La Ricerca

Pirrongelli C. (2015). Una relazione analitica nell’ottica neuro psicoanalitica (XLI Convegno a Seminari Multipli SPI, Bologna Maggio 2015)

4/06/15

Pirrongelli C. (2015). Una relazione analitica nell’ottica neuro psicoanalitica

Testo della relazione presentata nel XLI Convegno a Seminari Multipli della Società Psicoanalitica Italiana, nel seminario coordinato da A.Falci “Lo stato attuale delle implicazioni delle neuroscienze sulle teorie, sui modelli e sulla clinica della psicoanalisi“. Bologna, 23 Maggio 2015.

 

Questo caso condivide l’ottica evoluzionistica sposata da Jaak Panksepp (1998, 2012) e altri autori, l’approccio delle “Affective neuroscience” e delle sette emozioni di base condivise con tutti i mammiferi e alcuni uccelli e rettili. Queste emozioni, profondamente sottocorticali, hanno permesso la nostra sopravvivenza, la nostra evoluzione, e, a parere di molti analisti e studiosi, condizionano gran parte del nostro essere e agire. Sono consapevole del fatto che un sistema dinamico non lineare come il processo analitico, e la “Greater mind” che è la “Coupled Mind” del paziente e dell’analista (S. Hill 2014) non possano essere né ridotti né compresi né semplificati a un’unica teoria (per quanto basata su dati certi). Chiedo di considerare questa esposizione come una descrizione in parte poetica, a partire dai dati delle Affective Neuroscience. Qualcosa visto da un vertice specifico che sento e considero fondamentale nella pratica clinica, ma la cui integrazione in un sistema di tale complessità è ancora da pensare e definire.

Racconterò un caso seguito in un setting regolare per circa venti anni, inizialmente quattro volte a settimana, ora ogni quindici giorni, nel quale sono sempre state rispettate le regole dell’operare analitico. Ne farò una rilettura alla luce di quello che, nel corso degli ultimi anni, mi è venuto in aiuto dalla conoscenza delle Affective Neuroscience, in particolare dell’emozione del CARE ( la cura,l’accudimento primario) e quanto ne è risultato.

Caso

Sul sedile posteriore di una Flavia nell’estate del 1968, una bella neonata di quaranta giorni prende pacificamente il latte dal seno di sua madre. Il padre guida e canta con l’altra sorellina di tre anni seduta sul sedile davanti. Una curva a gomito, una sbandata, la Flavia che si ribalta, la neonata esce come un proiettile dal vetro e finisce sull’asfalto. Tutti vengono portati in ospedale tranne la neonata la quale, indenne, resta con i presenti sul luogo dell’incidente. Una cesura.

La sua vita, da allora, procede con difficoltà; è riunita dopo alcuni mesi ai suoi, è miope in modo gravissimo, il padre è un violento, alcolista; in casa vigono l’ipocrisia, il non detto, il non essere vista e il non vedere. Non saremo mai in grado di comprendere, né qui né altrove, il preciso rapporto causale fra quel trauma e i sintomi dissociativi conseguenti e, come sempre, il risultato non potrà che essere considerato complesso, non  lineare, e multifattoriale; certamente gli eventi successivi hanno contato, in bene e in male, e così la sua base genetica, i cambiamenti epigenetici e chissà quante altre cose ancora.

Di fatto la dissociazione è evidente soprattutto nei sintomi da distacco (detachment) e consiste nel vivere perennemente in uno stato di ottundimento emotivo (emotional numbing). Tutte le sue risposte sono rallentate, anche sul piano cognitivo, come se arrivasse ogni volta da lontano, da un altro luogo, e sono carenti sia alcuni aspetti della sua memoria, dell’apprendimento e la sua capacità di mentalizzazione.

Però, come Mr. Magoo, la sua cecità dissociativa non le ha impedito di andare avanti, schivando le buche, e realizzare in mezzo a tutto questo: una professione medica, un figlio, una certa abilità nelle cose pratiche, il dono di una spiritualità che le ha permesso di dare un valore alla sua vita nonostante maltrattamenti, aborti, abusi, tradimenti. In modo fantasioso ma sempre più vicino a essere delirante, io la conobbi convinta di avere una missione su questa terra: il ruolo di angelo che doveva aiutare chi le stava intorno, perverso, alcolista, violento o tossicodipendente che fosse. Doveva dare tanto, sopportare, soffrire e poi, una volta abbandonata, passare a un altro Di fronte all’aggressività ancora adesso tende ad accentuare il suo numbling, e così di fronte alla durezza, alle richieste perentorie. Ma non ne è travolta, ha una certa capacità di reazione sia pur con ritardo.

