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Il Sé e l’altro. Gennaio 2020. Report di C. Pirrongelli

17/02/20

Il Sé e l’altro

Sabato 18 Gennaio 2020.  SPI – Via Panama 48, Roma

Società Psicoanalitica Italiana – Commissione Nazionale Psicoanalisi e Neuroscienze

 

Il 18 Gennaio 2020, nella sede della Società Psicoanalitica di Roma, si è tenuto un gremito Convegno dove psicoanalisti, filosofi, neuroscienziati, infant researchers di fama internazionale, si sono confrontati sul tema del Sé alla ricerca di concordanze con i nostri concetti psicoanalitici. A organizzarlo la Commissione Psicoanalisi e Neuroscienze della SPI.

 

Titolo della sessione mattutina: Interazioni Sé- Altro: codici somatici e linguistici delle emozioni. Chair Anna Maria Nicolò.

Giuseppe Moccia, psicoanalista e coordinatore della Commissione, ha presentato questo Convegno interdisciplinare augurandosi che contribuisca a creare un terreno comune utile sia alla teoria dello sviluppo che a quella della clinica terapeutica. Si chiede e ci chiede: in che modo il bambino piccolo arriva a creare la sua mente e a comprendere quella altrui? Quali le basi biologiche e quali quelle psicologiche, a partire da una intersoggettività primaria, nella complessa interazione tra il comportamento della madre e quello del bambino? … “Nella sincronizzazione dei movimenti, delle espressioni facciali, della anticipazione delle intenzioni l’uno dell’altro?”. Quanto di innato, quanto di appreso? E quali sono le ragioni che alterano questo processo formativo “esitando in una perdita di senso non solo della propria esperienza ma anche di quella altrui …?”

A seguire Vittorio Gallese Professore Ordinario di Fisiologia nel Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Parma, con una relazione dal titolo: “Le emozioni: tra esperienza, corpo e cervello”. Gallese ha presentato i più recenti studi sulle risposte emozionali e motorie in uomo e animali. Ritiene che i meccanismi legati ai neuroni specchio e il modello di intersoggettività della simulazione incarnata da essi derivato, non lascino dubbi sulla codeterminazione tra l’esperienza soggettiva del nostro corpo e la percezione simultanea, che lui definisce “certezza implicita” circa la soggettività dell’altro. Ritiene, in sintesi, che l’espressione motoria non segua (James) né preceda (Darwin) il vissuto emozionale ma che, invece, sia l’esperienza delle nostre proprie emozioni che di quelle altrui, sia legata alla serie di azioni mimiche e motorie che accompagnano ogni emozione. Questa condivisione sarebbe in parte mimetica, cioè legata a meccanismi automatici di simulazione incarnata di modo che l’output motorio va considerato parte dell’emozione stessa. L’emozione risulta essere, di fatto, una corrispondenza senso-motoria. La nostra identità personale, il nostro Sé, si strutturerebbe attraverso l’introiezione di esperienze, schemi affettivi derivanti dalle nostre esperienze interpersonali. Per usare le parole di Gallese: “si può ipotizzare che le qualità affettivo – emozionali della nostra identità personale siano – almeno in parte – il risultato di come la nostra simulazione incarnata degli altri si sviluppa, e prende storicamente forma”.

Jonathan Delafield-Butt, professore di Psicologia dello sviluppo infantile ed esperto di autismo, ha esaminato le origini dell’esperienza cosciente e le basi incarnate ed emotive dello sviluppo psicologico. Le sue ricerche sullo sviluppo infantile già in utero (osservazioni sui gemelli), lo portano a ipotizzare l’esistenza di una intenzionalità senso-motoria primaria originantesi nell’attività tronco encefalica profonda (bulbare), quando ancora parti superiori del cervello non sono attive o addirittura non formate. Attribuisce a questo “core selfnucleare”, l’inizio dell’attività di soggettivizzazione verso e attraverso l’intersoggettività, grazie all’espressione senso-motoria di bisogni coordinati da un “Sé centroencefalico” che si esprimono in azioni “prospettiche, la cui intenzionalità mette il soggetto in relazione col mondo e ne organizza nel tempo le azioni. In quest’ascesa di intenzionalità verso l’inclusione dell’altro/i (acquisendo soddisfazione e senso vengono via via arruolati elementi più complessi del funzionamento cerebrale, più evoluti e specifici dell’uomo, sino all’inclusione della corteccia. I grandi obiettivi decisi a “livello alto”, sono, secondo Delafield-Butt, dei grandi organizzatori delle varie intenzionalità disseminate nei singoli individui e cita ad esempio il “Kennedy’s Principle of Goal Directed Organization”nato a proposito della conquista della luna, secondo il quale obiettivi alti e condivisi 1) Impostano un progetto comune tra le persone  e all’interno di queste 2) Generano coerenza ed efficienze sinergiche, tra e all’interno degli individui 3) Incitano a tempismo e coordinamento condivisi tra corpi e menti 4) Stabiliscono valore, comprensione e significato condivisi in uno scopo comune. In questo passaggio da azioni circoscritte ad azioni sempre più astratte, Delafield-Butt riconosce sempre come origine e fonte, il core-self nucleare pre-corticale, l’ID cosciente secondo Panksepp e Solms, primariamente corporeo in accordo con Freud, e che è ab initio orientato verso l’altro (e, a volte, “l’alto”) per dare un senso al mondo.

