La Ricerca

Inconscio non rimosso

14/12/20
ZAO WOU-KI, 1983

ZAO WOU-KI, 1983

INCONSCIO NON RIMOSSO

A cura di Gabriella Giustino

Storia e definizione del concetto

Il concetto di inconscio non rimosso deriva da un insieme di contributi psicoanalitici e dall’apporto di discipline contigue come l’attaccamento[1], l’infant research e le moderne neuroscienze.

Freud in l’Io e l’Es (1922), aveva accennato all’esistenza di un inconscio non rimosso, forse riferibile ad una parte dell’apparato psichico più primitiva dell’inconscio, che sembrava avere a che fare con l’esperienza sensoriale associata alla percezione della realtà esterna.

Diversi autori psicoanalitici contemporanei (Storolow e Atwood,1992; Stern, 1999), che guardano a un modello di sviluppo della psiche infantile centrato prevalentemente sull’importanza delle interazioni precoci madre-bambino, hanno posto l’accento sulla dimensione che potremmo definire intersoggettiva dell’inconscio. Questi autori fanno riferimento a una dimensione pre-simbolica dell’inconscio e distinguono una componente implicita ed una componente esplicita dell’esperienza psichica.

Nel 1992, Storolow e Atwood hanno descritto la dimensione intersoggettiva dell’ inconscio  inteso come deposito di affetti pre-verbali  non convalidati  da  risposte ambientali sufficientemente responsive. Tali stati affettivi non integrati diventano fonte di conflitti, difese dissociative e resistenze. La mancata sintonizzazione affettiva tra genitore e bambino nello scambio intersoggettivo è, dunque,  il fulcro della loro ipotesi; le emozioni non simbolizzate del bambino possono essere esperite attraverso il corpo e la  memoria corporea.  Essi affermano pertanto che l’inconscio dinamico di Freud non  è niente affatto incompatibile con quelle concettualizzazioni  sull’inconscio che, nel loro insieme,  potrebbero andare sotto la denominazione di “inconscio non rimosso” e che  sembra essere il risultato di un’ archiviazione, nella memoria implicita, di esperienze, fantasie e difese che appartengono ad un’epoca preverbale dello sviluppo e, pertanto, non possono essere ricordate, pur condizionando la vita affettiva e emozionale dell’adulto.

Nucleo inconscio del Sé (non rimosso)

Mauro Mancia (2006) definisce la natura dell’inconscio non rimosso come intrinsecamente relazionale, poiché i suoi contenuti sono il precipitato rappresentazionale prelinguistico delle vicende legate alla relazione primaria.   Per l’autore, il bambino, attraverso l’incontro denso di scambi corporei e sensoriali inscritti nella relazione emotiva con la madre, crea le sue prime proto-rappresentazioni dando loro una collocazione nel tempo e nello spazio, organizzando intorno ad esse il proprio mondo interno. L’inconscio non rimosso riguarda dunque alcune esperienze di relazione precoce con gli oggetti primari che restano dissociate dalla memoria esplicita autobiografica e si mantengono invece nella memoria implicita preverbale. Queste esperienze non possono essere sottoposte al meccanismo della rimozione dal momento che le strutture ippocampali dedicate alla conservazione della memoria autobiografica ed esplicita non maturano prima dei due anni di vita (Siegel,1999);  non sono suscettibili di ricordo cosciente non perché rimosse, ma in quanto non verbalizzate e non verbalizzabili. Esse costituiscono la struttura  portante di un inconscio precoce non rimosso che condizionerà la vita affettiva, emozionale e cognitiva dell’individuo anche da adulto e per il corso della sua intera vita.

Il lavoro creativo del bambino, immerso nella dimensione precoce corporea e sensoriale con l’ambiente, permette l’organizzazione e lo sviluppo del Sé  depositato nella memoria emotiva e va a costituire un nucleo inconscio del Sé non rimosso (Mancia, 2006).