E’ sempre stata determinata e costante nell’andare avanti e a ricostruire. Sono passati moltissimi anni e mi sono chiesta cosa abbiamo fatto di buono in analisi, se l’abbiamo fatto, e perché la paziente continui a venire ogni quindici giorni. Ricordo i nostri pomeriggi come se fossero stati sempre uguali, i nostri colori che si assomigliavano sempre più, le nostre voci educate anche, il tono calmo e morbido, la piacevolezza dello stare insieme, l’affetto, un’impressione di sospensione, una tenerezza. Il raro profumo del pout pourrì di studio e che lei per anni ha comprato per la sua casa, come fosse un’estensione del nostro luogo. Il mobile di noce antico come il mio mobile. Non ricordo un’interpretazione cruciale, degli switch, né cambiamenti nei vissuti transferali e controtransferali, sempre positivi. Ricordo la sensazione di un ritmo lento e costante in avanti, che sottendeva quanto di traumatico, continuava ad accadere in superficie e nei sogni che mi raccontava. I sogni in cui era travolta da un’onda, ripetutisi quasi ogni notte per anni, si sono rarefatti. L’ultima volta teneva un bambolotto per mano e non lo mollava neanche dopo che l’onda si era abbattuta su di lei.

Poi, grazie all’apporto delle neuroscienze, credo di essere arrivata a capire cosa sia accaduto e accada a un livello profondo della nostra relazione: piano piano ci siamo riassestate sul sedile posteriore della macchina. Lei viene a guardarmi, a sistemarsi in braccio, a sentire il profumo del luogo, ad ascoltarmi, a sentire la mia voce che è per lei anche una musica, una vibrazione, un’esperienza tattile (Panksepp, Bishop 1981), un tocco, che la riporta sul sedile di dietro della macchina. La mia e la sua voce si fondono, noi ci fondiamo, il male è fuori dalla stanza d’analisi e noi sostiamo in un regno mantenuto intatto in cui tutto è di là da venire. Noi siamo capaci di vivere parallelamente il qui e ora in un altrove e in un allora. Ogni tanto forse è stata in grado, anche da lì, di condividere storie su quella che è la vita reale ma quando è con me, la vita è per lo più un sogno affrontabile, che non le fa paura. Una parte del suo stesso essere, mentre la vita la attaccava in ogni modo e lei sceglieva situazioni di prevedibile trauma, stava con me sul sedile di dietro, saldamente avvinta a me. Qualche volta sono stata sua sua nonna, quella che le comprava le ciambelle fritte : un ricordo felice.

Io sono certa che lei ha fondato una parte relativamente coesa e sicura di sé col venire più volte a settimana sul lettino-sedile posteriore, immersa nell’atmosfera a lei necessaria, intimamente affascinata dalle parole della sua analista, parole di cui non comprende propriamente il senso o il significato, bensì la musica; una musica che le dà la certezza, come in una favola, che tutto andrà per il meglio. Io le parlo ed è come se la accarezzassi, se la ninnassi, se le permettessi di aprire gli occhi sulla vita, quel  tanto che le serve per riacquisire una certa qual forza, una capacità critica e di giudizio e andare avanti. Allo stesso tempo dobbiamo essere pronte a tornare lì, sognanti, un attimo prima dell’incidente che la sbalzerà sull’asfalto a quaranta giorni di vita, prima di perdere ogni continuità con qualcosa di conosciuto: la sua cesura.

