Margarete Mitscherlich Nielsen

Margarete Mitscherlich Nielsen

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21/06/12

E’ stata intellettualmente attiva fino all’ultimo. In tutto il suo lavoro è  presente un’ispirazione  critica collegabile  alla temperie della Scuola di Francoforte, il vasto movimento di  pensiero che ha profondamente inciso sulla cultura filosofica e sociologica  della prima metà del Novecento, e  da cui è nata la teoria critica della società.
Nata in Danimarca da padre  danese, medico, e da madre tedesca,  Margarete Nielsen  studia medicina a Monaco e ad Heidelberg; si trasferisce poi a lavorare in Svizzera, e lì  conosce Alexander Mitscherlich, suo futuro marito, che come medico sarà uno degli esperti  per l’accusa al processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti. Negli Anni Cinquanta è a Londra con Alexander e completa il suo training psicoanalitico a contatto con Anna Freud, con Paula Heimann e Michael Balint. Dopo il rientro in Germania la sua vita di  fautrice, con il marito,  di una psicoanalisi applicata alla società, ruota intorno all’Istituto S. Freud di Francoforte,  alla rivista Psyche e alle Università di Heidelberg e di Francoforte. I Mitscherlich sono da annoverare tra i protagonisti del dibattito intellettuale tedesco del dopoguerra, e grazie alla loro non compromissione con il nazismo,  diventano  garanti della ripresa della psicoanalisi in Germania.

La fama della Mitscherlich  sia in Germania sia in Italia  è fortemente legata al libro Die Unfähigkeit zu Trauern del 1967 (tradotto in italiano come Germania senza lutto. Psicoanalisi del postnazismo,  Sansoni, 1970) di cui è  autrice con il marito.

Il libro fa scalpore perché addita i nodi irrisolti nei processi psicologici di massa dei tedeschi  nella ricostruzione del dopoguerra, dopo  la disfatta del nazismo.

La tesi centrale del libro è che  la rapidità del processo di ricostruzione, avvertibile anche nella frettolosità della riedificazione  delle città e delle infrastrutture distrutte dalla guerra, indica un diniego maniacale del lutto. Il passato viene in tal modo “de-realizzato” cioè reso irreale come un sogno, e svanisce ogni partecipazione emotiva alla realtà del massacro di milioni di esseri umani. La maniacalità cancella  ogni sentimento di colpa, angoscia, dolore, lutto. A questo tipo di  reazione i Mitscherlich oppongono  quella del ristretto gruppo di intellettuali “che non si abbandonarono all’illusione che la colpa fosse cancellabile con l’atto di  diniego” e forgiarono il concetto di “espiazione tedesca” proprio per indicare che non erano i dirigenti della Germania ricostruita a poter decidere quando doveva finire   il processo di espiazione della Germania.

Il duro atto d’accusa dei Mitscherlich  era motivato  dalla scandalosa resistenza, ampiamente documentata, che le istituzioni tedesche negli Anni Cinquanta e Sessanta opponevano alle richieste  provenienti dall’opinione pubblica mondiale di processare i criminali nazisti. I  Mitscherlich mettevano in guardia circa i rischi dell’apparente immobilismo psichico delle masse, indicato come una risposta  sterile e passiva alla routine autoritaria.

A tanti anni di distanza il libro stimola ancora le nostre riflessioni sui fenomeni legati  alle responsabilità storiche e ai traumi di massa. Ci si può chiedere  se, dopo la riunificazione della Germania, la società tedesca non abbia affrontato più risolutamente i fantasmi della sua storia,  riconoscendo la sua responsabilità nel nazismo, nella Shoah, nello sterminio di milioni di esseri umani inermi. Tra i diversi esempi di un tentativo di confronto e riparazione si potrebbe annoverare il contributo dato a più livelli da  psicoanalisti e intellettuali tedeschi in occasione del congresso organizzato dall’IPA a Berlino nel 2007 sul tema del ricordare e rielaborare. Una importante testimonianza della volontà da parte tedesca di  confrontarsi  con  mezzo secolo di  colpe e tragedie.

 

L’ispirazione critica, e l’attenzione per le forme di “estraneazione” o alienazione dell’individuo nella  società occidentale permeano  altri lavori della Mitscherlich, che fu una pioniera del femminismo. Sulla rivista femminista  Emma, nel 1978, Margarete indica Karen Horney come la prima allieva “ribelle” di Freud e attribuisce a  merito della Horney il fatto di  avere denunciato  il carattere patriarcale delle istituzioni, e della cultura  in cui viveva Freud.

Successivamente,  in un articolo tradotto in italiano  (in Panepucci A., Psicoanalisi e identità di genere, 1995) la  Mitscherlich affronta il tema dell’identità di genere e mette in guardia  contro l’ideologia che in psicoanalisi prende il carattere di un pensiero “non esplicativo, ma normativo”  che pretende di assolutizzare la norma disconoscendone il carattere culturalmente determinato. L’atteggiamento ideologico fa perdere la possibilità di arricchimento dell’identità, arricchimento che può arrivare solo dall’identificazione con l’estraneo, il non affine, il non identico.    In aperta polemica con “la psicoanalisi ufficiale in Germania” che rifiutava le tematiche femministe, la Mitscherlich  nell’articolo critica   Freud, la stessa Horney e la Klein, indicando il carattere ideologico delle loro posizioni sullo sviluppo psichico femminile. Segnala il rischio per la psicoanalisi dell’identità di genere  e dello sviluppo  femminile di essere tributaria dell’ideologia della società patriarcale, e di dare scarsa attenzione al ruolo dei fattori educativi e culturali nella costruzione del genere. Perciò la Mitscherlich accoglie con favore  le posizioni psicoanalitiche sul genere  che erano all’avanguardia negli anni Settanta e Ottanta: quale quella  di R. Stoller sulla femminilità  originaria  e  quelle  di Ethel  Person e di L. Ovesey. In questa ottica  la formazione dell’identità di genere viene collegata all’attribuzione del genere alla nascita (quindi a un aspetto “sociale”), al comportamento dei genitori e al gioco di proiezioni e introiezioni tra bambino e  genitori. 

Nel solco del femminismo Margarete pubblica nel 1985 il suo libro più famoso, Die friedfertige Frau,  (tradotto in italiano come La donna non aggressiva, edizioniLa Tartaruga, 1992) un’indagine sulle determinanti culturali e sociali del carattere femminile al di là di quelle puramente biologiche. Nell’autunno 2010 affida al libro Die Radikalitaet des Alters le sue riflessioni sull’invecchiare.

Margarete Mitscherlich Nielsen è stata una protagonista, con il marito Alexander Mitscherlich della rinascita della psicoanalisi in Germania dopo la Seconda Guerra mondiale: “ha riportato la psicoanalisi in Germania e riformato Freud”, dice lo psicoanalista Wolfgang Leuschner sulla Sueddeutsche Zeitung il 14 giugno. “Senza di lei la Germania sarebbe verosimilmente rimasta ‘terra bruciata’  molto più a lungo – anche dal punto di vista psicoanalitico”, gli fa eco Alice Schwarzer, pioniera del movimento femminista tedesco.

 

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