Stefano Bolognini

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27/05/14

Verso un modello di training quadripartito

Stefano Bolognini

I modelli di formazione IPA sono basati ufficialmente su un modello tripartito: analisi personale, supervisioni e seminari.

Questa breve nota è dedicata a un possibile ulteriore sviluppo, che sembra essere già “nell’aria”, che consisterebbe nell’aggiungere – almeno concettualmente – un quarto elemento, essenziale per il futuro della formazione degli analisti: l’acquisizione, come funzione costitutiva e permanente dell’identità psicoanalitica, della capacità di lavorare insieme con i colleghi e di diventare parte attiva nelle attività di scambio scientifico e nella vita istituzionale.

Per quanto riguarda il singolo individuo, è sempre più condivisa la necessità che gli psicoanalisti non siano professionisti isolati, poiché questo comporta il rischio di perdita progressiva di conoscenze teoriche e cliniche. La psicoanalisi è in continua evoluzione e non vi è alcun motivo per cui il concetto di “formazione permanente”, che è accettato in tutti i campi delle discipline professionali, non debba applicarsi anche agli psicoanalisti.

Più nello specifico: l’esposizione – negli anni – ai pericoli di contaminazione dell’inconscio prodotti delle proiezioni transferali dei pazienti, che spesso ci vorrebbero onnipotenti, aumenta il rischio che un analista isolato si trasformi in un “guru” locale. Gli scambi istituzionali non solo ci consentono di aggiornarci scientificamente, ma anche e soprattutto di riconoscere i nostri limiti, attraverso il confronto costante con i nostri colleghi.

Ci sono altri fattori alla base di queste considerazioni.

Un fattore positivo è che numerosi analisti contemporanei sono sempre più interessati a condividere la loro esperienza professionale in gruppi di lavoro. Ciò è dimostrato dal crescente successo di WP e dei gruppi di lavoro nei vari Congressi, dove gruppi di 10-15 colleghi lavorano insieme intensamente per uno o due giorni per discutere lavori teorici o materiale clinico, con specifiche metodologie e con continuità in termini di composizione del gruppo.

Questi analisti hanno mostrato, oltre al loro interesse, anche la loro competenza nel trarre il massimo dal lavoro in piccolo gruppo, lavoro che allevia il senso di isolamento e permette a tutti i partecipanti di prendere parte attiva alla discussione comune.

La dinamica di gruppo offre inoltre gli analisti la possibilità di comprendere i metodi di lavoro di colleghi di diversa provenienza, per uscire dalla autoreferenzialità culturale e tornare al proprio ambiente di lavoro familiare con qualcosa di cambiato.

Un fattore negativo, che ci spinge a considerare un possibile quarto elemento della formazione analitica, è la crescente consapevolezza delle difficoltà storiche incontrate dagli analisti che vivono insieme in contesti istituzionali organizzati e strutturati.

Il continuo frazionamento delle società psicoanalitiche è la più chiara dimostrazione di questo fenomeno che è quasi onnipresente e dimostra che, senza un’adeguata formazione ed esperienza in questo campo, questa situazione continuerà lungo il suo corso naturale.

La consueta rivalità edipica, sia generazionale che fraterna, e le intolleranze narcisistiche personali trovano terreno fertile in contesti che – nonostante l’analisi individuale – si riproducono con frequenza implacabile e lacerante. Il fenomeno sembra interessare tutte le aree del mondo IPA.

Questo è il motivo per cui il Board dell’IPA ha recentemente approvato la costituzione di una nuova task force sulle questioni istituzionali specificatamente dedicata allo studio scientifico di questo problema istituzionale e, se richiesto, a dare un aiuto alle società.

Naturalmente non ci aspettiamo di essere in grado di sradicare le questioni narcisistiche e i conflitti, occupandoci di questi aspetti nel corso del training, ma possiamo aspettarci che qualche maggiore consapevolezza di questi fenomeni possa migliorare sensibilmente la consapevolezza soggettiva e gruppale dei futuri analisti nei confronti di questi rischi.

