Parole chiave: ritmo, differenza, virtuale, pulsione, variazione
“Etica del Ritmo. Freud, Lévi-Strauss, Deleuze”
di Enrico Redaelli, Orthoes, 2025
Recensione di Chiara Buoncristiani e Tommaso Romani
La Vibrazione Originaria
Ci sono libri che si offrono al lettore come incontri inattesi, aperture su un territorio che nessuno aveva ancora mostrato con questa precisione. In Etica del ritmo di Enrico Redaelli, appena uscito per i tipi di Orthotes, c’è tutto un campo messo in movimento. Così, la teoria procede per onde, mentre ogni pensiero è attraversato dalla vibrazione di ciò che lo precede.
Redaelli produce un’atmosfera che ricorda certe prose sapienziali, dove l’erudizione si mescola alla leggerezza delle intuizioni. Il libro avanza con cadenza ritmica. A volte accelera, a volte rallenta, a volte arretra per prendere un nuovo slancio. “Un passo indietro e due avanti”. Il lettore ha l’impressione di partecipare a una processione antica, nella quale un passo all’indietro prepara la svolta, e una sospensione apre l’avanzata. Questa dinamica diventa la cifra dell’intero lavoro. I molteplici passaggi attraverso la psicoanalisi ci sembrano con/tenere al tempo stesso l’arte degli sciamani e traiettorie future di questa disciplina.
Ciò emerge con limpidezza nella tesi centrale. La soggettività non è un contenitore compatto, è una zona vibrante. La psiche non si dispone come un insieme di contenuti ordinati, ma come un campo di forze che si modulano reciprocamente. La vita psichica è una trama di differenze, danzante intorno un fondo non soggettivo.
Redaelli riporta la psicoanalisi al suo gesto inaugurale: una scienza della variazione, scienza nomade, una disciplina che ascolta la differenza e la segue.
La differenza come forza generatrice
Fin dalle prime pagine, la differenza appare come una tensione intensiva. Non si colloca tra due cose, come l’opinione comune tenderebbe a pensare. Produce le cose.
Per pensare la differenza ci viene in aiuto la termodinamica. Le proprietà estensive della fisica – massa, volume, quantità – appartengono al mondo già formato. Le proprietà intensive – temperatura, densità, tensione – raccontano invece la genesi delle forme. Redaelli si muove nella scia di Deleuze e fa della differenza un principio attivo, una potenza generatrice che precede ogni forma e ogni rappresentazione.
Il suo pensiero assume una postura topologica: osserva le curvature del reale. Le cristallizzazioni della materia, le bolle di sapone, le soglie di tensione diventano modelli per comprendere la psiche.
Ogni atto, ogni parola, ogni ricordo nasce da una disparità. Da un movimento invisibile che prepara l’apparizione del mondo. Il pensiero entra in gioco quando segue questo battito. Quando ci urta contro. Pensare significa avvicinarsi al punto in cui la forma diventa variazione e la variazione acquisisce forma.
A questo livello, il virtuale assume un posto decisivo. Non è solo un possibile, è una riserva di intensità. È un passato che non ha mai preso corpo (Bergson, 1907), in attesa di attualizzazione. È un archivio di futuro. Redaelli mostra che mito e rito lavorano precisamente con questa dimensione: non rappresentano l’accaduto, attualizzano il virtuale. Ogni rito è un ritorno alla potenza dell’origine. Ogni mito è un gesto che rende presente ciò che non ha mai avuto un luogo.
La pulsione come ritmo
Nella sezione dedicata alla pulsione, il libro raggiunge una densità singolare. Redaelli propone una lettura di Freud che illumina la pulsione non come energia, ma come ritmo. La pulsione di vita e quella di morte non descrivono due direzioni contrapposte; rappresentano due aspetti di una stessa vibrazione che attraversa il vivente, contrapponendosi alle forme in equilibrio registrate nel principio di piacere. Sono un al di là.
Thanatos rompe infatti con la quiete. Appare come una forza di variazione che permette alla vita di rinnovarsi. A queste altezze allora Eros non è una spinta verso l’unione. È la capacità di modulare questo tempo. Vale la pena di ricordare Derrida che scriveva vita morte senza virgola.
Redaelli inserisce questa intuizione dentro una costellazione più ampia: Lévi-Strauss, Klossowski, Marcuse, Derrida appunto, con Deleuze e Fachinelli. Qui, la pulsione va ben oltre l’umano ed emerge come principio cosmologico. Ogni gesto umano, ma anche ogni istituzione, ogni scambio di segni porta la traccia della pulsione. La comunità nasce da un campo di differenze. I sistemi di parentela, le economie del desiderio, le alleanze e le rivalità possiedono una radice libidinale.
La pulsione non appartiene al soggetto. Il soggetto è una forma che la pulsione assume di volta in volta.
