Cultura e Società

Vorrei, ma non posso… Commento di Valentina Nuzzaci

6/04/17

“Vorrei ma non posso”. Stato di fatto o altro?

Valentina Nuzzaci

Psicoanalista S.P.I.

Volere e potere sono da sempre in conflitto tra loro. Due mondi distinti. Astratto e concreto. Prevale l’uno su l’altro, a meno che non si raggiungano equilibrio e sicurezza.

Desiderio, sogno, aspirazione, voglia, ambizione, immaginazione alimentano il volere.

Movimento, obiettivo, forza, controllo realizzano il potere.

Paura, impotenza, resistenza, ambivalenza, impossibilità…mettono il non davanti al potere.

“Vorrei ma non posso” ci pone davanti al limite, bloccante o protettivo. Può essere questo il filo conduttore di questa seconda settimana. I paziente tornano, ma sono ancora combattuti sul loro potere. Come analisti ascoltiamo, oscillando tra i mondi del paziente, per leggere tra le righe e tradurre ciò che c’è nelle parole del paziente.

Giovanni è alle prese con la visita neurologica. Vorrebbe tornare a vivere la sua vita, ma non può (perché malato?). Trema. Il fantasma del padre non è più nella sua testa, ma nel suo corpo.

Con Rita appare inizialmente stanco o altrove. La paziente vorrebbe recitare la sua parte, ma non può. Il regista le ha dato un auricolare, per supportarla nelle battute, ma lei non intende usarlo. Non può usarlo, perché non è finita. Ora sta andando dall’analista più bravo che c’è.

Perché non può recitare? È tornata a dare vita al suo personaggio in scena, mentre la sorella sta morendo. Lei sa quello che deve dire, ma se entrano in scena i sentimenti non è più in grado di tenere la parte. Rita non è mai riuscita a parlare alla sorella della gelosia provata nei suoi confronti. Patrizia è riuscita ad avere con la nipote Isabella il rapporto che Rita non è riuscita a creare con la figlia. Vorrebbe parlare alla sorella, ma non può. Non è neanche riuscita a dirle che sta andando in analisi dal suo analista. Come la sorella le ha preso la figlia, così Rita le ha preso l’analista.

Mentre recita il pensiero di Isabella manda Rita in scacco. La figlia sta per diventare una donna, sta per vivere la sua prima volta. Rita vorrebbe esserle accanto, ma forse, anche con lei, la gelosia le impedisce di avvicinarla. Invecchiare è un po’ vedere morire l’immagine giovane di sé. Il marito, che l’ha amata in qualunque forma, l’ha lasciata per una giovane ragazza. Il Dott. Mari la vorrebbe (anche) senza seno?

Riccardo si è sentito sfidato, dall’invito del Dott. Mari della scorsa settimana, a viversi come uomo. Vuole riflettere su ciò che è accaduto, ma continua ad essere molto controllato. Vorrebbe capire. Aver perso il supporto di Letizia nella sua ricerca lo ha riempito (sporcato?) di rabbia, perché sarebbe potuta essere un’occasione importante per poter trattare i temi che hanno a che fare con il comportamento umano. Riccardo parla del ribrezzo provato per una donna che aveva saputo che il proprio feto era a grosso rischio di patologia. Il Dott. Mari gli chiede dei suoi genitori. Sua madre è una musicista, incantevole, una regina di eleganza, con una particolare cura dei dettagli. Riccardo era il suo principe…senza macchia. “Era un dramma sporcarsi” osserva il Dott. Mari. Un bambino-uomo così curato non può fare pasticci con gli altri bambini-uomini. Un prete non può amare una donna, non può sposarla. Un uomo sì. La gelosia macchia l’animo?

Letizia gli ha dato lo stesso calore della madre e lui non può farne a meno. Quando, però, l’analista gli mostra che ha cercato di superare il limite Riccardo non può ascoltarlo e va via prima del tempo.

