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Il fattore T in psicoanalisi. A cura di Antonella Granieri (2015). Recensione di Rita Corsa

12/10/15

A cura di Antonella  Granieri (2015)

Il fattore T in psicoanalisi
La tenerezza nel lavoro di Eugenio Gaburri

Edizioni Borla, pp. 128

«L’albero verdecupo
si stria di giallo tenero e s’ingromma
(…)»   

(Eugenio Montale, Crisalide, 1925)

In questa splendida e complessa lirica posta a sigillo degli Ossi di Seppia, Eugenio Montale, il poeta più amato da Eugenio Gaburri, ricorre alla tenerezza per rendere l’apertura alla vita che sgorga nel miracolo primaverile. E’ uno dei pochi versi montaliani dove ritorna l’immagine della tenerezza, che dà colore a «codesto solare avvenimento», verso cui il poeta si «protende» dall’«oscuro» suo «canto».

Il libro curato da Antonella Granirei che andiamo a commentare è un omaggio sincero e appassionato al cantore della Tenerezza in psicoanalisi, Eugenio Gaburri, il Maestro scomparso nel dicembre del 2012.  A lui sono state dedicate due giornate commemorative: la prima, Eugenio Gaburri. Tenere la rotta nel mare della psicoanalisi, si è svolta in forma di convegno a Milano (25 gennaio 2014) e l’altra, Giornata in memoria di Eugenio Gaburri, a Torino, presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università (15 febbraio 2014). Il volume di Antonella Granieri raccoglie alcuni interventi dei colleghi e amici del grande psicoanalista italiano, che hanno evocato la sua figura umana e di geniale pensatore nel corso dei due eventi.

Il libro ha una struttura assai accattivante, caratterizzata dall’alternarsi di lavori di stampo teorico-clinico a scritti «più orientati al fluire del ricordo» (Granieri, p. 9), che si intrecciano vividamente nel capitolo conclusivo, che riprende il testo della Tavola Rotonda tenutasi nella giornata torinese. I partecipanti alla Tavola Rotonda (Franco Borgogno, Carmelo Conforto, Antonino Ferro e Claudio Neri) – orchestrati da Granieri, che introduce la discussione ponendo il problema della doppia polarità di campo Tenerezza↔Aggressività – a tratti abbandonano lo scambio teorico per addentrarsi nei sentieri della memoria. Narrano di toccanti episodi personali, che disvelano momenti assai intimi nell’incontro umano e professionale con Eugenio. A volte paiono «ricordi un po’ irriverenti e trasgressivi» (Borgogno), ma sempre connotati da quella “reciprocità” senza “persecutorietà”, che era lo stile di lavoro e di fare legame del grande analista cremonese: «un analista elettivamente introiettivo, ma nello stesso tempo un analista vulnerabile, un analista (…) che accetta l’impatto della situazione emotiva, lo sa tenere dentro di sé accogliendo i lunghi tempi della digestione senza esserne troppo mortificato» (Borgogno, 106).

Il tema precipuo della tenerezza in psicoanalisi è affrontato da Claudio Neri, che declina questo concetto avvalendosi delle intuizioni innovative offerte soprattutto dagli ultimi saggi di Gaburri e da alcune illustrazioni cliniche. La comparsa della tenerezza è un “risultato”, che favorisce il riconoscimento dell’altro e, nel contempo, attiva il processo di individuazione-separazione. La tenerezza è un legame. Ma è «un legame differente dai tre legami spiegati da Bion (…) L (Love, amore), H (Hate, odio), K (Knowledge, conoscenza). (…) E’ una forma di legame asimmetrico, ma non privo di reciprocità» ( 27). La tenerezza è inoltre una “funzione”, che permette «l’elaborazione di ciò che di perturbante vi è sempre nell’incontro con un altro» (28). Riveste quindi una funzione trasformativa all’interno di una relazione intersoggettiva.

Fausto Petrella ci dona un profilo composito del pensiero di Gaburri, al quale si sentiva unito da «amicizia profonda e grande intesa affettiva», oltre che da una «fratellanza sui generis», dettata da «una comune esperienza come psichiatri nell’istituzione pubblica e una posizione fortemente critica verso la psichiatria» (15). Un lungo sodalizio, a partire dai primi anni Settanta, che si concretizzò in tante collaborazioni ufficiali, tra cui la costituzione dei “Seminari del Giovedì” al Centro Milanese.  Petrella sviluppa specialmente il concetto di “doppio” nella produzione psicoanalitica di Gaburri, tanto affine al “compagno segreto” del celebre romanzo di Conrad (1910), autore spesso citato dallo psicoanalista cremonese.