Memoria emotiva nel sogno

Il sogno, in questa prospettiva, può corrispondere a un evento già registrato dalla mente inconsapevolmente e può intendersi come religione della mente (Mancia, 1988) nel senso di re-ligare cioè di legare insieme varie funzioni mentali: la memoria emotiva, la conoscenza, l’esperienza precoce corporea con l’oggetto primario. Talora il lavoro sul sogno trasforma in pensabile il non-rappresentabile rendendo possibile la raffigurabilità di contenuti altrimenti non accessibili all’analisi (Botella  2001).

Le memorie corporee sensoriali  possono riemergere  nei sogni di quei pazienti che, in età precocissima, hanno avuto gravi malattie o disabilità. Il corpo, con il suo statuto di generatore di sensazioni (e di memorie di sensazioni), sembra  capace di sostare nel sogno riproducendo il trauma e permettendone l’elaborazione e la comprensione nel processo psicoanalitico (Leuzinger-Bolheber, 2015). Sogni molto vividi, con una particolare componente fenomenologica sensoriale visiva (concreta  e quasi allucinatoria)[2] che persiste anche al risveglio e che cattura attoniti i pazienti, possono essere espressione del contenuto di un trauma emotivo precoce dissociato e accessibile all’ analisi solo attraverso l’emergere di una “memoria nel sogno” (Giustino 2009).

Questa particolare prospettiva sul lavoro del sogno che valorizza gli aspetti precoci del trauma emotivo depositati nella memoria implicita, non mette in discussione la potenza del rimosso Freudiano, della censura onirica e del sogno come espressione di un desiderio inconscio rimosso, ma si affianca ad essa, soprattutto nella clinica dei pazienti più difficili.

Molte tipologie di sogni e diversi tipi d’inconscio sembrano dunque stratificarsi nella comprensione del funzionamento della mente umana.

Le proto-rappresentazioni precoci nella mente infantile potrebbero forse essere paragonate alle pre-concezioni che Bion (1962) e Money- Kyrle (1927-1977) avevano ipotizzato come istanze inconsce emozionali che forniscono l’equipaggiamento interno al bambino per trasformarsi nell’incontro con la realtà e con l’oggetto, predisposizioni naturali e imprescindibili per la conoscenza soggettiva/oggettiva delle relazioni umane e del Sé.

Il nucleo inconscio non rimosso del Sé può a mio avviso rappresentare molto bene la dimensione intersoggettiva dell’inconscio poiché  è composto da affetti, difese e fantasie nell’incontro con la mente dell’altro ed è in diretto rapporto con quanto percepito dal soggetto nelle relazioni primarie, cioè la memoria delle  esperienze sensoriali precoci.

Il nucleo del Sé inconscio è, a mio parere, il deposito di una conoscenza  preriflessiva che è in stretto rapporto con quanto il corpo ha memorizzato di ciò che è stato percepito della realtà; è popolato di contenuti emotivo-sensoriali , fantasie sensoriali nel corpo e memorie del funzionamento corporeo (Gaddini, 1987; Giustino, 2017) o di percetti conosciuti non pensati (Bollas,1987) legati all’esperienza personale e corporea del mondo interno ed esterno.

Sé corporeo e intersoggettività: alcuni contributi neuroscientifici [3]

L’intuizione formidabile di Winnicott (1971) sul rispecchiamento del bambino nel volto della madre, è ancora oggi fonte di grande ricchezza.

La celebre frase dell’Autore per cui il bambino vede se stesso nel volto della madre, è uno dei numerosi esempi di come la nostra disciplina sia spesso capace di anticipare, con il pensiero intuitivo che deriva dalla nostra esperienza teorico-clinica,  ciò che altre discipline confermano poi più tardi .

Dobbiamo al gruppo di Gallese e Rizzolatti dell’Università di Parma la scoperta dei neuroni –specchio e dei vari funzionamenti corporei/ mentali in cui essi si attivano.

Collocati prevalentemente (ma non solo) nella porzione anteriore delle aree pre-motorie ventrali (area F5), sono neuroni motori che hanno la caratteristica di attivarsi durante l’esecuzione di movimenti volti al conseguimento di scopi molto precisi. Questi neuroni integrano anche informazioni sensoriali, cioè rispondono anche a stimoli tattili, acustici e visivi (Rizzolatti e Gallese, 2006); infatti anche il suono prodotto dall’azione è sufficiente a evocare la risposta dei neuroni-specchio.