Michele Di Francesco, Professore Ordinario di Logica e Filosofia della scienza, ha presentato una relazione dal titolo: “La natura elusiva dell’Io: una terapia filosofica”. Partendo da Cartesio, Locke, Hume e Kant, si distacca da tutti questi modelli dando maggior spazio a Daniel Dennet, eclettico filosofo statunitense, che propone il modello della macchina joyceana secondo la quale “… nel nostro cervello c’è un’aggregazione un po’ abborracciata di circuiti cerebrali specializzati, che, grazie a svariate abitudini indotte in parte dalla cultura e in parte dall’auto-esplorazione individuale, lavorano insieme alla produzione più o meno ordinata, più o meno efficiente, più o meno ben progettata di una macchina virtuale, la macchina joyceana … un softwaredel cervello […] in grado di creare un comandante virtuale dell’equipaggio […]. Il Self auto-rappresentato che identifichiamo con noi stessi è dunque un’illusione. E se ha senso dire che noi esistiamo è solo in quanto provvisori e cangianti centri di gravità narrativa, la cui «esistenza dipende dal perdurare della narrazione».” Di Francesco replica a Dennet proponendo un diversa idea del “narrativismo”. Da dove viene questa capacità di produrre narrazioni? Chi la costruisce? “… l’identità narrativa è l’abilità di costruire una storia internalizzata e in evoluzione del sé, una storia che può dotare una vita di un certo grado di significato, unità e scopo …” il che presuppone, per Di Francesco, che si sia passati attraverso tre momenti fondamentali e successivi quali la consapevolezza del proprio corpo, la consapevolezza di possedere funzioni di tipo psicologico, la consapevolezza biografica o narrativa.

Un Sé completo e  maturo è passato attraverso i tre stadi con successo e si identifica non tanto e non solo nella capacità di produrre narrazioni, bensì con l’intero processo che dal corpo giunge all’autonarrazione: un Selfing process  che  contiene in sé, oltre all’autocoscienza corporea, l’affettività, la capacità di mentalizzazione (prima affettiva e poi cognitiva) le strutture di personalità, il linguaggio, il contesto socioculturale coinvolgendo, oltre alla tradizionale ricerca (neuro) cognitiva, la psicologia dello sviluppo,  la psicologia sociale e quella della personalità. Rispetto alla macchina joyceana che produce qualcosa di evanescente, ‘fittizio’ e contingente, Il Sé non è tanto una narrativa, ma l’intero processo: un selfing processreale e causalmente efficace.

Quindi è stata la volta della tavola rotonda cui hanno partecipato: Amedeo Falci, Giorgio Mattana e Cristina Riva-Crugnola.