Nell’emozionante ritratto dedicato al collega, anche Ronny Jaffè rievoca Conrad, insieme ad altri personaggi che hanno animato le navigazioni psicoanalitiche di Gaburri.  Si tratta di “doppi” che lo hanno accompagnato nelle sue innovative e audaci esplorazioni dell’oceano dell’inconscio, anch’egli, come Freud, sotto la guida ispiratrice di Rolland (47). Ecco allora avanzare Dersu Uzala, il piccolo uomo semiselvaggio dalla conoscenza magico-intuitiva che, come racconta Kurosawa nel suo capolavoro cinematografico, affianca la competenza e gli strumenti del capitano Arsen’ev per orientarsi nelle steppe della Manciuria. E ancora il Velázques che, dipingendo Las Meninas (1656) – opera rivoluzionaria in campo pittorico -, porta estrema complessità alla decodifica del campo gruppale (53).  Il Pifferaio Magico della fiaba dei Grimm occupa un posto di rilievo nelle ultime teorizzazioni dello psicoanalista cremonese. Secondo Gaburri – spiega Jaffé – il pifferaio «conduceva una comunità di abitanti (adulti e bambini) completamente indifferenziata e soggiogata a una promessa allucinatoria delirante [l’illusorietà di potersi salvare attraverso la morte altrui] cui solo il bambino zoppo – piccolo Edipo –» poteva sottrarsi, «in virtù  di una sua specificità paradossalmente salvifica» (48-49). Un elemento di specificità che consente la circolazione del pensiero e dell’individualità in ogni gruppo sociale. Il capitolo di Marco Sarno approfondisce proprio gli aspetti del degrado e del conformismo sociale che connotano i gruppi dominati dall’“identificazione a massa” che inibisce l’individuazione (Gaburri e Ambrosiano, 2003). In linea con Gaburri, Sarno sostiene che in tali assetti gruppali vi sarebbero «la scomparsa del senso del limite, della caducità che viene degradata nel suo contrario (…) e il fallimento della capacità negativa, della capacità di sostare nell’incertezza [che vengono sostituiti] da una sorta di ottusità indifferenziata, un non-pensiero che scatena diversi tipi di devastazioni interpersonali e ambientali» (78).

L’incontro con la dimensione psicotica si è costantemente ripresentato nell’opera di Gaburri, nutrito dalla pratica clinica con i pazienti gravi, dai suoi saggi giovanili sul narcisismo, dalla lunga frequentazione del pensiero bioniano e dallo studio del funzionamento gruppale. Carmelo Conforto descrive il processo di significazione che lo strumento analitico è stato in grado di attivare nel lavoro con una paziente psicotica, segnata da un’infinita storia di istituzionalizzazione. Una significazione comunque «immersa nelle ombre del mistero» (44).

Antonino Ferro tributa a Gaburri l’importante riconoscimento di aver sviluppato, insieme a Claudio Neri, Fernando Riolo e i colleghi del “Pollaiolo” romano, la nuova idea di campo nata dagli studi di Corrao; un’idea di campo che si distingue nettamente dal campo bi-personale proposto dai Baranger. Questo gruppo di analisti italiani ha teorizzato un concetto di campo che adesso potremmo chiamare “multipersonale”, in quanto «consiste nel formarsi di una grande gruppalità (…), gruppalità cui danno vita il funzionamento mentale di analista e paziente come un campo in movimento in cui le varie persone che entrano in scena sono considerate come personaggi chiamati a giocare diverse parti» (Ferro, 91). Per Ferro, il pensiero di Eugenio – un analista in grado di sostare bionianamente nella capacità negativa in attesa del fatto prescelto – è diventato una fonte inesauribile di futuro.

Esempi emblematici di tale ponte verso il futuro sono i capitoli di Giovanna Maggioni e di Antonella Granieri, che ripercorrono le loro supervisioni di training effettuate ormai molti anni addietro con Gaburri. Risultano testimonianze toccanti e sincere, arricchite da commenti teorici, che si valutano assai preziosi specialmente per i giovani candidati. Così come lo scritto di Marco Gonella, che rilegge “pillole” delle lezioni tenute da Gaburri alla Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università di Torino.  Un cenno alla propria esperienza formativa viene fatto pure da Paolo Chiari – di recente curatore, insieme a Marco Sarno, di una ricchissima raccolta di scritti scelti di Eugenio Gaburri (2014).

Sulla scia dell’affettuoso ricordo rimane infine Louis Jorge Martin Cabré, che saluta l’amico che se ne va con le commosse parole del cantautore argentino Facundo Cabral: «Cuando un amico se va/queda un espacio vaciò (…)» (87).

Insomma, un libro composito, fatto di psicoanalisi e di emozioni. Teneramente.

Rita Corsa

Bibliografia

Conrad J. (1910). Il compagno segreto. In: Racconti di mare e di costa. Torino, Einaudi, 1975.

Gaburri E., AMBROSIANO L. (2003). Ululare con i lupi. Torino, Boringhieri.

Gaburri E. (2014). Navigando l’inconscio. Scritti scelti.  Sarno M., Chiari P. (a cura di), Milano, Mimesis.

Montale E. (1925). Crisalide. In: Tutte le poesie. Milano, Mondadori.

Ottobre 2015

 

 

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