Il meccanismo specchio presente nel cervello umano si attiva non solo in presenza di azioni dirette su oggetti, ma anche di azioni comunicative (es. la danza) e si attiva non solo durante l’esecuzione dell’atto motorio intenzionale, ma anche durante l’osservazione di un analogo atto motorio compiuto da qualcun altro,  anche quando è possibile immaginare (non solo vedere) questo atto.  Nel cervello umano, i neuroni specchio si trovano in alcune aree cerebrali legate funzionalmente ai processi della memoria (regioni para-ippocampali). Il rispecchiamento motorio di ognuno di noi è dunque potenzialmente diverso da quello degli altri perché la storia individuale e relazionale di ognuno di noi è diversa.

Gallese ipotizza che i neuroni specchio siano prelinguistici ma abbiano una sorta di “contenuto concettuale”. L’Autore (2014)  parla di meccanismo di “simulazione incarnata” laddove il comportamento intenzionale dell’altro attiva un meccanismo funzionale di base  pervasivo nel nostro cervello che è del dominio delle azioni, delle emozioni e della sensibilità/ sensorialità; un meccanismo  legato alle dinamiche interpersonali non linguistiche delle interazioni precoci madre-bambino (pre e post- natali) e, verosimilmente, della comunicazione non verbale dell’interazione  terapeutica.

La simulazione incarnata[4], sostiene Gallese, sembra essere del dominio motorio, emotivo e percettivo (sensazioni), è un meccanismo implicito automatico e preriflessivo ma fortemente influenzato dalle relazioni interpersonali che genera “intentional attunement” consentendo di capire le modalità esperienziali altrui. Sono in gioco gli aspetti precoci e non consapevoli delle relazioni intersoggettive così importanti per lo sviluppo del Sé e del mondo interno del bambino e poi dell’adulto.

Vedere l’oggetto, come sottolinea ancora Gallese, significa simulare un’azione potenziale interattiva con quell’oggetto; le stesse potenzialità motorie che ci rendono consapevoli del nostro Sé corporeo ci rendono consapevoli del Sé corporeo altrui che, attraverso il sistema specchio, viene mappato sul nostro. In condizioni normali, secondo l’autore, la relazione specifica tra Sé e mondo è un elemento organizzativo di base che prevede un’esperienza soggettiva del proprio corpo come corpo vivo in relazione col mondo e in relazione con le intenzionalità operative degli altri Sé.

Interessante, a questo proposito, anche il contributo di un altro neuroscienziato, Georg Northoff  (2019). L’Autore sostiene che la sintonizzazione col nostro corpo e il senso di noi stessi come soggetti in relazione con gli stimoli provenienti dal mondo è un’ esperienza fondamentale; se si determina un disordine di tale sintonizzazione,  c’è una rottura col mondo e c’è la perdita della consapevolezza preriflessiva del Sé. Northoff  concepisce il Sé come un sistema dinamico, in interazione costante con il mondo interno e quello esterno, con un aspetto inconscio che interagisce e incorpora (embodiment) l’ambiente, ed un aspetto di consapevolezza conscia, che gli conferisce il senso di identità e la sensazione di stabilità nel tempo, comportando la possibilità di ripensare a se stessi nel passato e progettarsi nel futuro.  In questo modello il corpo è l’ interfaccia tra mente e mondo esterno e il suo funzionamento  modella la mente ad un livello inconsapevole, involontario, che precede la nostra consapevolezza. Quindi per Northoff, è l’esperienza soggettiva in prima persona di spazio e tempo, corpo, ambiente interno ed esterno e Sé, a costituire le basi della nostra struttura psichica, della nostra personalità e delle eventuali alterazioni in caso di disturbi psichici.

Conclusioni

La nostra disciplina, grazie a Freud, vanta il primato del riconoscimento dell’esistenza dell’inconscio. Tuttavia le declinazioni della “materia dell’inconscio” avanzano e si ampliano all’interno della psicoanalisi stessa. Basti pensare al concetto Bioniano  di  inconscio come funzione inconsapevole della mente, metabolizzatore psichico che permette di trasformare le esperienze sensoriali (elementi beta) in contenuti psichici (elementi alfa) (1962 ); oppure  a quello di Matté Blanco (1975 ) sull’inconscio simmetrico   che  spersonalizza e generalizza e quello asimmetrico che particolarizza e personalizza. L’autore tra l’altro scrive di un inconscio non rimosso che ha caratteri primitivi (esclusivo dell’Es) e irrazionali e di un inconscio rimosso caratteristico dell’Io e del Super-Io.