La costruzione, l’atto, la lingua minore
Il libro è scritto, come è noto, da un filosofo, ma ha un cuore clinico che si trova nella sezione sulla costruzione. Redaelli restituisce a Freud la portata innovativa del suo gesto. La costruzione non offre un sapere, produce piuttosto un montaggio. Non interpreta; funziona come le variazioni nella musica. La parola analitica, anche quando cerca/costruisce significati, lo fa sempre per aprire un percorso. O come i concatenamenti di cui parlano Deleuze e Guattari. L’inconscio si presenta come una superficie intensiva, un fondo privo di contenuti che si attualizza attraverso concatenamenti e connessioni, disgiunzioni, spostamenti, deviazioni.
L’atto analitico, da più parti invocato anche nella psicoanalisi contemporanea, appare allora come un momento di urgenza/emergenza di tutto ciò. Redaelli lo inserisce nel ritmo complessivo della pulsione. L’atto non è deciso dal soggetto. Lo attraversa. Accade quando il ritmo trova una curva nuova. È un movimento che modifica la ripetizione e apre una possibilità.
In questo contesto, il sintomo diventa un margine fertile. È una regione nella quale il virtuale/intensivo affiora. C’è tutta una possibilità che si gioca sul sintomo, nella misura in cui non ne facciamo l’ennesima cristallizzazione, oggetto di un sapere. L’analisi, infatti, non “corregge” il sintomo. Lo ascolta. Lo invita a modulare la sua cadenza. Il sintomo è una sorta di lingua minore, espressione di popoli a venire, qualcosa che ancora non c’è, e il pensiero prende forma quando una lingua minore si sviluppa tra paziente e analista. Le parole diventano strumenti di variazione. I significati si allentano, si piegano, si distendono in nuovi accordi.
Fare il giro
A questo punto del libro, la frase “bisogna fare il giro”, ripetuta come un mantra, si illumina del suo significato. Il giro non è un movimento circolare che riconduce al punto d’origine, è una curvatura del reale. È l’andamento proprio della differenza, la traiettoria con cui la vita psichica passa dall’attuale al virtuale e dal virtuale all’attuale. È la forma in cui la potenza si fa mondo e il mondo ritrova la traccia della propria potenza.
La superficie del reale si presenta allora come una figura piegata: non esiste un confine stabile tra dentro e fuori, tra natura e cultura, tra corpo e linguaggio. La bottiglia di Klein, che attraversa molte pagine del libro, illustra questa logica con una limpidezza sorprendente. Le due facce non esistono. Non c’è binarismo. C’è una sola traiettoria che cambia di orientamento mentre procede. Fare il giro significa seguire questa traiettoria, accoglierne la torsione, lasciarsi condurre dalle sue oscillazioni, fino al punto in cui il dentro si fa fuori e il fuori si fa dentro.
Il giro non appartiene alla geometria, appartiene al tempo. Ogni ritorno porta in sé una variazione. La ripetizione freudiana non rappresenta l’identico, rielabora la differenza. Ogni seduta analitica effettua una risalita verso un’origine che non c’è mai stata, non ha mai avuto lo statuto di evento. Ogni sogno intercetta un passato virtuale che non coincide con il passato vissuto. La ripresa kierkegaardiana, fatta propria anche da Fachinelli, entra nella clinica come una forza di rilancio: un movimento che non recupera un fatto, ma una potenza.
Il libro mostra che ogni costruzione e ripresa analitica possiede la struttura del delirio, nel senso più rigoroso e creativo del termine. Delirare significa uscire dal solco, deviare il percorso già tracciato dalla pulsione e introdurre una variazione nella ripetizione. Freud intuiva che il delirio svolge una funzione costruttiva: accosta frammenti, li salda, li rilancia. E c’è tutta una traiettoria eteroclita del delirio. Redaelli riprende questa intuizione e la porta nel cuore della clinica. Ad esempio, la relazione analitica è lastricata di parole. Ma le parole, nel susseguirsi delle sedute, introducono un ritmo che sposta il soggetto. L’inconscio si comporta come un fondo intensivo e ogni libera associazione apre un possibile. Delirare, in questo senso etimologico e non patologico, diventa così il gesto epistemico della psicoanalisi: una modulazione che riattiva il virtuale e permette al pensiero di accedere a un’altra curvatura della propria storia. Nel giro, il delirio non è smarrimento: è la linea laterale, la traiettoria “di lato” direbbe Mimmo Chianese, attraverso cui la vita psichica produce un mondo nuovo.
Per concludere, ci piace pensare che la psicoanalisi lavori su quello che Redaelli chiama virtuale: non su un possibile astratto ma su una intensità reale che non ha ancora preso forma, su passato che non è mai stato presente; non su un’origine compiuta nel tempo storico.
