cura, di auto-guarigione,  essa ci sostiene nell’impatto con la dimensione ignota del mondo interno ed esterno, senza esigere il ricorso alla rimozione.

Bibliografia

Freud S. (1910) Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci. OSF 6

Freud S. (1914) Introduzione al narcisiscmo. OSF 7

Freud S. (1915a) Pulsioni e loro destini. OSF 8

Freud S. (1915b) Lutto e melanconia. OSF 8

Freud S. (1925) Inibizione, sintomo e angoscia. OSF 10

W.Loewald H (1988) La sublimazione. Torino, Boringhieri

(1) Nel lavoro “Inibizione, sintomo e angoscia” (1925) Freud sostiene che l’Io inibisce per evitare conflitti con l’Es o con il Super Io. L’Io ricorre all’inibizione quando avverte la pericolosità di rappresentazioni pulsionali emergenti, la rappresentazione pericolosa non solo è rimossa e spostata in chiave sintomatica, ma ad essa viene impedito di volgersi in azione. Ma quali sono queste rappresentazioni pericolose? Quali sono i moti pulsionali che l’Io avverte come pericolosi e inibiscee? Si tratta delle pulsioni coinvolte dalla configurazione edipica: l’odio omicida e la tenerezza verso il padre, l’angoscia di castrazione conseguente. La richiesta pulsionale non sarebbe un pericolo in sé se non portasse al pericolo di ritorsione, di evirazione. La paura dell’evirazione si trasforma e, nel corso dello sviluppo, diventa una angoscia che viene da dentro: angoscia sociale e morale, una minaccia da parte del Super Io, e non più da fuori, dai genitori. Nel corso dello sviluppo Freud immagina che la paura di evirazione alluda via via alla paura di vivere e di morire, e coglie una serie di nessi: evirazione-separazione-parto-svezzamento- perdita delle feci, morte. In definitiva il pericolo che suscita l’angoscia è la perdita, la separazione (50-60), che implica lutto,  dolore e angoscia.

(2) Freud 1910, pag. 221.

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