Credo sia molto importante, dal punto di vista clinico, la distinzione tra il concetto d’inconscio dinamico, in cui opera la rimozione e di inconscio emotivo-ricettivo (De Masi, 2012 ) che elabora le emozioni garantendo il contatto con la realtà psichica e che sembra particolarmente compromesso nelle condizioni psicopatologiche più gravi. Le emozioni non simbolizzate non possono essere mentalizzate, ma solo essere esperite nel corpo dal bambino; le relazioni traumatiche precoci incidono negativamente sullo sviluppo della capacità di simbolizzazione e compromettono le sfere dell’affettività, della cognizione e delle relazioni sociali.

Per crescere e sviluppare la nostra mente abbiamo bisogno della mente di un altro e, soprattutto nei pazienti più difficili, la psicoanalisi ha il compito di  co-costruire nella relazione analitica le capacità di simbolizzazione lavorando sulle funzioni emotivo-intuitive inconsapevoli della psiche che sono danneggiate.

L’interrelazione tra corpo, inconscio non rimosso, sviluppo del Sé e intersoggettività nello sviluppo mentale infantile a mio parere conferma  l’importanza dell’empatia incarnata che noi tutti possiamo riscontrare nel processo terapeutico e che  influisce sulla  nostra abilità , come psicoanalisti, di sintonizzarci  affettivamente con gli stati  inconsci precoci del Sé del paziente (verbalizzati e non).

Il sistema specchio, tra  numerosi  altri riscontri delle neuroscienze, potrebbe rappresentare un arricchimento interdisciplinare  importante aggiungendo un altro tassello alla comprensione dei processi diadici precoci intersoggettivi. E’ possibile dunque che la psicoanalisi  utilizzi il proprio enorme patrimonio di conoscenze sulla soggettività per suggerire alle neuroscienze e ad altre discipline affini possibili terreni di ricerca sperimentale e che, di ritorno,  i dati emergenti  stimolino la nostra ricerca contribuendo a promuovere la valutazione dei concetti teorici e interrogando la psicoanalisi sulle proprie teorie evolutive, del trauma o dell’ azione terapeutica.

Note

1 Numerosi studi della teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1988), i cui fruttosi e ampi sviluppi non mi dilungherò a ricordare in questa sede, descrivono i Modelli Operativi Interni come disposizioni e memorie implicite che derivano dagli stili precoci di accudimento e di interazione col caregiver  e che si mantengono per tutto l’arco della vita in una matrice di rappresentazioni sub-simboliche.

2 La qualità fenomenica prevalentemente visiva di questa tipologia di sogni sembra essere  espressione di scene oniriche collegate a memorie infantili precoci in quanto le rappresentazioni mentali infantili sono prevalentemente visive (Lewin 1968).

3 Così come avevano intuito gli psicoanalisti, numerosi contributi neuroscientifici hanno evidenziato  che fin dalla nascita gli stimoli a  cui il bambino è esposto innescano e rinforzano schemi specifici di attività neuronale (Edelman e Tononi, 2001). Gli stimoli sensoriali , ad esempio, tendono a regolare l’organizzazione anatomica e cellulare del sistema nervoso in via di sviluppo (Schore, 1994) e, nei casi  in cui il bambino ha ricevuto stimoli sensoriali insufficienti o non ha  avuto la sintonizzazione emotiva durante il periodo critico per la formazione dei legami di attaccamento, insorgono comportamenti che rimarranno anomali o disadattivi per il resto della vita.

4 Diversi studi mostrano che sia l’osservazione sia l’imitazione dell’espressione facciale delle cosiddette emozioni di base determina l’attivazione dell’area pre-motoria primaria (neuroni specchio), dell’amigdala e dell’insula.

 

Bibliografia

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