La Ricerca

Memoria Implicita

30/04/19
Sigalit Landau, 2005

Sigalit Landau, 2005

Memoria Implicita

A cura di Cristiana Pirrongelli

Le memorie implicite sono particolari tipi di memoria che contengono esperienze non passibili di ricordo cosciente né verbalizzabili. Le prime  ricerche neuroscientifiche attorno ad esse datano tra la fine degli anni 80 e i primi degli anni 90 (M. J. Cohen 1980, M. Mishkin e T. Appenzeller 1987, H. L. Roediger 1990, D. L. Schacter 1992,  L. R. Squire 1994, E. Kandel 1989, 2002,  J. LeDoux 1994 etc.) fino alle più recenti, legate soprattutto al team di Cristina Alberini, allieva di Kandel (2009, 2011, 2014).

 

Cenni storici

Già Freud (1887, 1904, 1914,1924, 1937) aveva sottolineato l’esistenza di ricordi d’infanzia molto precoci, di cui non si ha memoria, che lasciano però, tracce indelebili nell’individuo.

La mancanza di memoria di tali episodi è opera della rimozione o dello spostamento che evita così l’esistenza di memorie perturbanti.  Nonostante Freud indicherà nelle libere associazioni, nel transfert e nel sogno vie per accedere a questa forma di memoria depositaria di tracce o episodi particolarmente rilevanti degli albori della nostra vita, non approfondirà mai tali aree precoci.

Melanie Klein (1928) per prima si focalizzerà sull’importanza delle esperienze edipiche e pre-edipiche precoci, pre-verbali e pre-simboliche. Successivamente (dagli anni 50) a partire dagli analisti del “Gruppo di mezzo” (W. Fairbairn, D. Winnicott, M. Balint, J. Bowlby, Guntrip etc.), altri autori psicoanalitici si sono avventurati nello studio delle memorie implicite inconsce e non rievocabili. Ricordiamo W. Bion (1965), R. Money-Kirle (1978), H. A. Rosenfeld (1987), M. Mancia (1998), I. Matte Blanco (2000), D. Meltzer (1987), C. Bollas (1987), Pally R (1997), J. S. D. Stern (1998), A. H.  Modell, P. Fonagy, D. (1998, 1999) Siegel (1999), J. Holmes (2000) Gabbard G. O., Westen D. (2005) e altri. Tra i neuroscienziati, G. Edelman (1991,1993), LeDoux (1994, 2013) A. Damasio (2000), W. Bucci (2001, 2002), E. Kandel (2002), C. Alberini (2009, 2011, 2013, 2014).

Definizione del concetto

Le memorie implicite possono contenere tre diversi tipi di apprendimenti mnemonici:

1) Il Priming: è una proprietà di origine evolutiva che consiste nella capacità di riconoscere uno stimolo, cui si è stati esposti sia pur a un livello subliminale di coscienza (percettivo, semantico o concettuale), che può essere riconosciuto le volte successive senza averne consapevolezza;

2) La Memoria procedurale, che contiene esperienze motorie, percettive o cognitive, che ci portano ad acquisire comportamenti motori automatici come l’andare in bicicletta o suonare uno strumento; compiere una serie di azioni quotidiane come il vestirsi e il lavarsi; acquisire alcune abilità, cognitive o percettivo, come riconoscere “al volo” una persona dal modo di camminare.

3) Infine le Memorie emotive e affettive sono le memorie più antiche, tra cui la memoria “intrauterina” della voce e dell’ambiente materno, e le prime relazioni sensoriali ed emotive del neonato con la madre e con l’ambiente esterno.

Mauro Mancia (1998, 2003, 2006, 2008), neurologofisiologo e psicoanalista italiano, si è particolarmente dedicato allo studio delle memorie implicite dei primi due anni di vita individuando in esse un ponte di interesse tra la psicoanalisi e le neuroscienze. Tali memorie implicite infantili pur essendo elementi inconsci, non sono materiale rimosso perché la rimozione richiederebbe l’integrità delle strutture neurofisiologiche, tipo l’ippocampo, la corteccia temporale e le orbito-frontale che maturano verso i due anni di età. L’amigdala, invece, è già presente e coinvolta nella registrazione di tali memorie, soprattutto di quelle traumatiche.

Tali memorie non diventeranno mai del tutto consce, in quanto fissate nella memoria emozionale implicita, ma lasciano tracce mnestiche responsabili di abitudini “caratteriali” di tipo emozionale e di schemi di comportamento secondo modalità per lo più inconsce e automatiche. Non si avrà mai la possibilità di conoscere il loro stato di relativa attivazione o disattivazione e di avere la capacità riflessiva sul perché della reazione emozionale in corso (come nelle reazioni di transfert).

Queste memorie influenzano enormemente la nostra vita ed emergono negli agiti transferali, negli schemi transferali-controtransferali e nel sogno, che attraverso la sua finzione simbolo-poietica, permette una trasformazione di questi aspetti preverbali e presimbolici in esperienze in qualche modo “dicibili” e, quindi, accessibili alla coscienza.

