Cultura e Società

“Bardo, falsa crònica de unas cuantas verdades” di A. Gonzàlez Iñárritu. Recensione di F. Salierno

29/08/22

Autore: Flavia Salierno

Titolo : Bardo, falsa crònica de unas cuantas verdades

79° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia – In concorso.

Dati sul film: Regia Aleandro Gonzàlez Iñárritu, Messico, 174’

Genere: biografico, drammatico

« Il figlio non vuole uscire », anzi, « vuole tornare da dove è venuto, il mondo è una merda ». Tra le prime frasi del film c’è questa, nuda e cruda, detta dall’ostetrico, durante la nascita del figlio del protagonista, che quindi viene rimesso nell’utero materno. Il regista messicano ha così voluto mettere, in chiave ironica, una delle note autobiografiche del film. Iñárritu ha infatti perso il figlio da circa vent’anni.

Bardo, nel buddismo, è un termine che significa uno stato intermedio tra morte e rinascita. Una linea di confine, quindi, come quello che c’è tra il Messico e gli Stati Uniti. Ma è anche quello che nel film indica lo stato “limbico” di un lutto non elaborato. Questo è perciò anche un film sull’elaborazione del trauma, rappresentato dalla perdita del figlio del protagonista Mateo, e su come sia necessario un percorso di transizione per superarlo.

Il film racconta un viaggio personale, quello compiuto da Silverio, un noto giornalista messicano, nonché documentarista. L’uomo, tornato nella sua terra natìa, attraversa un momento di crisi esistenziale. Il protagonista trova le risposte nel suo passato per trovare risposte a domande universali eppure intime, riguardanti la propria identità, il successo, la fragilità della vita, la storia del Messico e i profondi legami sentimentali che condivide con la moglie e i figli. Iñárritu usa per lo più un linguaggio onirico, ricordando, già dal primo minuto, sue produzioni precedenti, ma anche quelle prese in prestito dai grandi del cinema.

Spero che Fellini protegga questo film!”, dice il regista stesso in conferenza stampa. “Non esiste al mondo un regista che non sia stato influenzato da lui perché la sua opera è una cattedrale cinematografica», Alejandro González Iñárritu non nasconde il debito che Bardo ha con il Maestro di Rimini e aggiunge:

«Bardo non è la mia autobiografia, che sarebbe stata noiosissima, ma un’emografia, una biografia emozionale dove la realtà e il sogno si influenzano l’un l’altra, a ripercorrere cose vissute, o forse solo sognate. Del resto sono stati proprio registi come Federico Fellini, Luis Buñuel, Roy Andersson e Alejandro Jodorowsky, capaci di mescolare il mondo onirico al cinema, che hanno dimostrato come i film siano fatti della stessa materia dei sogni, giocando liberamente con il tempo e lo spazio essendo entrambi frutto del nostro inconscio».

Ma non è solo onirico il film del regista messicano. I riferimenti alla vera storia del Messico sono precisi e puntuali. Così come è cronaca vera, quella della sua vita intima. Il regista infatti ci porta dentro le sue origini, e dentro quelle, appunto, del Messico. Ci mostra quel cordone ombelicale che lega inesorabilmente e non si estingue anche nelle nuove (ri)nascite del popolo messicano costretto ad emigrare. Cosa può significare il successo, quindi il riconoscimento massimo planetario, per un messicano? Una implacabile colpa, sembra rispondere, il regista, con questo film. Da espiare con l’aiuto della denuncia e col supporto dell’amore. Familiare, coniugale, amicale, e quello sentito verso il popolo della sua madre-patria. 

Iñárritu emoziona, fa volare nell’immaginario, e riporta a terra, col reale, inesorabilmente. Attraverso il deserto, dei suoi vissuti, ma anche di quelli dell’animo umano. Coprendo però il terreno arido, con la ricchezza dei suoi contenuti. In un sali e scendi continuo, che tiene gli occhi e le emozioni, incollati allo schermo, per tutta la durata delle sue tre ore.

Settembre 2022

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