Il mito e il rito, proprio come la psicoanalisi lavorano con questo passato virtuale: ogni gesto rituale evoca un “c’era una volta” che non coincide con un fatto, ma con un’energia persistente. Il rito non riporta indietro il tempo; lo piega. Il mito non narra ciò che è accaduto, ma attualizza una vibrazione.
Fare il giro significa aderire a questo ritmo che sostiene ogni forma. Per tornare verso l’attuale con una variazione. Il giro possiede sempre due direzioni: discesa e risalita. Come nella canzone di Giovanni Lindo Ferretti quando l’incedere del ritmo punk ospita la domanda fondamentale: “ma si può ascendere in virtù di una forza che è discendente?”.
Si entra nell’esperienza con un discorso e si risale verso il virtuale che lo sostiene; si ritorna verso la vita quotidiana con una modulazione nuova. Ogni attraversamento lascia una traccia. Ogni traccia apre un percorso.
La clinica diventa allora il luogo naturale del giro. In quanto il transfert cosa altro è se non una tecnica di variazione, un modo di riattivare il virtuale e di portarlo a espressione?
Ogni parola analitica possiede la struttura di una piega. Ogni atto analitico compie un’inversione, una curvatura, un rientro. L’aprés-coup emerge come forma temporale del giro: un ritorno che non coincide mai perché non c’è nessun vero e proprio inizio, ma una retroazione che varia, una eco che crea. Il soggetto si trasforma perché la ripetizione ha intercettato un ritmo.
Redaelli mostra che la psiche vive di questa oscillazione costante. La vita psichica non esprime un equilibrio; manifesta una dinamica. Il desiderio, la legge, la pulsione, il sogno, il sintomo, l’erotismo possiedono tutti una natura ritmica. Il reale stesso si comporta come una danza.
Fare il giro significa accettare questa struttura del mondo. Significa pensare a partire da un ritmo. Significa comprendere che il sapere non nasce da un punto fermo, tanto meno dal porre un confine netto, ma da un andamento. Il giro diventa una figura di vita, una forma di etica, di politica e una forma di cura.
Redaelli restituisce al pensiero il suo gesto più semplice e più radicale: seguire il ritmo.
La forza del libro
Etica del ritmo offre alla psicoanalisi contemporanea una prospettiva innovativa. Non propone un modello, ma una musicalità.
Restituisce alla teoria la sua natura di danza, alla clinica la sua inclinazione verso il gesto, al pensiero il coraggio di cercare l’urto, l’urgenza, l’inatteso di cui parla Manuela Fraire, anziché il già noto. Il libro mostra infatti che il pensiero non procede per concetti, ma per variazioni. A meno di non considerare i concetti come soluzioni all’emergenza/urgenza del problema.
Ed è in questa variazione che la psicoanalisi trova la sua forza politica, estetica e antropologica.
Redaelli invita a seguire il ritmo. Un passo indietro e due avanti. Invita a pensare come si respira. Invita a lasciarsi attraversare dal reale e a rispondere alla sua piega. Non si tratta di capire in analisi. Si tratta di aderire al movimento che precede il mondo.
Ma forse a questo punto gli analisti “laureati” potranno chiedersi: cosa ci faccio con tutto ciò? La risposta emerge dal movimento stesso descritto da Redaelli: filosofia, psicoanalisi, arte e scienza sono zattere che risalgono dall’attuale al virtuale, e il loro compito è trasformare la posizione del soggetto. La psicoanalisi entra in questa oscillazione ogni volta che un problema apre una piega, ogni volta che un buco nel sapere diventa forza generativa. Pensare significa abitare questa diatesi media, questa zona in cui il soggetto è interno all’azione che lo modifica. Quindi la domanda corretta è cosa queste traiettorie fanno della psicoanalisi, dove possono portarla. Anche in psicoanalisi si tratta di raggiungere legami che non sono ancora definiti secondo coordinate precise.
Etica del ritmo fa danzare la psicoanalisi che equivale a dire farle fare un passo indietro e due avanti. Questo passo accade. Non siamo noi a deciderlo. È un atto analitico.
G. Deleuze (1968). Differenza e ripetizione. Milano, Raffaello Cortina. 1997.
H. Bergson (1907). L’evoluzione creatrice. Milano, Raffaello Cortina. 2002.
C. Levi Strauss (1966). Antropologia strutturale. Milano, Il Saggiatore. 2015.
P. Klossovski (1969). Nietzsche e il circolo vizioso. Milano, Adelphi. 1981.
H. Marcuse (1964). L’uomo ad una dimensione. Torino. Einaudi. 1999.
J. Derrida (1980). La cartolina. Milano, Mimesis. 2017.
D. Chianese. Il vivente e il sacro. Roma. Astrolabio. 2021.
M. Fraire. La porta delle madri. Napoli, quodlibet. 2023.
E. Fachinelli (1989). La mente estatica. Milano, Adelphi. 2009.