Cultura e Società

“La trama fenicia” di W. Anderson. Recensione di A. Meneghini

20/06/25
"La trama fenicia" di W. Anderson. Recensione di A. Meneghini

Parola chiave: crollo, colpa, sogno, negativo, riparazione psichica.

Autore: Alessandra Meneghini

Titolo del film: “La trama fenicia”

Dati sul film: regista Wes Anderson; 2025; 105 minuti; Stati Uniti, Germania;

Genere: commedia.

Un sogno nel sogno: così si potrebbe definire l’ultima fatica cinematografica del regista statunitense Wes Anderson, originale cineasta che si distingue per il taglio surreale e creativo delle sue pellicole.

Dove nel precedente film “The French Dispatch” la morte improvvisa del direttore del giornale esitava in un processo di elaborazione collettiva del lutto, ne “La trama fenicia” è la morte psichica del protagonista avvenuta molto tempo prima che mette in forma le vicende della storia in un frenetico movimento in après coup.

Siamo nel 1950 e fin da subito veniamo catapultati nel losco ed enigmatico mondo di un industriale europeo, Anatole Zsa-zsa Korda, uomo senza scrupoli, che si arricchisce tramite stratagemmi illeciti a danno dei più importanti magnati dell’economia mondiali, tanto da farne un frequente bersaglio di attentati. Korda, inspiegabilmente, sopravvive a ogni tentativo di eliminarlo, fino a quando, dopo il sesto attacco al suo aereo, precipitato a terra e incosciente, fa un sogno. Sogna una scena pervasa da un bianco e nero algido, in cui, in un’atmosfera è rarefatta, si sta svolgendo una cerimonia religiosa. Accanto a lui vi è una donna anziana; si guardano, è la nonna, la chiama, ma lei non lo riconosce. Improvvisamente il sarcofago di fronte a loro viene scoperchiato, lasciando vedere il corpo esanime di un ragazzino.

Come non pensare qui al crollo winnicottiano (1963) che è già avvenuto, messo in scena suggestivamente da Anderson nel presente senza tempo dei ripetuti crolli al suolo di Korda a bordo dei suoi aerei, in una esilarante coazione a ripetere, il cui divertissement nasconde qualcosa che forse ha a che fare con le agonie primitive impensabili e indicibili del protagonista, cresciuto nell’assenza degli oggetti primari.

É questo sogno angosciante che spinge lo spregiudicato industriale a convocare Liesl, la figlia che ha abbandonato da piccola, per poterla nominare erede del suo patrimonio in caso di morte. In lei, Korda ritrova quella parte di sé dolente, rimasta fino a quel momento sepolta, estranea al Sè, permettendo così l’elaborazione della colpa e quindi la ripresa della temporalità e del desiderio.

Con lei, intrappolata dentro il suo abito di novizia da un lutto materno inelaborabile, intraprenderà un surreale viaggio in terra fenicia alla ricerca di investitori per il progetto industriale più importante della sua vita, imbattendosi in una serie di improbabili e spassosi personaggi, fino ad affrontare finalmente a viso aperto il proprio demone interno, personificato dal cattivissimo fratello Nubar.

Lo stile visionario del regista statunitense viene una volta di più confermato in questa sua ultima opera, in cui un’accuratissima ricerca sul piano formale ed estetico fa da sfondo a situazioni e dialoghi sul filo dell’assurdo. Intense pennellate color pastello prendono forma all’interno di motivi geometrici perfettamente costruiti, creando un effetto fotografico senza chiaroscuri, estremamente elegante. Dentro queste scene, personaggi di Anderson si muovono come fossero dentro un coloratissimo cartone animato: uomini e donne spossessati della loro soggettività, pervasi da una solitudine interna fatta di assenze, proprio dove più forte era il bisogno dell’adulto soccorritore (Freud, 1895).

La spiccata sensorialità degli elementi visivi, unitamente al ritmo frenetico dell’azione e ai dialoghi incalzanti si pongono come un eccesso pulsionale, un debordante positivo/difensivo, che le scene oniriche nel loro abbagliante e intenso biancore contribuiscono a negativzzare, aprendo varchi di pensabilità inattesi.

Così, come un sottile rivolo sotterraneo, i sogni iniziano a scorrere nel mondo interno del protagonista, affiorando inaspettatamente, mentre egli è indaffarato tutt’altro. Glaciali visioni oniriche che si susseguono e che costringono l’eccentrico uomo d’affari a una presa diretta con l’inconscio e con le angosce più profonde. Una sorta di rovescio, di negativo (Green, 1993) nella sua accezione più feconda, reso cinematograficamente da un bianco e nero gelido che ricorda i sogni del dottor Borg ne “Il posto delle fragole” (Bergman, 1957): altrettante visioni oniriche che schiudono gradualmente alla possibilità di elaborazione del lutto e alla riparazione psichica, ripristinando il contatto vitale con il Sè.

Così, nel film, l’imperversare di scatole, valigie e contenitori di ogni sorta in cui tutto è ossessivamente ordinato e rinchiuso, lascia il posto, nelle ultime scene ambientate in un ristorante dove Korda si trova con la figlia, a centinaia di bottiglie vuote accatastate in maniera disordinatissima, efficace metafora di uno spazio psichico nuovo, dove gli affetti trovano un’integrazione con le rappresentazioni e dove il desiderio può finalmente iniziare a germogliare.

Qualcosa forse che ha a che fare anche con un percorso analitico sufficientemente riuscito…

BIBLIOGRAFIA

Freud S. (1895), Progetto di una psicologia, OSF, vol. 2.

Green A. (1993). Il lavoro del negativo. Pref. di M. Balsamo, Mimesis, Milano, 2025.

Winnicott D.W. (1963). La paura del crollo. In Esplorazioni Psicoanalitiche, R. Cortina Editore, Milano, 1995.

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