A queste Memorie emotive ed affettive vanno aggiunte le Memorie traumatiche, spesso soggette a difese di tipo dissociativo come l’amnesia, la fuga dissociativa, la derealizzazione e la depersonalizzazione. Le tracce delle Memorie Traumatiche si possono presentare alla nostra osservazione in numerosi modi ma  non necessariamente sono rievocabili. In essi, è la componente emotiva, spia della loro salienza, a fungere da attivatore della loro archiviazione, con una partecipazione prioritaria dell’amigdala (a differenza delle memorie esplicite e rievocabili che vedono l’ippocampo come elemento primariamente implicato) nonché, di neocorteccia, corpo striato e cervelletto.

Studi recenti (Alberini et al. 2014, Inda et al. 2011, Alberini 2011) riportano come la memoria, compresa quella implicita, non sia statica bensì soggetta ad una continua programmazione e riprogrammazione e come, con il passare del tempo, si riattivi più volte per via di eventi impliciti o espliciti, compreso anche quanto accade durante l’attività di riposo e il sonno.

Tecniche di lavoro sulle memorie implicite

Le tecniche di lavoro sulle memorie implicite, soprattutto quelle legate a vissuti spiacevoli o traumatici, devono tenere conto della variabile tempo e dell’esistenza di specifiche “finestre terapeutiche” al di fuori delle quali la semplice rievocazione del ricordo, non è, di per sé, utile alla sua elaborazione; al contrario, la rievocazione può funzionare come un possibile fattore di riconsolidamento e stabilizzazione del ricordo, (Finsterman C. et al 2015). Se, però, nel corso della rievocazione si produce un’ “interferenza” di tipo adeguato (fenomeno per il quale il richiamo alla memoria di un’informazione può essere ostacolato da un’altra informazione fonetica o semantica, da un intervento chimico o comportamentale o situazionale),  si assiste a un significativo indebolimento o addirittura a una perdita del ricordo (Przybyslawski J. 1997, Nader K. et al. 2000, Nader K. 2015, LauZhu 2019). Nella fase di “labilizzazione”  si può intervenire modificando, indebolendo o addirittura vanificando il ricordo. A ridiventare temporaneamente labili, sarebbero soprattutto le componenti emotive, piuttosto che quelle cognitive. Per chi utilizza il trattamento psicoanalitico e psicoterapeutico, nei casi di disturbo post-traumatico da stress, depressione, fobie e in genere dei disturbi che hanno a che fare con memorie perturbanti implicite parzialmente o per nulla rievocabili, questo dato è di grande utilità.  Ciò che vive nella memoria implicita, secondo la maggioranza degli psicoanalisti, può essere raggiunto in analisi attraverso il lavoro sul sogno, l’attenzione alle dinamiche transferali e controtransferali, agli enactment, all’ascolto prosodico della voce (Di Benedetto, 2000; Mancia 2004; Correale 2006), e a elementi extraverbali come l’osservazione dell’espressività facciale e posturale e altri elementi sensoriali e percettivi (la terapia sensomotoria di Pat Ogden 2016), capaci di creare risonanze evocative nelle memorie implicite non rappresentabili.

Altri, come Stern e il suo gruppo (1998), hanno teorizzato modi diversi per arrivare a incidere sulla memoria procedurale, come i “now moments”, i momenti di autentico incontro tra analista e paziente, le “sloppyness”, una sorta di “svagatezza che favorisce le libere associazioni” e i WFM, acronimo usato dalla polizia per definire “i terribili dannati momenti”, imprevedibili e bizzarri, magari carichi di disagio o tensione da parte di entrambi: paziente e terapeuta. Mancia precisava che la sua prospettiva differiva da quella del Boston Group cui appunto apparteneva D. Stern, insieme a  E. Tronick  ed altri psicoanalisti, in quanto, ai fini del processo terapeutico, non è sufficiente un’esperienza emozionale correttiva, ma l’inconscio non rimosso dell’infanzia necessita di una “ricostruzione”, ossia di una interpretazione, di una possibilità di rappresentazione e di una “storicizzazione” (Mancia 2003).

Le metodiche d’intervento sulle memorie implicite patogene, sono, ancora in una fase di studio sperimentale. Secondo le più recenti acquisizioni neuroscientifiche, nella situazione analitica, che potrebbe di per sé rappresentare un esempio di “interferenza” poiché relazione priva di esperienza negativa o traumatica, positivamente empatica, il ricordo primitivo non è comunque passibile di modifica né di diverso riconsolidamento: quello che può accadere è che se ne aggiunga uno nuovo (C. Alberini e E. Kandel 2014, Nader K.2015) che metta a disposizione del paziente una nuova memoria non traumatica che può costituire una risorsa per arrivare a sostenere e ad elaborare l’antico ricordo.

 

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