Cultura e Società

Never Have I Ever – Commento di G. Miotto

21/07/20
Never Have I Ever

Autore: Giovanni Miotto

Titolo: “Never Have I Ever”

Dati sulla serie: creata da Mindy Kaling e Lang Fisher, USA, 2020, 1 stagione da 10 episodi (circa 25’), Netflix

Genere: Commedia

 

 

 

 

Cringe” è un verbo inglese che letteralmente significa strisciare, rannicchiarsi, ma che ha acquisito il significato di volersi rendere invisibile quando in preda all’imbarazzo. Attualmente è diventata una parola molto popolare, che definisce un’intera classe di meme, ovvero di simboli da poter significare a seconda delle situazioni più disparate, principalmente a fini umoristici.

Il “cringe” è forse l’emozione principale diNever Have I Ever (in italiano: “Io non ho mai”), una commedia adolescenziale che narra la rincorsa alla popolarità, e soprattutto ai ragazzi, di Devi Vishwakumar (interpretata da una bravissima e convincente Maitreyi Ramakrishnan), studentessa liceale di origini indiane il cui padre è morto l’anno precedente l’inizio alle vicende narrate nella serie..

Devi, ragazzina “nerd” e non molto popolare, se non nella sua ristretta cerchia di amiche, reagisce inizialmente alla morte del padre, con quella che si potrebbe definire una sindrome da “conversione”, che la porta a perdere per qualche mese l’uso delle gambe, tanto da dover utilizzare una carrozzina e guadagnarsi l’appellativo di “matta” della scuola. Ripresasi, Devi inizia a cercare disperatamente i primi contatti con l’altro sesso, in cui l’inevitabile goffaggine dell’inesperienza la espone a situazioni di profondo imbarazzo, di vero e proprio “cringe”, che da un lato favorisce il crearsi di situazioni comiche e il processo di immedesimazione da parte degli spettatori, dall’altro salva la protagonista stessa dal vuoto profondo lasciato dalla morte del genitore, che nella famiglia svolgeva il ruolo di trait dunion tra cultura americana e indiana, tra radici e integrazione.

La rincorsa al ragazzo più “cool” della scuola, Paxton Hall-Yoshida (interpretato da Darren Barnet), acquisisce toni a volte epici a volte melodrammatici e spesso tristemente ironici, accompagnati fuori campo dalla voce del tennista John McEnroe, capace, come con la racchetta, di spaziare dall’ira alla delicatezza.

Si tratta in conclusione di una piacevolissima commedia adolescenziale, caratterizzata da venature drammatiche credibili, in grado di donare profondità alla storia e di permettere ad essa di trattare con leggerezza, ma senza banalizzare, temi ostici come i matrimoni combinati e l’integrazione razziale, il lutto e l’adolescenza, la morte e il sesso.

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