Luca vede entrare in casa (studio) Michele, il figlio del Dott. Mari. Lo guarda toccato. È un figlio che va da suo padre. Arriva in seduta con il voler fare un master in fotografia molto ricercato, ma non può perché i suoi genitori non se lo possono permettere. L’analista lo riporta allo stress provato nel dire ai suoi della madre naturale. Luca non può farlo, perché non riesce neanche a parlarne a sé.

Attacca e provoca. Il Dott. Mari è in difficoltà. Sembra che Luca voglia farsi cacciare, essere abbandonato per il suo modo d’essere, perché non può pensare che per lui possa esserci altro trattamento. Se tutti lo abbandonano, forse la madre può essere diversa da come l’ha sempre vista.

Luca sa di provocare, fino a far pentire l’analista di averlo preso in terapia gratuita. Rimane scioccato quando scopre che i genitori pagano regolarmente l’analisi. Pensava la pagasse la scuola, che lo ha segnalato. Ha sempre pensato che i suoi non se la potessero permettere…forse anche che non si potessero permettere un bambino loro, ma solo quello dato da qualcun altro, senza alcun investimento economico (emotivo e fisico). Ogni volta che Luca sta per entrare in una relazione si allontana. Non si fa male, perché non è lì. L’analista lo invita, con fermezza, a parlare con Marisa, la madre adottiva. Luca, invece, lo sente duro. Nessuno lo ha mai trattenuto, tenuto. Forse ha bisogno che il suo analista sia davvero duro, che lo tenga lì con lui.

Bianca voleva una cura ma non poteva permettersela. La proposta di un’analisi pro bono le ha permesso di pensare possibile una cura per sé. Non fa sapere nulla ed arriva in studio nuovamente inattesa.

Il Dott. Mari è alle prese con una macchia sulla porta e dei cocci rotti. Qualcosa di familiare.

La paziente ha cercato di farcela da sola, ma gli attacchi continuano ed ha bisogno di fare qualcosa per sé. Ne ha parlato al marito, che ha accettato fino a quando gli ha detto della gratuità della terapia. Il marito è “sbroccato” ed ha sfondato la porta con un pugno. Non possono accettare la carità di nessuno.

Le terapie pro bono si fanno, ma che vissuti attivano? Per Bianca è il secondo regalo che riceve. Il marito si è preso cura di lei ed ora il suo dottore le offre il suo aiuto. Le cose per Bianca oggi ci sono e domani non ci sono più. Non le rimetti insieme e non le trovi uguali. Nelle associazioni della seduta, Bianca ricorda il padre, il suo sguardo che spegneva. L’analista le restituisce la costante violenza fisica che ha permeato la sua vita. Dal padre al marito. Bianca, però, non può (ancora) pensarla questa violenza, la “incasina”. Esce sfiancata dallo studio. Il Dott. Mari l’ha colpita nei pensieri che l’hanno sfiorata.

Giovanni legge il romanzo di Anna ed è angosciato dal pensiero. Quel libro parlai di lui? Anna non risponde. Torna da Adele, perché lei lo ha colpito. È rimasta al suo posto. Non si è fatta toccare dalle sue provocazioni. Forse non può ancora ammetterlo, ma Adele gli sembra diversa. Giovanni sente di non esserci mai veramente stato per i figli. Michele lo guarda perplesso, come se fosse una grande fregatura. Il figlio ha capito prima del padre il suo “vorrei ma non posso”. Disprezza Anna per quello che ha scritto di lui. Lo ha tratteggiato come un autosabotatore. Adele cerca di avvicinarsi per capire quello che sta sentendo e Giovanni scappa nella sua paura di essere malato. Non può ancora accettare quello che sente. “Sognavo di scappare lontano” non è stato ancora letto (dalla sua giovane fidanzata). Vorrebbe sapere se Adele ha letto il libro di Anna. Vorrebbe sapere se ha capito di cosa sta parlando. Adele non risponde, ma c’è. La sua porta è sempre aperta per lui.

Alla prossima…

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Porte aperte e porte chiuse. Commento di Elena Riva

Leggi tutto

Capitan Tempeste e i...Mari perigliosi. Commento di Gemma Trapanese, Sarantis Thanopulos

Leggi tutto