Amedeo Falci, psicoanalista con funzioni di training, considera la psicoanalisi “… un peculiare sapere di sintesi … che … a partire da alcuni nuclei fondamentali … è andata aggiungendo frammenti di altre disparate discipline …” ed è in quest’ottica, a suo dire, che non ha avuto problemi ad accettare ricerche come quella sui mirror neurons. Ma “accludere ed integrare sono cose molto diverse” soprattutto in casi, come questo, dove si confrontano due metodi di studio opposti: l’uno di tipo empirico-sperimentale, l’altro un sapere “fondamentalmente congetturale e anti-empirico”. Ha proposto tre vertici di cambiamento paradigmatico che potrebbero emergere dalla presentazione di Gallese. Il primo, di ordine clinico, riguarda il diffuso decadere del valore centrale dell’interpretazione che lascia il posto a concetti come la “sintonizzazione” sui reciproci stati emozionali. Di fatto un abbandono dei “destini pulsionali” per approdare ad un modello di trattamento basato sul “contenimento di stati caotici, di rielaborazione simbolica di stati emozionali ‘primitivi’ e non rappresentazionali in statu nascendi.” Falci vede l’aggiornamento neurobiologico sul valore evoluzionistico e adattivo degli stati emozionali come un passaggio ineludibile nel curriculum formativo dei futuri psicoanalisti. Un secondo vertice di cambiamento è di carattere teorico-modellistico. Il modello dalla embodied simulation è di aiuto, a suo dire, nella disambiguazione del termine “rappresentazione” come inteso nella metapsicologia freudiana, perché, non più rappresentazione di idee, introduce ad un’area di “rappresentazioni mnestiche somato-sensoriali-viscerali che riguardano formati e codificazioni subsimboliche”.  “Il ruolo della senso-motricità nella neurobiologia della embodied simulation è inoltre diverso dalla funzione di ‘scarica’ della motricità in psicoanalisi. Con un rovesciamento, il ruolo primario viene assunto dalle esperienze periferiche senso-motorie, “quasi una pluralità di inconsci anche periferici”, dove i sistemi mirror e la simulazione incarnata “saranno alla base di successivi consolidamenti e re-iscrizioni nelle aree corticali superiori”. Anche le memorie saranno diverse: non più rappresentazioni ideative bensì rappresentazioni iconiche e analogiche che mantengono il formato della realtà percettiva, delle processazioni motorie, viscero-motorie e somato-sensoriali.” Un terzo ed ultimo vertice di cambiamento è di carattere filosofico. Le ricerche sui sistemi mirror, sulla simulazione incarnata e sulla natura insieme fisiologico-somatica e di segnalazione sociale delle emozioni, non solo depone a favore di una base evoluzionistica per lo sviluppo della nostra mente sociale, ma indica, appunto, che la mente è tout court essa stessa sociale e intersoggettiva.” Non più una psiche monadica, impegnata esclusivamente a mantenere inalterati i propri equilibri energetici interni spingendoli sempre verso un grado tensionale minimo. Se dunque il corpo non è ciò su cui ‘si scaricano i conflitti psichici’ o non è il teatro di rappresentazioni simboliche inconsce, ma corpo mente è la stessa substantia con vari livelli di complessità e autonomia espressiva, allora si aprono nuovi orizzonti di comprensione unitaria per varie psicopatologie”.

Cristina Riva Crugnola ha portato le sue considerazioni sul ruolo centrale che la capacità riflessiva del genitore svolge nei confronti del neonato. Saper riflettere su stati mentali propri e altrui, sulle proprie esperienze di attaccamento, su di sé come genitore e sugli stati mentali ed emotivi del bambino, è in genere indice di una buona capacità genitoriale nei primi anni di vita ed è   predittivo di un attaccamento sicuro e di un buon sviluppo sociale ed emotivo.

Riva Crugnola ha poi presentato un suo recente studio che ha valutato tali capacità in 44 diadi “madre adolescente /bambino” e 41 diadi “madre adulta /bambino”. Quando il bambino aveva tre mesi, è stata valutata tale interazione con diverse scale. Le madri adolescenti (rispetto alle madri adulte) si sono rivelate più insicure e con un indice di capacità autoriflessiva più basso, meno sensibili, più intrusive e maldisposte, e meno determinanti e capaci nello strutturare l’attività del proprio bambino; meno sintonizzate e meno in grado di commentare in modo appropriato quanto avveniva nella mente del bambino. Parte integrante di questo studio: programmi di prevenzione/intervento precoce rivolti ai genitori di bambini immersi in ambienti non mentalizzanti fin dai primi mesi di vita. Tali programmi di prevenzione e di aiuto si focalizzano sul favorire la capacità di integrare la sensibilità, la capacità di regolazione degli stati emotivi e la capacità di “pensare” azioni e stati mentali del bambino.