Un altro fattore negativo che ci porta ad ipotizzare un quarto pilastro nella formazione nasce dal fatto (costante nel tempo e nella distribuzione geografica) che molti psicoanalisti hanno una partecipazione relativamente limitata alle riunioni scientifiche e amministrative a vari livelli (Istituti o Centri, associazioni nazionali, federazioni regionali, IPA ).

Ricordo un incontro al Congresso IPA di Barcellona del 1997 di circa quaranta tra Segretari Scientifici e Chair, provenienti da tutto il mondo e tutti piuttosto scoraggiati, in cui era chiaramente emersa una constatazione: in ogni Società la percentuale di partecipazione media alle riunioni scientifiche oscillava tra 25% e il 30% dei membri. Da allora ad oggi, per quello che ho sentito, queste percentuali di partecipazione sono confermate da molte istituzioni psicoanalitiche.

A questa constatazione si accompagna quella del fenomeno, altrettanto onnipresente, di colleghi che, una volta ottenuta la qualifica di membro IPA, scompaiono quasi del tutto, come se il titolo di psicoanalista fosse visto come un titolo nobiliare che, acquisito “una volta per tutte”, non necessita più di formazione continua e condivisa. Questo sembra essere un fenomeno universale da prendere seriamente in considerazione.

In questi molti casi vi è il pericolo che, consultando il Roster, i colleghi che vivono in aree differenti inviino pazienti a colleghi scelti solo sulla base del loro status di membro IPA, anche se alcuni di loro da anni non frequentato corsi di aggiornamento e non hanno scambi né condividono esperienze con i colleghi.

Infine, va ricordato un altro pericolo, meno drammatico ma comunque insidioso, che vede gli analisti, dopo le qualifiche, chiudersi in se stessi, in un “claustrum“ devozionale e familistico, limitato a un piccolo gruppo di riferimento (spesso, come sappiamo, al seguito di un supervisore piuttosto che del proprio analista personale), per difendersi dal contatto con la realtà più complessa della psicoanalisi attuale, così internazionale e così polifonica.

In questo modo, all’analista si presenta la possibilità/difficoltà di emergere da un transfert istituzionale di tipo strettamente familiare per aprirsi agli equivalenti di una scuola secondaria, di un luogo di lavoro al di fuori della famiglia, insomma della vita socio-culturale in senso più ampio.

In definitiva, ci sono molte buone ragioni per riflettere su questo aspetto spesso poco considerato del training: la mancanza di attenzione – o di attenzione sufficiente – al “post-training” e al valore della partecipazione continua alla vita scientifica, amministrativa, istituzionale e comunitaria. Le opportunità di collaborazione di gruppo durante il training sono spesso limitate alla frequenza con gli altri colleghi dei seminari dell’Istituto. Di solito non ci sono possibilità di insegnamento per aumentare la consapevolezza riguardo ai fenomeni di patologia sociale che affliggono le nostre società come affliggono altre comunità professionali.

Per quanto riguarda gli psicoanalisti, che sono destinati a convivere l’un con un altro (si spera in modo fecondo e fruttuoso!) combinando la loro realtà interna con la realtà esterna delle loro istituzioni, credo sia giunto il momento di cominciare a pensare in termini di formazione “quadripartita”, per abituarci a coltivare la collegialità come dimensione utile e necessaria.

Maggio 2014

Tradotto da Ipaweb:
http://www.ipa.org.uk/en/Newsletters/From_the_President_May_2014.aspx?WebsiteKey=85b594db-b201-4cac-80b7-990cca800cb5

Vedi anche(solo con accesso ad area privata)

http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2504:pensando-ad-un-quarto-pilastro-del-training&catid=502:ripensare-il-training-14-ottobre-2012&Itemid=168

 

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