Da Panksepp (2012)…Probabilmente ci sono molti stimoli esterni che attivano il sistema della cura, ma uno che dovrebbe certamente ricevere maggiore attenzione è la musica… …Vi sono molte ragioni per credere che una musica rassicurante possa favorire il rilascio di ossitocina nel cervello… (e la mia voce è questo per lei)…Il potere della musica nell’attivare l’ossitocina cerebrale potrebbe essere la forza implicita che anima il film documentario del 2004 del National Geographic dal titolo la storia del cammello che piange. Da J. Panksepp (2012): “Forse per un parto particolarmente doloroso e per lo stress, la madre cammella rifiutò di accettare e di accudire il puledro che ululò pietosamente per molti giorni stando spesso a poca distanza dalla madre. Nel tentativo di risolvere il dilemma, i nomadi eseguirono una tradizionale “cerimonia di ricongiungimento” ingaggiando un rinomato musicista mongolo finché suonasse una toccante melodia in sottofondo mentre la capofamiglia cantava una ninnananna alla mamma cammello accarezzandole delicatamente il collo e il corpo. Grazie a questa commovente interazione tra specie diverse il giovane puledro fu spinto a cercare i capezzoli della madre; madre e figlio furono incoraggiati a impegnarsi l’uno con l’altro mentre i pastori, con l’aiuto di una musica rassicurante e del contatto, cercavano di riaprire la finestra di legame. Il senso profondo dell’armonia emotiva che si era stabilita lentamente ammaliò non solo l’audience degli umani (è stato proposto per l’Oscar) ma anche la madre cammello. Sebbene ci sia voluto del tempo, il suo cuore si aprì verso il puledro e lo accettò in seno a un duraturo legame madre figlio.”. Panksepp 2012.

Penso che la mia paziente ed io, abbiamo fatto qualcosa di simile. Abbiamo passato vent’anni a mantenere aperta la finestra di legame: “Il magico periodo subito dopo il parto fatto di odori sensazioni ed emozioni verso l’altro materno che crea un legame profondo e indissolubile che ti permetterà di iniziare la tua vita” e a impedire che la cesura tagliasse ogni possibilità vitale e relazionale. Cosicché lei potesse serbare vivi, grazie al nostro essere pronte a cantare insieme, essere accarezzata dalle vibrazioni della mia voce, la sensazione della nostra reciproca esistenza e del nostro legame. In qualche modo, nonostante quanto accaduto, abbiamo tenuto aperta quella finestra e, grazie a questo, quel tanto di fiducia per aprirsi ad altre relazioni nel mondo. Nonostante la coazione a ripetere che con difficoltà sfumava, tra numbling e traumi, procedendo come Mr. Magoo, si è preservata sino a costruirsi una discreta vita. Tra l’altro si occupa, con competenza, estremo amore e sensibilità, di bambini. E’ una madre sufficientemente buona e ha un bambino bello e normale.

Certi tipi di musica rassicuranti, come può essere la voce dell’analista nella stanza, rappresentano forme speciali di tatto perché l’udito è un senso legato alla vibrazione della pelle e potrebbero favorire il rilascio di oppioidi oltre che di ossitocina, come dimostrerebbe la ricchezza di recettori di oppioidi nei collicoli inferiori, una delle stazioni di trasmissione uditive inferiori. Non affermo che la scelta giusta o l’unica valida fosse “cantare insieme sul sedile posteriore” (e molte altre cose abbiamo fatto oltre a questa, più “canoniche”) ma certamente la mia voce, la mia cura, la mia attenzione alla sensorialità, sembrano essere state capaci di rispettare un misterioso condiviso intuitivo timing di andata e ritorno da quella situazione pre-traumatica che si è andata ampliando via via, che si è approfondita nel suo corpo come un sincizio che l’ha resa dapprima vivente e poi pensante e le ha permesso di mutuare una certa capacità di muoversi adeguatamente nel mondo reale. Gli essere umani legano tramite la vista, l’udito, il tatto, oltre che forse l’olfatto. Nel regno animale le madri che curano i piccoli e che presentano alte concentrazioni di oppioidi endogeni e ossitocina mostrano atteggiamenti fiduciosi del tipo “posso farlo” e impulsi a “prendersi cura e si amichevole”. L’ossitocina, oltre ad avere un ruolo nel creare reazioni materne di tipo fisico ed emotivo permette alle madri di ricordarsi della loro prole. La norepinefrina è un’altra sostanza chimica cerebrale, legata in qualche modo alla creazione di ricordi olfattivi e alla firma olfattiva unica dei propri figli : forse negli umani accade qualcosa di simile.