Giorgio Mattana Psicoanalista Ordinario della SPI, redattore della sezione Ricerca e Neuroscienze di Spiweb con riferimento alla relazione di Michele Di Francesco ritiene basilare il contributo della filosofia della mente come la cornice concettuale più adeguata a inquadrare il confronto interdisciplinare fra psicoanalisi e neuroscienze, aree disciplinari limitrofe che possono utilmente dialogare, influenzarsi e stimolarsi reciprocamente, “ma non possono essere fra loro assimilate o identificate”. Ricorda le oscillazioni freudiane fra le tentazioni dualistiche dell’Interpretazione delle afasie, il riduzionismo radicale del Progetto, la revisione del settimo capitolo dell’Interpretazione dei sogni e il successivo riaffiorare di prospettive riduzionistiche. “Quel che serve – dice Mattana – è una concezione relativa ma non relativistica, che faccia il lutto della verità unica e della spiegazione definitiva a favore di una concezione dialettica e complessa della verità”. La teoria del Sé illustrata dal prof. Di Francesco, rappresenta perfettamente, per Mattana, la prospettiva che lui avanza. Una teoria complessa, attenta alla teoria dell’attaccamento, alla psicologia evolutiva, alla psicologia sociale e infine alla psicoanalisi”. Il Sé come risultato, “precario e perennemente diveniente, di un processo di costruzione continua, il selfing process, che dal modello dello spazio di lavoro neurale globale di Daehene procede al livello della relazione primaria e della mentalizzazione, per poi proseguire al livello socio-culturale e linguistico”. Un centro narrativo o autobiografico di gravità dotato di efficacia causale ben diverso dall’illusorio spettatore di Dennet. Pone poi alcune domande a Di Francesco: la prima riguardante la possibilità di una terza via fra dualismo e riduzionismo (ai tempi di Freud non disponibile) e se ritenga opinabili le critiche di Damasio, Edelman e altri al modello computazionale del cervello. Chiede poi al prof. Di Francesco, se, nella sua descrizione della genesi del Sé, a dispetto della posizione liquidatoria delle scienze cognitive, non vi sia posto per una dimensione inconscia psicoanalitica.

Conclude mettendo in guardia la psicoanalisi sia dal rischio di un generale “correlazionismo” punto a punto fra “cose psicoanalitiche” e corrispondenti realtà neurobiologiche, da una sorta di parallelismo psicofisico, per cui a ogni evento cerebrale ne corrisponda specularmente uno mentale, sia dal rischio, per la psicoanalisi, di ricadere in uno spiritualismo sine materia.

 

Sessione pomeridiana: la cura del Sé: vie verbali e non-verbali dell’azione terapeutica.

Chair Stefano Bolognini.

Georg Northoff, Filosofo, Neuroscienziato e Psichiatra paragona il funzionamento mentale ad un’automobile che si muova spontaneamente in varie direzioni, secondo traiettorie spazio-temporali e non, come penseremmo, secondo la direzione e la velocità impressa dal guidatore: “Brain as an active player”. E’ il cervello a determinare se e come lo stimolo, che interagisce prima con l’attività intrinseca del cervello, sarà percepito a livello di coscienza e influenzerà il Sé. La sua “psicopatologia spazio-temporale”, prevede che le alterazioni cognitive presenti in un disturbo psichico non siano tanto legate al contenuto alterato, quanto all’anomala organizzazione spaziotemporale nel cui contesto il contenuto viene calato, quindi un contenuto che ha risentito delle interazioni precoci con l’ambiente. Quando arriva lo stimolo, questo non influenza più di tanto l’attività di fondo. Alcuni studi, che hanno utilizzato sofisticate indagini diagnostiche hanno mostrato come il trauma precoce moduli il funzionamento di base del cervello nell’adulto in modo simile a quel che avviene nell’entropia, sotto forma di onde anomale caratteristiche e persistenti nel tempo. L’attività di base, secondo Northoff, ha a che fare con il Sé ed è in correlazione con l’ambiente. In particolare, nelle strutture della linea mediana, si può osservare l’attività spontanea che si riferisce a dinamiche spazio-temporali e analizzare molte informazioni rispetto al senso di Sé, sotto forma di strutture di onde a diversa frequenza, caratteristiche per ogni individuo.

Nei disturbi di personalità si osservano quadri specifici di onde e persino i meccanismi di difesa possono trasformarsi in configurazioni particolari di onde. Gli schizofrenici hanno un completo disallineamento. Queste configurazioni dipendono dal rapporto con l’ambiente, un ambiente allargato alle persone e a tutto quello che contiene, con differenze di risposta tra l’animato e l’inanimato. Corteccia prefrontale e insula sono legate a particolari valenze psicologiche. Per l’essere umano è necessario interagire con un ambiente animato. Le onde dell’ambiente e dell’individuo sono simili anche se in scala.

 

Tavola rotonda con Vittorio Gallese, Massimo Vigna Taglianti e discussione con la sala.

Riporto di seguito le domande e le risposte giunte sia dalla tavola rotonda (con Vittorio Gallese e Massimo Vigna Taglianti, Psicoanalista e Segretario scientifico della SPI) che dalla discussione con la sala. Northoff ritiene, in risposta a Gallese, che sarà presto possibile tracciare non solo la corrispondenza tra cervello e mondo ma anche tra singolo neurone e livello macroscopico. In risposta a Vigna Taglianti, che ha ricordato Winnicott e l’ambiente e chiesto conferma dell’importanza del setting con le sue coordinate spazio-temporali ripetute e prevedibili, Northoff conferma l’importanza di questo per la sintonizzazione. Stefano Bolognini, psicoanalista, past  President IPA, sottolinea come, nei termini usati da Northoff “integrare, riparare il Sé”, ci sia affinità con quelli psicoanalitici di integrazione, metabolizzazione, digestione e chiede cosa accada sia nella meditazione che nel contatto con l’inanimato delle sedute via Skype. Northoff conferma che meno interferenze ci sono con l’attività spontanea del cervello come ad esempio sul lettino analitico, più si entra in contatto con il proprio mondo interno. E, a proposito della meditazione rivela che in realtà l’integrazione diminuisce perché il pensiero si sposta sul respiro e c’è quindi uno shift, un Self detachment. Rispetto a Skype esistono studi su onde cerebrali e vicinanza nel tempo e nello spazio. Il senso di presenza è diverso e il non verbale, si può usare molto di più in presenza. Ad Anna Nicolò, psicoanalista, attuale Presidente S.P.I., che ritiene troppo generico il concetto di discrepanza spazio-temporale, Northoff risponde che l’apporto della fenomenologia è fondamentale come integrazione alle Neuroscienze. Rispetto alla distinzione tra fantasia e realtà, afferma che al cervello non interessa né tale distinzione né quella tra esterno e interno perché è esclusivamente interessato alla stabilità. Per il paziente schizofrenico il delirio è vero e lo stabilizza. Nicolino Rossi, psicoanalista, chiede a Northoff di chiarire concetti quali consapevolezza e capacità riflessiva, vicinanza e capacità autoriflessiva. Northoff risponde di non sapere cosa sia il senso di Sé, l’individualità e come si associno esperienze e sentimenti. “È la fenomenologia che ci aiuta nel comprendere queste esperienze di coscienza. C’è chi non ha esperienze con la realtà e la realtà è fondata sull’esperienza di relazione.” Questo è quello che lui può rispondere al momento. Gabriella Giustino, psicoanalista, rispetto alla psicosi, ipotizza che saltino le coordinate spazio-temporali e l’esperienza soggettiva del mondo; come se si trattasse di un contenitore troppo grande. Anna Ferruta, psicoanalista, paragona il rapporto tra soggetto e ambiente alle onde del mare. Quando la relazione tra soggetto e ambiente arriva non secondo un programma logico ma secondo una psicodinamica soggettiva, saltano le coordinate. Falci non ha chiaro, alla luce del dialogo tra Gallese e Northoff, se il Sé sia da considerare un flusso di attività o un set di rappresentazioni. Gallese risponde che per lui si tratta di un central core che ha a che fare con rappresentazioni primarie mentre Northoff, per ora, si sta interessando al flusso di attività e ha notato per esempio come la musica aiuti ad entrare nelle aree traumatiche. Rispetto alla domanda su animato e inanimato, dice di aver osservato un evidente shift a livello di onde, tra contatto con l’animato rispetto all’inanimato. Moccia chiede se un cervello iperstimolato come quello dei traumatizzati possa essere riparato da una relazione terapeutica sintonizzata. Se si possa ritrovare un’armonia attraverso il rapporto. Pirrongelli, psicoanalista, chiede quale potrebbe essere la ragione per cui nell’umano si vada formando un Sé e perché abbia, secondo Northoff, bisogno di stabilità, nonché di non tener conto se una cosa sia vera o sia una fantasia. Chiede se concordino con chi teorizza che noi viviamo in un continuo stato allucinatorio al fine di risparmiare energia e attutire i traumi. Concordano entrambi su quest’ultimo punto e Gallese ritiene che il nascere del Sé nell’uomo vada ricercato nell’ambito di meccanismi adattativi.

Il Sé e l’altro. Roma, 18 gennaio 2020

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