Panksepp e Trevarthen (2009) attribuiscono alla musica grande importanza nelle relazioni primarie e ritengono che la musicalità possa addirittura considerarsi un sistema motivazionale a parte. Ritengono che gli stimoli musicali siano in grado di modulare l’espressione genica del cervello umano e dare luogo a trasformazioni epigenetiche permanenti. Esiste un’ipotesi evoluzionistica di un precursore comune per musica e linguaggio, che Panksepp chiama il “MOTHERESE” un sistema comunicativo che in seguito si sdoppierebbe in due linguaggi con regole e finalità diverse. Studi di neuroimaging, hanno evidenziato già nel neonato aree cerebrali specifiche di entrambi gli emisferi capaci di interpretare sequenze strutturate di suoni, soprattutto se con ritmi corrispondenti a quelli dei processi corporei (come ad esempio il battito del  cuore materno). I contadini sostengono da molto tempo che le loro vacche fanno più latte quando ascoltano particolari tipi di musica; una tesi non ben documentata da Panksepp, nata nel corso di studi sull’ansia di separazione, ha mostrato che la musica può ridurre il pianto indotto dalla separazione nei pulcini appena nati e che quando si fa ascoltare della musica ai pulcini neonati, il profilo comportamentale che si riscontra è lo stesso di quando l’ossitocina è iniettata direttamente nei loro cervelli.

Per quanto riguarda la psicoterapia, diversi ricercatori (Feifel et al. 2010, Panksepp 2009, Young Wang 2004) iniziano a sospettare un ruolo positivo dell’ossitocina in psicoterapia, soprattutto sui pazienti insicuri e preda di dubbi, grazie alla capacità di questo neuropeptide di rinforzare la fiducia in sé e nel proprio ruolo sociale.

Ora che si è in grado di integrare le conoscenze classiche con quanto acquisito dalle Affective Neuroscience e da altre scoperte scientifiche e neuroscientifiche, usando la “talking cure”, qualsiasi paziente che intraprenda una seria analisi, mostra di intuire, di sentire che si tratta di un prezioso strumento per la sopravvivenza sua e quindi della nostra specie (rilevo la mia ottica evoluzionistica). E credo che noi analisti dovremmo essere consapevoli del grande ruolo “etico”, perché no, al quale siamo chiamati più che mai in questo periodo di nuove scoperte. La parte più fondante di noi vive nel cervello più arcaico, nell’area preverbale, nelle memorie implicite ove è possibile adire se nudi, privi di sovrastrutture, senza memoria né desiderio, ponendo in contatto le parti emotive e sensoriali proprie con quelle dell’altro, con un processo che vada dal basso verso l’alto, dal livello somato-psichico, salendo gradualmente nel dispiegarsi dei processi di simbolizzazione e soggettivazione. Panksepp afferma che non esisterebbero mammiferi sulla faccia della terra se i loro cervelli e i loro corpi non fossero preparati a investire enormi quantità di tempo e di energia nella cura della loro prole che non sarebbe in grado di sopravvivere senza tale devozione. Anche a noi analisti è chiesto un certo tipo di devozione: all’apertura, alla conoscenza, alla comprensione, al cambiamento, alla consapevolezza, alla complessità, alla passione, all’investimento che richiedono lo studio e la cura della mente dei nostri pazienti.

Bibliografia

Panksepp J. (1998) “Affective Neuroscience, the Foundation of Human and Animal emotions”. Oxford University press. New York

Panksepp J., Biven L. 2012 “The Archaeology of mind” Oxford University press. New York

Panksepp J. Bishop P. (1981) “An autoradiographic map of (3h) diprenorphine binding in rat brain: Effects of social interaction”. In Brain Research Bullettin, 7, pp. 405-410

Panksepp J., Trevarthen C. (2009). The neuroscience of emotion in music. In Communicative musicality: exploring the basis of human companionship. Oxford: Oxford University Press

Feifel D., MacDonald K. et al. 2010,Not disappointed by anxiety: A reply to Cardoso and Ellenbogen’s commentary “Oxytocin and psychotherapy: Keeping context and person in mind” Psychoneuroendocrynology, December 2013, Volume 38, Issue 12, Pages 3173. x

David Feifel

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University of California, San Diego Medical Center, Department of Psychiatry, United States

Panksepp J. (2009) “Brain emotional systems and quality of mental life: from animal models to implications for psychotherapeutics” in Fosha D., Siegel D. J., Solomon M.F. (a cura di), “Attraversare le emozioni” vol. I e II Tr. IT. Mimesis, Milano, 2012/2013

Young L. J., Wang Z. 2004 “The neurobiology of pair bonding”. In Nature Neuroscience, 7, pp.1048-1054

Hill S. 2014   in “The future of the Brain”: Essays by the world’s Leading Neuroscientists” pag.111 Edited by G. Marcus & J. Freeman

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